Dopo quasi 40 anni nel sistema bancario (di cui 13 da amministratore delegato di Unicredit e tre da presidente di Montepaschi) e altri 10 anni nella difesa come ceo di Leonardo e poi nella consulenza (Equita) e nel venture capital (Rialto Ventures), Alessandro Profumo torna a occuparsi di credito. Lo farà in un incontro che l’11 marzo a Palermo chiuderà il roadshow organizzato da Banca Agricola Popolare di Sicilia (Baps) e Arca Fondi sgr. Il meeting verrà guidato da Saverio Continella, amministratore delegato di Baps, e da Simone Bini Smaghi, vice direttore generale di Arca Fondi sgr e sarà volto a delineare il ritratto della banca di domani tra consolidamento, presidio dei territori e nuove esigenze della clientela.
Profumo, lei sarà in Palermo per parlare di credito e di banche del territorio. Come mai questa scelta?
“Per prima cosa mi fa piacere accettare l’invito di una banca che, come la Agricola Popolare di Sicilia, fa del radicamento la propria ragion d’essere. L’istituto, spinto dal dinamismo del suo ad Saverio Continella e dal cda presieduto da Arturo Schininà, ha fatto un’aggregazione di recente proprio nell’ottica di aumentare la propria penetrazione nel territorio di riferimento e di servire al meglio la clientela. In secondo luogo mi fa piacere tornare a Palermo. Lo dico sinceramente, visto che ci sono cresciuto.“
Lei ha iniziato la sua carriera in una banca di territorio. Quale può essere oggi il ruolo di questo genere di istituti?
“Si, professionalmente io sono nato in una banca di territorio, nel senso che i miei primi dieci anni di lavoro li ho fatti proprio in un istituto di questo tipo, il Banco Lariano. Giusto per dare un’idea del fortissimo presidio territoriale che ci avevano insegnato, tutte le sere qualcuno dei dipendenti andava a Campione per vedere che non ci fossero clienti o colleghi al Casinò. Oggi una banca di territorio si muove in un contesto nel quale ci sono state aggregazioni in cui spesso la clientela ha perso i punti di riferimento. Quindi deve rispondere a una fortissima domanda di relazione personale.”
Eppure da qualche mese in Italia è ripartito il consolidamento bancario che punta a creare istituti più grandi e meno legati ai territori. Ci sarà ancora spazio per le banche attente alla relazione?
“Le aggregazioni tra grandi banche sono una cosa logica perché si possono realizzare forti economie di scala. Ne ho viste molte e ne ho fatte molte. Non bisogna però perdere di vista la clientela. E oggi il fatto che si possa sempre di più separare la produzione dalla distribuzione consente anche a banche medie o piccole di sopravvivere molto bene utilizzando fabbriche di terzi e focalizzandosi sulla relazione. Al Credito Italiano peraltro siamo stati i primi in Italia a battere questa strada dopo l’aggregazione del Credito Romagnolo.“
Lei è stato uno dei protagonisti dell’ultimo processo di concentrazione del sistema bancario in Italia. Al Credito Italiano, poi Unicredito, siete partiti nel 1994 proprio con l’operazione sul Credito Romagnolo. Che differenze coglie tra quella fase e quella appena iniziata?
“A quei tempi partivamo da realtà molto più piccole e avevamo la necessità di consolidare le strutture. Basti pensare che il Credito Italiano partiva con una quota di mercato del 3,5%, pur essendo una delle banche di interesse nazionale. Oggi stiamo parlando di realtà molto più grandi e con strutture molto più consolidate.”
Come mai il consolidamento bancario italiano sta riprendendo proprio ora? Il merito è solo dell’innalzamento dei tassi di interesse deciso dalla Bce gli anni scorsi?
“Uno dei fattori rilevanti è stato certamente l’innalzamento dei tassi di interesse che ha aumentato la redditività del sistema bancario, consentendo di accumulare eccessi di capitale e di poter guardare ad aggregazioni con maggiore serenità. Il secondo elemento è stata la necessità di privatizzare Montepaschi. Da ultimo l’amministratore delegato Andrea Orcel, dopo aver gestito Unicredit a perimetro fermo – con risultati eccellenti come dimostra l’andamento del titolo – ha capito che per continuare a far crescere il valore del titolo doveva fare crescita esterna.“
Oggi uno dei dossier sulla scrivania di Orcel è Commerzbank, che Uni-credit sta scalando. Sotto la sua guida la banca comprò Hvb. Vede un fil rouge tra le due operazioni?
“La mia Unicredit fu apripista all’estero in fatto di acquisizioni. La prima grande operazione fu l’acquisto nel 1997 di Bank Pekao che ci rese la prima banca in Est Europa. Una posizione che nel 2005 fu ulteriormente rafforzata proprio dall’acquisto di Hvb che, attraverso Bank Austria, aveva molte controllate nell’area. Sempre nel 2005 facemmo con la famiglia Koc l’operazione Yapi Credit. Oggi l’acquisto di Commerz sarebbe una mossa molto sensata per Unicredit perché. grazie alla forte presenza del gruppo in Germania, consentirebbe di creare un altro grande player nel paese, con sicuri benefici per l’economia tedesca.”
Tra l’altro lei studiò un’operazione fra Unicredit e Commerzbank?
“Si, l’avevamo guardata ma interrompemmo le trattative il giorno prima dell’11 settembre. Ricordo che l’11 settembre ero in cda a illustrare lo stop delle trattative con Commerz.”
Si sono viste poche aggregazioni transfrontaliere nel sistema bancario europeo. Come mai?
“Purtroppo, anche se la vigilanza unica è stato un passaggio importante, oggi in Europa i mercati sono ancora segmentati e fare sinergie cross-border resta complicato. Per questo sarebbe sensata un’operazione tra due istituti presenti nello stesso paese come sono appunto Commerzbank e Hvb.”
La difficoltà a fare aggregazioni transfrontaliere può penalizzare il sistema bancario europeo a favore dei giganti Usa?
“Le banche americane usano molto poco il loro capitale per finanziare l’economia europea. Il problema è che il nostro risparmio va verso fondi americani. Questo è l’elemento che ci dovrebbe preoccupare. Dobbiamo capire come creare dei grandi player europei di gestione del risparmio e se le regole che abbiamo in Europa sono adatte per raggiungere questo risultato.”
L’altro attore del consolidamento italiano di questi mesi è Mps. Lei è stato presidente della banca nel periodo più drammatico della sua storia recente. Che bilancio fa di quel periodo e delle ultime mosse della banca?
“Da oggetto quale era, Mps è tornata a essere un soggetto. E mi piacerebbe pensare che una parte del merito sia del lavoro fatto da me e soprattutto dall’amministratore delegato Fabrizio Viola quando siamo stati al vertice. Mps è la banca che abbiamo salvato. Questo si può dire senza tema di smentite.“
Passiamo all’altro business di cui lei si è occupato, quello della difesa. La Commissione Ue ha annunciato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro. Basteranno?
“Non so come siano state calcolate le capacità di cui si ritiene di avere bisogno. Tendo a pensare che, rispetto all’incremento delle risorse, sarebbe necessaria una chiara definizione di programmi comuni a livello europeo, in modo tale da essere sicuri che non si sviluppino una pluralità di piattaforme. Non bisogna solo spendere di più, ma spendere meglio. E oggi in Europa non stiamo spendendo bene. Servirà una fortissima volontà politica per mettere a fattor comune i requisiti e quindi i programmi. Il secondo aspetto da mettere a fuoco è da dove si prenderanno queste risorse, alla luce del fatto che il bilancio degli stati è quello che è. Potremo anche sforare i vincoli del patto di stabilità ma serviranno comunque risorse per rimborsare il debito. Che cosa si taglia? Questo è un discorso che andrà fatto.”
Fonte: Milano Finanza
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