ruoli in giunta decisi al cospetto del referente di Cosa nostra

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«L’inizio di tutto». Una genesi che ha ispirato la canzone Bella storia di Fedez ma anche il nome del progetto politico dell’ormai ex sindaco dimissionario di Ramacca Nunzio Vitale, che di quel brano ne ha fatto un inno. Da qualunque parte la si guardi, l’epilogo della storia non è stato però tra i più fortunati. Per Vitale, i titoli di coda sono arrivati con l’arresto per scambio elettorale politico mafioso e la pesante ombra di un forte condizionamento, da parte della locale famiglia di Cosa nostra, nella vita amministrativa del Comune del Calatino. A distanza di due settimane dall’operazione Mercurio, che ha portato dietro le sbarre anche il vice presidente del Consiglio comunale Salvatore Fornaro, a Ramacca il clima è tutt’altro che sereno.

Archiviato tra le proteste il Carnevale, con lo stop disposto dalla questura alla sfilata dei carri e dei gruppi in maschera, il caso del blitz antimafia è approdato il 5 marzo in Consiglio comunale. Seduta in cui si è notata l’assenza del presidente Franco Nicolosi e nella quale la minoranza ha invocato le dimissioni di tutti i consiglieri – se stessi compresi – a fronte di «un’esperienza amministrativa che deve ritenersi conclusa», ha sottolineato la consigliera del Partito democratico Valentina Aparo, affiancata dal consigliere e segretario del Pd a Ramacca Agrippino Solennità. Dai banchi della maggioranza si è deciso però di temporeggiare: d’altronde, si è sottolineato, «il consiglio comunale non è un’aula di tribunale». È a quel punto che i componenti dell’opposizione decidono di alzarsi e andare via, la maggioranza resta dov’è e il rinvio a una seconda convocazione si chiude con l’assenza del numero legale ma le dimissioni formalizzate di Aparo e Solennità. A chiedere le dimissioni generali, nella prima convocazione, anche l’ex presidente del Consiglio Salvatore Barcellona, passato al gruppo misto a metà febbraio.

Ed è proprio sul ruolo politico e sulle scelte di quest’ultimo – non coinvolto nella vicenda giudiziaria – che si sono concentrati alcuni dialoghi tra gli indagati del blitz Mercurio. Intenzionati a tagliargli le gambe «e metterlo sopra una sedia a rotelle», se non si fosse dimesso dal suo ruolo di presidente del Consiglio dopo due anni e mezzo dall’elezione. Per inquadrare lo scacchiere politico bisogna però tornare indietro al 2021, quando Vitale viene eletto sindaco e bisogna scrivere i primi capitoli della Bella storia del suo progetto civico. Secondo i magistrati della procura di Catania, le basi di quella che sarebbe stata l’organizzazione politica a Ramacca vengono gettate, subito dopo le votazioni, nell’azienda ortofrutticola di Antonino Di Benedetto. Imprenditore, pure lui arrestato insieme al politico, ritenuto il referente della famiglia mafiosa locale e organizzatore di incontri riservati per il capomafia Pasquale Oliva. Il 6 novembre 2021, con il nuovo sindaco e Di Benedetto c’è anche un giovane consigliere comunale. Si tratta di Salvatore Fornaro, anche lui arrestato con l’accusa di essere sceso a patti con la mafia. Quella riunione, per i magistrati, rappresenta «l’atto di completa sottomissione a Cosa nostra da parte del nuovo sindaco», si legge nell’ordinanza. In un percorso che sarebbe iniziato a maggio 2021 con il presunto e fondamentale ruolo di Salvatore Mendolia, genero del boss Oliva e accusato di esserne il portavoce dopo l’ultimo arresto.

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I tre – il sindaco Vitale, il neo consigliere e l’uomo ritenuto il referente mafioso – dialogano proprio del ruolo che avrebbe dovuto assumere Fornaro, secondo le accuse sponsorizzato da Di Benedetto. Per il sindaco Vitale il «problema» sarebbe stata la scelta del consigliere più votato, Franco Nicolosi. All’epoca intenzionato a optare per l’assessorato anziché per il ruolo di presidente del consiglio. Alternativa che avrebbe messo il secondo dei più votati, ossia Barcellona, in pole position per il ruolo di vertice del senato cittadino. Per risolvere la faccenda c’era bisogno di un accordo politico in un percorso di alternanza: i primi due anni e mezzo – secondo i programmi di Vitale – sarebbero toccati a Barcellona (ignaro di questo accordo finito al centro delle indagini, ndr) e poi, a completare la legislatura, avrebbe lasciato spazio a Fornaro, intanto accontentato con l’incarico di vice presidente e guida di una commissione. «Ti do più visibilità – sosteneva il sindaco – dobbiamo andare in un posto, vieni con me che ci facciamo la fotografia». A mettere il sigillo sull’accordo, secondo le accuse, sarebbe stato Di Benedetto, intenzionato a tagliare le gambe all’ignaro Barcellona in caso avesse deciso di opporsi all’alternanza.

Alla fine i ruoli sono definiti, ma Franco Nicolosi non viene indicato assessore. Al suo posto, l’allora sindaco Vitale sceglie Stefania Giusi Arena, accoppiata con Nicolosi nella corsa alla carica di consigliera comunale. Fornaro è confermato vice presidente, come discusso nell’azienda di ortofrutta al cospetto di Di Benedetto, e la candidata a lui accoppiata, Maria Irene Giandinoto, viene scelta per l’assessorato alle Politiche sociali. Il colpo di scena arriva trascorsi i famosi due anni e mezzo. Barcellona non si dimette e il ben servito gli viene comunque dato con una mozione di sfiducia sottoscritta il 23 dicembre 2024. Nella stessa seduta, con la maggioranza di dieci voti, a prendere il suo posto non sarà però Fornaro, ma Franco Nicolosi, alla fine rimasto assessore solo per pochi mesi, prima di un nuovo mini rimpasto di giunta. L’ultimo dell’amministrazione Vitale prima degli arresti.





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