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La sentenza
Dunque non è stata accolta la richiesta della pm Lucia Lombardo, che nella sua requisitoria di circa quattro ore aveva chiesto l’ergastolo parlando di omicidio premeditato
Vent’anni di carcere. La sentenza piove come una tempesta di schegge addosso al padre Oleksandr, all’avvocato di parte civile, al pubblico ministero, alle amiche e agli affetti di Yana Malaiko, uccisa a 23 anni dall’ex fidanzato Dumitru Stratan, il 20 gennaio 2023, e ritrovata soltanto undici giorni dopo. Dentro una valigia, tra l’erba e i rovi di un anonimo lembo di campagna sul confine tra Castiglione delle Stiviere e Lonato. «Portata in discarica» come un rifiuto, ripete l’avvocato di parte civile Angelo Lino Murtas. Come una bambola rotta. Su questo non c’è dubbio: Yana è stata uccisa dal compagno col quale aveva condiviso una stagione della sua giovane vita. Spensierata all’inizio e irrequieta nell’epilogo. A confessarlo, dopo una sequenza di depistaggi, messo di fronte all’evidenza del ritrovamento, era stato proprio Dumitru, oggi 35enne.
A innescare la sua furia, la relazione allacciata da Yana con un ragazzo che frequentava la loro stessa cerchia, Andrei Cojacaru. Non più un amico e non ancora un fidanzato per la 23enne. Stavano imparando a conoscersi, a comporre insieme la grammatica del loro sentimento. Non ne hanno avuto il tempo. La Corte d’Assise presieduta da Gilberto Casari – con Raffaella Bizzarro come giudice a latere e sei giudici popolari – doveva stabilire se l’omicidio sia stato premeditato o meno. Se Yana sia stata attirata in trappola, nell’appartamento che divideva con la sorella dell’imputato, oppure se la sua morte è stata un esito imprevisto. Il più drammatico tra gli esiti.
Non una questione da poco, perché soltanto la premeditazione avrebbe legittimato la condanna all’ergastolo. La decisione arriva alle 15.30 di un giovedì (6 marzo) crudelmente assolato, dopo oltre tre ore di camera di consiglio. In coda a una mattina di controrepliche, ricostruzioni, foto del volto tumefatto di Yana, analisi di tracce ematiche e lesioni. Il sangue e i succhi gastrici. Un campionario di dettagli crudi a rinnovare lo strazio di Oleksandr Malaiko. A riaprire le sue ferite di padre costretto a rivivere la morte feroce della figlia. Ancora, ancora e ancora. Così per dieci, interminabili udienze. Così per il resto della sua vita.
Vent’anni significano che, secondo la Corte, non ci sono elementi sufficienti a sostenere la premeditazione oltre ogni ragionevole dubbio. Diversamente da altre aggravanti – come quello della relazione affettiva – riconosciute e conteggiate nel calcolo della pena. Omicidio aggravato, quindi, per un totale di trent’anni, ridotti di un terzo per effetto di un automatismo che lascia disorientati. Lo stesso Stratan, dal carcere, aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato. Richiesta respinta perché c’era da sciogliere il nodo della premeditazione, e i reati per i quali la legge prevede l’ergastolo non ammettono il giudizio abbreviato.
Caduta l’aggravante della premeditazione, quella stessa richiesta depositata dall’imputato ha fatto sì che scattasse lo sconto di pena. Con i benefici di legge in caso di buona condotta, una condanna a vent’anni, di cui due già scontati, significa che tra otto anni Stratan potrebbe uscire in semilibertà. È questo ad alimentare la pena rabbiosa del padre e l’indignazione dell’avvocato Murtas. È questo a stordire chi ascolta la sentenza nell’aula piena. A nulla valgono i 750mila euro di provvisionali – 300mila a testa per i genitori di Yana, 100mila per la nonna e 50mila per il nonno – e la prospettiva che, scontata la pena, Dumitru sarà espulso dall’Italia. In attesa del deposito delle motivazioni, entro novanta giorni, gli avvocati della difesa, Gregorio Viscomi e Domenico Grande Aracri, non commentano.
A parlare, invece, è l’avvocato Murtas, che resta convinto della premeditazione: «Non siamo soddisfatti da questa sentenza, il padre è rimasto molto affranto, vogliamo una giustizia proporzionale alla gravità del gesto. Il fatto di uccidere la propria compagna, di metterla in una valigia e buttarla in discarica, creando un sacco di depistaggi, come i messaggi mandati dal telefono della persona uccisa, e il tentativo di far sparire subito le prove, dimostrano proprio la voglia di uccidere». Murtas cita il caso di Joanna Nataly Quintanilla, la babysitter uccisa dal compagno e ritrovata nei giorni scorsi nell’Adda, in una valigia: «Questi casi ripetuti di povere donne chiuse dentro sacchi, come fossero spazzatura, pongono la necessità di pene gravi, che impauriscano chi pensa di uccidere. Per un padre non è pensabile che l’assassino della figlia possa uscire dal carcere dopo dieci anni. Per questo faremo appello». «È il giorno più brutto della mia carriera» gli fa eco il criminologo Gianni Spoletti, consulente di parte civile. Fuori dal tribunale, Oleksandr Malaiko si muove inquieto. Fuma, telefona, si accovaccia sulle ginocchia. Quando esce il pubblico ministero Lucia Lombardo, le si avvicina. Prima di salutarlo, lei gli prende la mano e lo rassicura: «Andremo fino in fondo».
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