Competitività, parlando di economia, è una sorta di parola magica. Infatti, per un Paese avere un sistema produttivo competitivo significa generare ricchezza, stimolare l’occupazione e contribuire alla stabilità sociale. Vale per l’economia in generale ma anche, nello specifico, per i comparti produttivi coinvolti nella transizione energetica.
Ed è proprio di questo che si occupa “Industria e Decarbonizzazione – Una strategia per la competitività”, una recente analisi che è stata realizzata da ECCO, il think tank italiano, indipendente e senza fini di lucro, dedicato alla transizione energetica e al cambiamento climatico.
Indispensabile una nuova visione per l’industria italiana
“Una nuova visione per l’industria nazionale, integrata al percorso di decarbonizzazione – si legge nel rapporto –, è indispensabile per tenere il passo del processo di trasformazione in atto, le cui forze propulsive trovano vigore nei mercati globali e, a dispetto della complessa situazione geopolitica, non rallenteranno così facilmente”.
In quest’ottica, la pubblicazione avvenuta lo scorso ottobre da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) di una strategia industriale nazionale viene giudicata tempestiva da ECCO. Tale strategia, raccolta in un Libro verde, è stata oggetto di una consultazione pubblica “a cui anche ECCO ha contribuito, evidenziando le molteplici implicazioni rispetto alle politiche del clima intrinseche al processo”.
Perché una strategia nazionale
Nel rapporto viene quindi sottolineato come, proprio in virtù dello sviluppo di una strategia nazionale, diventa possibile prendere una migliore coscienza delle opportunità e delle sfide che le prospettive di decarbonizzazione dell’industria nazionale offrono rispetto al tessuto produttivo italiano.
“Un allineamento della strategia nazionale su questi obiettivi consentirebbe di influenzare la strategia europea, valorizzando le caratteristiche del sistema produttivo nazionale”. Caratteristiche che si sintetizzano in produzioni meno intensive, nella maggiore efficienza energetica e delle risorse, in una preponderante presenza di piccole e medie imprese, in distretti industriali specializzati e lavorazioni artigianali.
Il coinvolgimento delle filiere
Un elemento centrale della nuova strategia, prospettato nel Libro verde, è rappresentato “dal coinvolgimento delle filiere tramite tavoli settoriali, che può favorire la costruzione di una base di conoscenza solida e integrata. Questa impostazione è necessaria per un settore industriale costituito da una molteplicità di processi produttivi e di catene del valore con strette interconnessioni a livello globale”.
Nello studio viene rimarcato come le strategie di filiera settoriali e mirate sono la base di partenza per lo sviluppo di una nuova visione del tessuto industriale nel difficile contesto geopolitico attuale. Strategie che aiutano “nel determinare gli elementi strategici di ogni singola filiera in relazione allo sviluppo dei mercati, agli obiettivi del clima, al loro valore aggiunto, al divario competitivo esistente rispetto alle altre economie globali e alle implicazioni occupazionali”.
Serve un approccio differenziato
Inoltre, viene evidenziato come lo sviluppo di politiche industriali in un contesto di catene di valore molteplici e interconnesse richiede un approccio differenziato. La ragione è che per alcuni processi produttivi le soluzioni tecnologiche per allineare i processi di produzione con gli obiettivi Net Zero non esistono ancora o non sono economicamente competitive. Invece, in altri processi le soluzioni esistono e sono già le più economiche ed efficienti.
“Da un lato – si spiega – occorre uno sforzo di indirizzo delle risorse verso ricerca e sviluppo delle soluzioni lì dove non esistono in modo ampio; dall’altro lato, occorre puntare su tecnologie specifiche che, alla prova di costo-efficacia, risultano più vantaggiose. Basare, quindi, una strategia solo su politiche che privilegiano la neutralità tecnologica, come il pricing del carbonio, non appare una soluzione vincente”.
Gli elementi comuni alle filiere
Ma accanto allo sviluppo delle strategie di filiera, che sono verticali e settoriali, permane la necessità di elaborare strategie relative ad alcuni elementi che invece sono comuni a tutte le filiere. Il primo di tali elementi “è far sì che la transizione verso le rinnovabili sia al servizio della competitività delle imprese e che i vantaggi di costo che ne derivano siano messi al servizio delle imprese e dei consumatori”.
In questo senso, nell’analisi di ECCO, la strategia dovrebbe partire dal ribilanciamento dei prezzi dei vettori energetici, affinché riflettano in modo corretto il loro contributo rispetto alla transizione e alla sicurezza energetica. Occorre, poi, “una visione per l’utilizzo transitorio del gas naturale e dei suoi sostituti, con canali privilegiati ed esclusivi per gli usi industriali del calore ad alta temperatura”.
Un mercato per i prodotti green
Il secondo elemento comune è la creazione di un mercato ad hoc, perché nella strada che porta al raggiungimento degli obiettivi climatici si crea una domanda per i prodotti “verdi” allineata con la transizione. Si tratta quindi di “una dimensione chiave della politica industriale a livello europeo, in cui peraltro l’Italia ha già buone prassi in atto, avendo integrato gli acquisti pubblici green nel codice degli appalti pubblici già dal 2016”.
Ma perché questa domanda si trasformi in un mercato effettivo, “è necessario introdurre degli standard emissivi che facciano da parametro di riferimento, per favorire prospettive di mercato e un effetto volano verso la diffusione di nuove metodologie produttive, più allineate rispetto agli obiettivi di circolarità e sostenibilità”.
L’occupazione e gli investimenti
Nell’analisi di ECCO ulteriori capitoli sono dedicati all’occupazione e agli investimenti. Dal punto di vista del mondo del lavoro, le nuove strategie settoriali dell’industria dovrebbero guardare alla valutazione delle figure professionali e delle competenze necessarie alla trasformazione green, includendo lavoratori diretti e indiretti. Importante anche lo sviluppo di percorsi educativi dalle scuole superiori all’Università.
Infine, il rilancio della competitività nella fase di transizione richiede una riallocazione degli investimenti. Ne deriva “la necessità di una strategia che consenta alla finanza pubblica di attivare un effetto leva verso gli investimenti privati, soprattutto mediante investimenti diretti in infrastrutture abilitanti, supporto dell’innovazione, nonché attraverso la struttura degli incentivi fiscali e finanziari che canalizzano le risorse private nella direzione desiderata”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link