Anno «nuovo», Trump non ferma le guerre e non porta la pace

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Il 31 dicembre 1999, a Mosca, Boris Eltsin fa squillare le trombe annunciando la consegna del potere a Vladimir Putin, fautore di un corso politico sempre più autoritario. A 25 anni esatti di distanza, il grande anno elettorale delle democrazie, il 2024, si chiude oggi con la sconfitta di tutte le forze politiche presentatesi al governo, Usa inclusi.

Contrariamente a quanto molti pensavano 4 anni fa, la parentesi accidentale non é stata la presidenza Trump, ma quella di Biden. Dal giorno della rivincita Donald Trump non ha fatto che lanciare messaggi che saldano i diversi teatri regionali in un quadro geostrategico. È evidente il respiro globale della guerra che la Russia di Putin ha scatenato in Ucraina 1.042 giorni fa: essa lascia la propria impronta negli scenari più disparati, dal Baltico alla Corea del Nord, dall’Azerbaigian alla Siria. Un filo collega le tensioni su gasdotti e cavi sottomarini, le migliaia di morti (molti suicidi) fra i soldati che Pyongyang sacrifica in cambio di tecnologia missilistica, e il volo di linea azero colpito sui cieli di Grozny dai russi, e poi deviato fuori confine, sperando in un silenzioso inabissamento nel Caspio. L’Europa è ormai investita in pieno dall’onda, e ne sono prova i ricorrenti episodi di sabotaggio delle infrastrutture civili (energia, trasporti, comunicazioni).

In Siria, l’affanno di Mosca (sostituita da Kyiv nelle forniture di grano a Damasco?) e l’indebolimento della ‘mezzaluna sciita’ (Teheran) lasciano spazio alla ‘luna piena’ di Ankara, la cui fase crescente era già annunciata dalla pulizia etnica azera (spalleggiata anche da Israele) sulle montagne del Karabakh.

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NEL FRATTEMPO a Parigi come a Berlino è difficile decifrare il segno e il contorno della maggioranza politica che governa. Fra Bruxelles e Strasburgo, la Commissione e il Parlamento europei si trovano il baricentro politico spostato a destra. Tuttavia, le forze che predicano l’uscita dall’Ue perdono consensi ovunque: pesano le nuove tensioni internazionali, incluse quelle previste anche sul fronte euro-atlantico, con Elon Musk – amico di Meloni – che un giorno evoca la guerra civile nel Regno Unito e quello dopo appoggia l’estrema destra dell’AfD in Germania.

È probabile che Trump cercherà di battere subito un colpo puntando a fermare la guerra in Ucraina. La sua azione si caratterizzerà come superamento della formula del burden sharing (condivisione degli oneri con gli alleati), in direzione del burden shifing (disimpegno dagli oneri): una strategia più affine alle preferenze dell’elettorato Maga. In effetti, mentre Biden continua a inviare aiuti militari a Kyiv, da tempo circolano notizie sul piano per l’Ucraina di Trump. Tuttavia, l’idea per la quale saremmo vicini a una svolta è illusoria. Trump si troverà a dover mandare segnali circa le proprie ambizioni strategiche, incluso in tema di deterrenza nucleare, ambito nel quale i calcoli sono estremamente complessi a causa degli sviluppi tecnologici e della crescita degli arsenali cinesi, non inclusi nel quadro – ormai compromesso – del dialogo strategico fra Washington e Mosca. Fedele alla dottrina della pace attraverso la forza, è possibile che Trump inseguirà la chimera di una deterrenza commisurata alle capacità di Russia e Cina fra loro sommate.

DEL RESTO i repubblicani sono sempre stati falchi al tavolo del controllo degli armamenti. Per Trump la reputazione è fondamentale: non può permettersi di inaugurare il mandato con una mossa percepita come debole, o accettare un bad deal con Mosca, che vedrebbe foriero di scenari nefasti nei rapporti con Pechino. Un disimpegno mal ponderato dall’Ucraina rischia di diventare per Trump quello che il caotico disimpegno americano dall’Afghanistan è stato per Biden. Per quanto prema sugli europei (il pattugliamento del fronte ucraino), o sui paesi del Golfo, ritirarsi dalla Siria o dall’Ucraina è oggi tutt’altro che semplice: sono in gioco equilibri globali e i teatri di guerra sono tra loro connessi.

LE PAROLE con cui Lavrov ha liquidato le anticipazioni del piano di pace di Trump per la pace ne sono la prova. La Russia è convinta che il tempo giochi a proprio favore, e che sia possibile in Ucraina una vittoria che lascia spazio a concessioni di benvenuto al presidente americano. L’annuncio russo di fine della “moratoria unilaterale” sui missili a medio raggio, quale risposta alle nuove dotazioni di difese missilistiche all’Ucraina, è un gesto spettacolare, perché Mosca non si è mai attenuta a nessuna moratoria. Furono proprio le ripetute infrazioni del trattato Inf a indurre i falchi repubblicani durante la prima presidenza Trump a portare gli Usa fuori dal trattato. Nulla impedisce oggi che questa logica, continuata anche sotto la parentesi Biden, ci conduca fino a febbraio 2026, allo scadere dell’ultimo trattato ancora in piedi, il New Start. Lo stesso Lavrov ci ha tenuto a precisare che da oggi ad allora «molte cose possono accadere».

È DUNQUE PLAUSIBILE che, al di là di un po’ di teatro, Mosca continui ad evitare i negoziati sull’Ucraina, mentre Washington seguirà la propria vocazione a far subito bella mostra del potente fucile appeso sopra il caminetto, con buona pace di quanti hanno creduto a Donald Trump che ferma le guerre e porta la pace. Questo stile di pensiero astratto, tipico di ogni escalation, dà grande comfort a chi ama discettare di logica strategica, sciacquando nelle “necessità della geopolitica” le morti di massa a venire. Antagonismo militarista e nazionalismo sono sintomi di patologie strutturali più profonde: le stesse cavalcate da chi predica, a ogni latitudine, la democrazia come raggiungimento di grandi risultati per i quali è necessario spaccare ogni regola e ogni diritto.



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