La Bce abbassa ancora i tassi, ma i dazi di Trump minacciano i tagli futuri

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Il nuovo taglio porta i tassi europei al 2,5 per cento, un minimo rispetto a quando il costo del denaro è tornato a crescere. I nuovi dazi di Trump e i soliti problemi con l’energia, però, potrebbero rendere la politica monetaria un’arma spuntata in futuro

La Banca centrale europea, la principale istituzione di politica monetaria dell’Eurozona, ha annunciato un taglio dei tassi di interesse di 25 punti base, portando il loro livello al 2,5 per cento.

La decisione conferma la volontà della Bce di stimolare l’economia e provare ad accompagnare nella crescita i paesi dell’Eurozona. Il problema è che il prolungarsi dei conflitti in corso, le maggiori tensioni internazionali dovute all’insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti e i dazi minacciati dallo stesso Trump hanno cambiato il contesto economico europeo e globale.

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Normalmente i tassi di interesse si abbassano quando l’economia fa fatica a crescere. Questo perché quelli imposti dalla banca centrale influenzano direttamente o indirettamente tutti i tassi di interesse applicati ai prestiti offerti da banche istituti finanziari. Il tasso di interesse imposto della Bce, per esempio, influenza direttamente l’Euribor, che è il tasso base su cui si calcolano la maggior parte dei mutui variabili. Abbassare i tassi di interesse non significa solo rendere più semplice acquistare una casa, ma anche prendere a prestito del denaro per fare un investimento per la propria impresa o per acquistare dei beni di consumo, come televisioni o automobili.

Il fatto che indebitarsi costi meno spinge le persone ad acquistare di più e questo ha un impatto positivo sull’economia. Allora perché non manteniamo sempre a zero i tassi di interesse in modo da stimolare la crescita economica? Perché abbassare i tassi comporta anche delle conseguenze negative.

Le possibili conseguenze di un taglio dei tassi

In particolare, i tassi più bassi rischiano di spingere le persone a comprare troppo, surriscaldando l’economia. Questo avviene quando ottenere denaro per le persone diventa troppo semplice, mentre le risorse e i beni da comprare a disposizione iniziano a scarseggiare perché sono troppo richiesti. Questa situazione porterà un aumento del livello generale dei prezzi, dato che la quantità di beni e servizi da acquistare rimarrà più o meno la stessa, mentre la domanda sarà cresciuta. In quel caso, c’è troppo denaro a disposizione e il suo prezzo, cioè il tasso di interesse, è troppo basso. La banca centrale deciderà allora di aumentare i tassi per poter spingere le persone a prendere meno a prestito e spendere meno proprio perché è diventato meno conveniente farlo.

Avendo chiara questa dinamica, sembra molto semplice decidere cosa fare: la Banca centrale europea dovrebbe abbassare i tassi di interesse per stimolare la magrissima crescita economica negli ultimi due anni all’interno dell’eurozona. In fondo, l’inflazione non è più un problema come nel 2022, no?

In realtà, non si può dare per scontato che una crisi inflattiva non possa tornare. Le guerre in corso, infatti, hanno già fatto crescere il prezzo dell’energia, un bene da cui dipende quasi tutto, dato che per la produzione di beni e servizi è quasi sempre necessario l’utilizzo di elettricità. Questo problema si può prevenire solo con una solida politica energetica, ma si tratta di una soluzione di lungo periodo difficilmente applicabile nell’immediato.

La minaccia dei dazi

Oltre ai maggiori costi di produzione, finora piuttosto contenuti, c’è poi un altro fattore che rischia di far aumentare i prezzi, cioè proprio la guerra commerciale minacciata da Trump. Le politiche protezionistiche, come i dazi, tendono infatti a far aumentare il il livello generale dei prezzi all’interno di un’economia. Il meccanismo è molto semplice: se imponiamo un dazio di 10 euro, a pagarlo non saranno i produttori stranieri, ma le imprese importatrici per poter far passare alla dogana i beni acquistati all’estero. Questo significa che se gli Stati Uniti impongono dazi ai paesi europei, a pagare di più saranno gli americani.

Allo stesso tempo, però, l’aumento dei prezzi potrebbe spingere i cittadini statunitensi a comprare meno beni dall’estero perché sono diventati più cari, con un impatto negativo sui paesi su cui questi dazi sono stati imposti. Dunque, le economie che subiscono la guerra commerciale di Trump cercano di frenarla contrattaccando, cioè imponendo nuovi dazi su beni americani. Questo però porterà a un aumento dei prezzi anche in Europa, per lo stesso meccanismo che abbiamo visto prima.

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Dunque, se da una parte la necessità di stimolare l’economia può sembrare prioritaria in questo momento, è anche vero che questo stimolo potrebbe tornare a far accelerare i prezzi, rischiando di farci crollare nuovamente in una crisi inflattiva.

Possiamo stare sereni, il board della Banca centrale europea conosce bene queste dinamiche e, speriamo, non esiterà ad alzare i tassi se tornasse lo spauracchio dell’inflazione. Allo stesso tempo, però, dobbiamo essere consapevoli che la leva della politica monetaria, ossia la riduzione dei tassi di interesse, non può essere utilizzata per sempre. Occorre rimettere in sesto il prima possibile l’economia italiana e quella europea ed essere pronti a eventuali shock futuri, nel caso in cui abbassare i tassi non fosse più possibile.

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