Pallacanestro Trieste, il viaggio di Denzel Valentine

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La passione per il basket e quella per l’hip-hop, i capisaldi di un viaggio che dai Grandi Laghi d’America ha portato Denzel Valentine sulle rive del Golfo di Trieste. L’esterno nativo di Lansing, città dello stato americano del Michigan, è approdato nel capoluogo giuliano nel pieno della sua maturità cestistica, recitando fin dal primo istante un ruolo di assoluto protagonista nell’ottima annata degli uomini di Jamion Christian. Ora è ai box per l’infortunio al peroneo rimediato nella semifinale di Coppa Italia con Trento, da cui punta a recuperare al più presto.
In queste settimane di stop, Valentine ne ha approfittato per far conoscere al popolo triestino la sua musica con il singolo “Want You”, traccia del suo secondo album intitolato “The Journey”, uscito su tutte le piattaforme digitali a fine gennaio. Di sicuro non è passato inosservato il videoclip della canzone, ambientato nel centro di Trieste, tra Piazza dell’Unità e le Rive. Una scelta, questa, che per lui è stata quasi scontata. «Trieste è una città meravigliosa, molto sottovalutata ma tra le migliori d’Italia e pure nel mondo – ha spiegato -. Gli edifici, il cibo, le persone: ci tenevo a mostrare a più persone possibili quanto sia speciale. Molti amici dall’America mi hanno scritto perché ammaliati dalla sua bellezza».
Qual è il suo posto del cuore qui a Trieste?
Senza dubbio il PalaRubini: la passione del pubblico triestino è incredibile e la loro energia è la stessa che poi metto sia in campo che nella mia musica. Con loro c’è totale sintonia. Così come con i miei compagni (nel video di “Want You” compaiono Brooks, Brown, Johnson e Ross, ndr), tra tutti noi c’è un legame fortissimo e mi sembrava giusto mostrarlo.

Oltre al basket, anche quella per l’hip-hop è una passione che parte da molto lontano. Quando ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica?
Diciamo che con questa musica ci sono cresciuto. Ho un flash di me a tre anni in macchina con mio papà che ci ascoltavamo The Notorious B.I.G., 2 Pac e Jay-Z. Tutto è partito da lì. Da ragazzo adoravo fare freestyle con i miei amici, mi veniva proprio naturale. Poi al college (alla Michigan State University, ndr) un mio compagno di squadra, che produceva musica sul suo laptop, mi fa: “Perché non provi a fare una canzone?”.
Quali sono i suoi artisti di riferimento?
Sicuramente Future e Drake. Per me sarebbe un sogno trovarmi un giorno in studio con loro. Nel mio secondo anno in Nba ero riuscito a incontrare Drake in un ristorante a Miami, fu un momento indimenticabile. Tra gli altri che ascolto volentieri, ci sono pure Lil Baby, Gunna e Rockie Fresh, un rapper molto popolare a Chicago con cui ho avuto il piacere di collaborare nel mio primo album.

Ci sono anche rapper italiani nella sua playlist?
Adoro Lazza! Il suo stile è semplicemente fantastico, proverò a mettermi in contatto con lui per vedere se riusciamo a registrare una traccia insieme.
Dieci anni e due album dopo, cosa vuol dire per lei fare musica?
È un modo per dare sfogo a tutti i miei pensieri, far fluire la mia creatività e liberarmi dallo stress. Quando mi chiudo nello studio di registrazione non c’è niente all’infuori della musica, è come se entrassi in uno stato di tunnel vision che mi permette di esprimere al meglio ciò che sento.
Il titolo del suo ultimo album, “The Journey”, evoca le numerose tappe che hanno contraddistinto la sua vita. La prima è Lansing, la sua città natale, già celebrata nel disco d’esordio “517 Made Me”, uscito nel 2021

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Esatto. Lì ho imparato tantissime cose e sono passato tra numerose avversità, il che mi ha forgiato nella persona che sono ora. Non potrò mai dimenticarmi di Lansing e ogni occasione è buona per mostrare il mio affetto alla sua gente.
Lansing, tra l’altro, è il luogo dove la sua carriera cestistica ha preso il volo: negli Spartans di Michigan State nel 2015 raggiunse a sorpresa le Final Four del torneo NCAA, mentre nel 2016 vinse il premio di giocatore dell’anno del basket collegiale. In entrambi i casi, il coach era Tom Izzo. Che ruolo ha avuto nella sua carriera?
A lui devo tutto. Mi ha fatto crescere come persona e come uomo, ogni anno insieme a lui riuscivo sempre a migliorare in qualcosa. Parliamo pur sempre di un hall of famer, di uno dei migliori coach di sempre del basket americano. Sarò sempre grato che le nostre strade si siano incrociate.
Poi l’approdo in Nba, quando i Chicago Bulls lo scelsero per quattordicesimo al Draft del 2016. Cinque anni tra alti e bassi: che bilancio si sente di fare?
Chicago è stata una parte divertente del mio viaggio, ho sentito molto l’affetto della città e in generale ho ottimi ricordi. La situazione non era comunque delle più semplici, in quel periodo ci sono stati due front office, tre diversi allenatori, in più la squadra veniva stravolta ogni anno. Non mi sento comunque di dare un giudizio negativo a quell’esperienza, anzi, mi è piaciuta molto. Al netto dei giudizi esterni, sono tra i primi 15 nella storia dei Bulls per triple segnate. Non è male, considerato che ho saltato un’intera stagione e poi nelle ultime due mi hanno ridotto il minutaggio. Speravo di rimanerci più tempo, invece poi sono passato ai Cleveland Cavs, ma così vanno le cose.

Dopo un lungo girovagare, che l’ha vista anche a Sidney e Milano, ora a Trieste sembra che abbia trovato la sua dimensione ideale. Il gioco di coach Christian, fatto di transizioni rapide e ricerca degli scarichi da tre punti, la sta aiutando in questo senso?
Penso che qui ci sia la cultura sportiva giusta per rendere al meglio, merito del lavoro di Christian e del gm Arcieri, iniziato già la scorsa stagione. Essere saliti dalla Serie A2 e ripartire con una squadra quasi del tutto nuova non è affatto banale, e io sono grato di farne parte. Noi giocatori, così come lo staff e la dirigenza, navighiamo sulla stessa rotta, sempre pronti ad aiutarci l’uno con l’altro. Adesso, speriamo di regalarci un finale di stagione come si deve.
Che aspettative avete?
Vincere lo scudetto, perché no? Abbiamo una delle migliori squadre del campionato d’altronde. Poi non so se ci riusciremo davvero, ma i mezzi non ci mancano di certo. Basti pensare alla partita in Coppa con Trento, quando con me e Colbey (Ross, ndr) fuori siamo andati a un soffio dal vincerla. Per non dire dell’ultima vittoria nel derby con Treviso. In generale, siamo riusciti a battere quasi tutti i top team e sappiamo di potercela giocare alla pari contro ogni avversaria. Il potenziale non ci manca, dobbiamo solo metterlo sul parquet e sperare di essere al meglio fisicamente una volta arrivati ai playoff. Vedremo che succederà, ma ho belle sensazioni.



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