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Inizio a scrivere questa newsletter ritardataria seduta nella lounge fra i gate di Zaventem, uno di quegli spazi liminali che esistono quasi solo negli aeroporti, e che in questo caso non è munito neanche del minimo sindacale delle prese di corrente. In questo limbo dell’esistenza ho almeno due ore per riassumere i tre giorni che ho trascorso insieme alla delegazione delle Donne Democratiche, e in Italia è appena arrivata la notizia della richiesta di revoca dell’immunità parlamentare per due elette del Partito Democratico, nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione scoppiata quasi due anni fa.

Del merito della faccenda ne so quanto il resto del mondo, e mi riservo di non avere un’opinione specifica. Quello che so, e che non cambia mai almeno dal 2019, è che ancora una volta sono tornata a camminare nei corridoi della casa comune europea, che a molti appare come il luogo in cui la volontà dei cittadini va a morire, e che invece a me, ogni volta, sembra un porto sicuro. Non lo so spiegare: saranno le cento lingue che senti parlare nei corridoi, sarà l’incontro con persone che provano a tenere insieme istanze e culture diverse per arrivare a una politica comune, non lo so cos’è: so che Bruxelles e ile istituzioni europee mi sembrano l’esatto contrario della morte della volontà popolare, anzi, un luogo vivo di incontro e partecipazione pensato per dare espressione anche alle realtà locali.

Per fare un esempio: io non sapevo dell’esistenza del Comitato europeo delle regioni, un organo consultivo pensato per agire a livello di regioni, province, città di ogni paese membro, e che attualmente è guidato dall’ex vicesindaca di Budapest Kata Tüttő, di cui lo staff parla con un trasporto quasi commovente. Tüttő è una socialista che è riuscita a conquistare la presidenza con una maggioranza schiacciante, anche se il protocollo informale avrebbe voluto che il ruolo fosse assunto da un rappresentante dei Popolari. La sua simpatia e disponibilità hanno più che compensato la levataccia per andare a incontrarla. Oh riga’, io la mattina presto sono a malapena umana, figuriamoci quando per fare colazione mi tocca cercarmi una boulangerie che sia già aperta alle sette di mattina, cosa a quanto pare rarissima in centro a Bruxelles.

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Certo, ci sarebbe molto da lavorare per renderla più funzionale, questa unione (tipo: eliminare il veto nella politica estera), ma sono almeno sei anni che penso che se c’è un futuro condiviso, è lì che lo troviamo. L’Unione europea è incompleta e imperfetta. È anche l’entità che negli anni ha lavorato per proteggere i suoi cittadini e consentire loro di muoversi in un mondo più grande rispetto a quello in cui erano nati.

Per questo mi dispiace che se ne possa parlare (in maniera più o meno motivata) in termini di corruzione e malaffare: perché dell’Europa abbiamo bisogno, e non sappiamo nemmeno quanto. Possiamo criticarla, possiamo chiedere che faccia di più e di meglio, possiamo manifestare per esprimere dissenso, ma il sogno di Spinelli, Rossi e Colorni era un sogno di pace e unità nato dalla carne viva di una ferita aperta. Abbiamo bisogno di stare insieme, di cooperazione, di vicinanza. E anche se so che la schadenfreude non sta bene, c’è voluto meno di un decennio e pochi anni di entrata in vigore degli accordi per far cambiare opinione alla maggioranza dei britannici sulla Brexit. È stata una pessima idea, ha massacrato la loro economia senza restituire alcun genere di vantaggio sul piano pratico, e ora che l’Europa è direttamente minacciata non solo dalla Russia ma anche dagli Stati Uniti, ecco che i tavoli si fanno di nuovo tutti insieme. Non per fare quelli che la sapevano, ma: noi ve l’avevamo detto.

Va’ come sembro una persona seria?

Al quarto paragrafo ancora non l’avevo scritto, quindi provo a riassumerlo: l’idea di Roberta Mori, la portavoce e capovillaggio delle Dem, è di avviare i lavori per una conferenza internazionale delle donne per la pace.

Con il concetto di “pace” la società civile ha, al momento, un rapporto piuttosto controverso, catalizzato dai disaccordi su come andrebbe gestita l’invasione russa dell’Ucraina. Sto litigando con troppa gente per avere voglia di farlo anche qui, e purtroppo quello che scrissi nei giorni in cui la guerra era appena scoppiata è stato obliterato dal fallimento (e successiva cancellazione degli archivi, in stile Nulla che avanza) de La Svolta. E anche se il plurale di aneddoto non è dati, in questi anni non ho mai conosciuto un solo cittadino o cittadina ucraini che non fossero convinti della necessità di difendere la propria patria, con buona pace delle contorsioni ideologiche di una certa parte della sinistra. Però è anche vero che sulla pace va fatta manutenzione, ed è evidente che da un po’ di anni siamo stati (almeno sul versante occidentale) piuttosto carenti.

Io non so come andrà, e non mi illudo che sia semplice, ma partecipare ai processi mi sembra tuttora più produttivo che assistere in maniera passiva. E comunque tre giorni a Bruxelles con le Dem sono stati uno spasso: faticoso (un evento dietro l’altro quasi senza pause), ma uno spasso. Anche se la quantità di foto e selfie che ci siamo fatte per ordine di Roberta è complessivamente superiore a quella che mi faccio in un anno, forse due.

Quella alta che sta dietro.

Non era la prima volta che ci andavo, ma è la prima volta che ci vado e faccio un po’ la turista, complice anche un filotto di giornate splendide con cui la capitale belga si è un po’ fatta perdonare l’anonimato che l’affligge. Fino a qualche anno fa mi dicono che ogni tre passi c’era un posto che vendeva patatine fritte (il piatto nazionale), adesso invece è tutto cioccolaterie gourmet, il che mi fa sospettare che nessuna lo sia. Come dicevo: fare colazione prima delle otto di mattina pare un’eresia, quindi eccomi alle undici di sera, crepata di sonno, a frugare su Google Maps alla ricerca di un posto che mi sfamasse.

A Bruxelles non si mangia benissimo, però il coniglio alla birra e le moules frites della Brasserie Greenwich (che dicono essere il luogo in cui nacque la resistenza belga) erano ottimi, come anche il gaufre preso al volo prima di ripartire dalle parti della Grand-Place. Abbiamo trovato un tempo meraviglioso, cosa che mi ha permesso di fare un po’ di foto che metterò su Instagram dopo aver mandato la newsletter (tanto per dare da mangiare all’algoritmo): non capita spesso.

Non c’entra molto, ma per certi versi c’entra: in questi giorni di avvicinamento al giorno in cui il fiore scelto da Teresa Mattei per celebrare la Giornata internazionale della donna diventa il simbolo del disimpegno collettivo degli uomini italiani rispetto alle disparità. Eccoti la mimosa, tanti auguri, cazzo vuoi. In questo clima esasperante, ho letto ridacchiando la storia scritta e illustrata da Sio per Gigaciao, “Donna Laser contro il Patriarca”, che si può leggere e scaricare gratuitamente qui. Io voglio molto bene a Sio per un sacco di motivi, e il fatto che sia così placidamente e apertamente femminista, nell’arte e nella vita, non è irrilevante (quello principale è che una delle persone più simpatiche del mondo). Gigaciao ve la potete anche comprare, anzi, compratevela. Meglio sostenere una realtà indipendente del fumetto italiano, piuttosto che buttare i soldi nel pinkwashing del capitalismo.

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Mi dicono che ci sono pochissimi biglietti per le date di Brutta a Roma, animo, animo. Le date con l’asterisco sono quelle in cui ci sono anche io:

6-9 marzo – Roma, Spazio Diamante*

14 marzo – Terni, Teatro Secci*

15 marzo – Arsoli, Teatro La Fenice*

30 marzo – L’Aquila, Teatro dei 99

11 aprile – Gozzano (NO), Sala Somsi

Oltre al tour di Brutta abbiamo:

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12 marzo – Diretta streaming per il ciclo MENSA Talks, a tema “Femminismo, filosofia di liberazione. Cliccando sul link si può mettere un avviso di inizio dell’evento.

21 marzo – San Vito al Tagliamento, presentazione di Cose mai successe, Circolo Arci CRAL.

Ciao!

Giulia



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