In che senso i fondi europei per le regioni più povere potranno essere usati per la difesa

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Martedì la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato un nuovo piano per finanziare la difesa europea. Il piano si chiama ReArm Europe e dovrà essere sottoposto al Consiglio, cioè ai leader dei paesi membri. Tra i cinque punti fondamentali che lo compongono, alcuni prevedono lo stanziamento di nuove risorse, altri invece il riutilizzo per scopi militari di fondi già predisposti.

Il piano è stato criticato per la sua ristrettezza e per una certa mancanza di coraggio, ma è indubbiamente un salto di qualità nelle politiche europee per la difesa. Dopo decenni di discussioni sulla necessità di una difesa comune, e dopo che l’invasione russa dell’Ucraina aveva ulteriormente animato i dibattiti senza però produrre granché di concreto, l’annuncio di Von der Leyen mostra che qualcosa si sta muovendo.

Verranno per esempio emessi, per la prima volta in sostegno del settore della difesa, degli “eurobond”: la Commissione, cioè, vincendo le resistenze di Germania e Paesi Bassi, emetterà debito comune a nome di tutta l’Unione, e con quello finanzierà prestiti agli Stati membri per rafforzare la propria capacità produttiva nel sistema della difesa e per fare investimenti nel settore militare, aerospaziale e della sicurezza informatica. Il meccanismo è un po’ simile a quello del Next Generation EU che sta alla base dei piani nazionali di ripresa (come il PNRR italiano), ma in questo caso saranno solo prestiti, e non anche sovvenzioni. Se questo è uno strumento finanziario nuovo, c’è poi una parte sostanziosa di ReArm Europe che si basa sul ripensamento di misure già attive: in questo caso sono i Fondi di coesione, cioè quelli stanziati dalla Commissione per sostenere le aree più depresse del continente e ridurre i divari territoriali.

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A partire da questo punto si sono sviluppate le polemiche di diversi partiti, tra cui Alleanza Verdi e Sinistra (AVS) e Movimento 5 Stelle, che ha parlato di «scippo all’Italia». Anche la Lega e il PD, sia pure con posizioni meno nette, si sono detti contrari. Ma i fondi per lo sviluppo e la coesione hanno un problema strutturale ormai radicato: non vengono spesi.

Ogni sette anni la Commissione Europea stanzia ingenti risorse (per il ciclo 2021-2027 sono 368 miliardi di euro), e gli Stati membri vi aggiungono del proprio (158 miliardi di euro), ma questa massa enorme di denaro viene utilizzata solo in minima parte. Siccome quei fondi sono destinati al sostegno delle regioni più arretrate, finiscono per essere gestiti dalle burocrazie inefficienti di quelle stesse regioni, nelle quali ci sono maggiori problemi di corruzione e dove l’economia e il tessuto imprenditoriale sono meno vivaci. Nel precedente ciclo, l’Italia aveva ricevuto nel complesso 140 miliardi, di cui 103 specificamente destinati al Mezzogiorno, e ne ha spesi poco più di un terzo (il 34 per cento).

Quanto al nuovo ciclo di programmazione, dei 526 miliardi stanziati dall’Unione e dagli Stati membri per il settennato 2021-2027, ne sono stati spesi poco più del 5 per cento. L’Italia è il secondo paese per risorse ricevute: dei 73,9 miliardi assegnati dal programma, ne ha stanziati finora 15 (il 20 per cento) e ne ha spesi appena 2,2 (il 3 per cento). La Polonia, che è il paese che beneficia maggiormente dei fondi di coesione, ha speso l’1,9 per cento dei 92 miliardi che le spettano; la Spagna, che è al terzo, non ha ancora speso nulla dei 52 miliardi che le sono stati assegnati.

– Leggi anche: Per l’Italia aumentare la spesa militare resta molto difficile

Anche per questo la Commissione ha pensato che fosse opportuno attingere a questi fondi per avere subito risorse utilizzabili per la difesa: perché sono disponibili, facilmente trasferibili su altre spese, e perché in grossa parte resterebbero comunque inutilizzati. Ma per farlo, dovrà cambiare il quadro normativo (il cosiddetto legal framework) che disciplina il funzionamento di questo strumento. In particolare, verranno rimosse alcune restrizioni che impediscono attualmente di utilizzare i fondi di coesione per progetti militari, e verranno snellite le procedure con cui gli Stati membri potranno sottoporre alla Commissione la richiesta di modificare alcuni aspetti dei loro programmi, dirottando risorse già stanziate.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni insieme al ministro della Difesa Guido Crosetto durante la parata del 2 giugno 2024 a Roma (Roberto Monaldo/LaPresse)

Non tutte le spese per la difesa, però, potranno essere finanziate coi fondi di coesione, ma solo quelle relative a investimenti che non hanno una diretta ed esclusiva finalità militare. Non sarà consentito, per esempio, utilizzare quei fondi per la produzione diretta di armi, mezzi e munizioni. Sarà invece possibile – ed è anzi una delle sollecitazioni che la Commissione sta facendo ai vari governi – usarli per costruire o ammodernare le infrastrutture per fini militari. Non tutte le strade o i ponti possono essere percorsi da mezzi militari pesanti; non tutte le reti ferroviarie sono dotate di sistemi di sicurezza necessari per il trasporto di armamenti. L’Europa ha investito molto poco, in questi anni, e questo rende difficile e spesso impossibile trasferire alcuni mezzi in certe aree del continente senza ricorrere a costosi e pericolosi viaggi via aereo o via nave. Secondo la Commissione finanziare questi progetti significherà comunque, almeno in una certa misura, rafforzare la coesione territoriale, migliorando le infrastrutture esistenti e creando nuove opportunità di lavoro.

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Un discorso analogo vale per il cosiddetto dual use, cioè quei prodotti che possono essere utilizzati sia in campo militare sia in campo civile. Una rete satellitare, per esempio, può servire sia a osservare gli spostamenti delle truppe di un esercito nemico, sia a monitorare i sommovimenti del terreno e prevenire il rischio di frane; un nuovo modello di drone può servire per sganciare bombe, ma anche per effettuare consegne in zone poco accessibili via terra. E lo stesso vale, a maggior ragione, per gli investimenti in ricerca e sviluppo nel campo dell’intelligenza artificiale, della chimica, delle tecnologie: molto spesso è proprio la ricerca in campo militare che fornisce i prodotti più avanzati anche all’industria civile, e tutti questi investimenti verranno ammessi tra quelli finanziabili coi fondi di coesione.

Usare i fondi di coesione non sarà un obbligo. Lo staff del commissario alla Coesione Raffaele Fitto spiega che ogni paese potrà fare ricorso a quei fondi secondo criteri che verranno definiti meglio nei prossimi dieci giorni.

In particolare, non è chiaro se gli Stati membri dovranno dirottare le risorse solo su prodotti europei. Questo è un punto molto importante che riguarda l’intero piano ReArm Europe: se infatti queste ingenti somme di denaro venissero usate per acquistare armamenti e munizioni da aziende statunitensi, si finirebbe per aumentare la dipendenza europea dai propri alleati americani anziché ridurla, che è la premessa da cui nasce la volontà di riarmare l’Europa.

Non è poi ancora stato deciso se porre un limite alla quantità di fondi di coesione che possono essere riorientati sulla difesa. Finora i vari paesi hanno impegnato una cifra minima delle risorse assegnate loro, quindi potenzialmente potrebbero dirottare sui nuovi investimenti decine di miliardi di euro ciascuno. Ma non si sa se potranno farlo a piacimento, oppure entro certi limiti. Durante la pandemia, per esempio, era stato consentito di reindirizzare a spese necessarie al contenimento del coronavirus solo il 5 per cento dei fondi di coesione.

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