il rapporto difficile di Lecce con i suoi alberi

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LECCE – Fanno discutere, e molto, le potature delle chiome e dei rami lungo alcune strade di Lecce. Radicali, c’è chi dice scriteriati. Il rapporto tra gli alberi e i contesti urbani è spesso problematico e Lecce ne è un esempio evidente: piantati al posto sbagliato, costretti in spazi angusti, oppure manutenuti male e curati peggio (in questo momento, ad esempio, a Lecce preoccupa la diffusione delle cocciniglie).

Ci sono ragioni politiche, economiche e sociali che determinano un contesto in cui tagliare o capitozzare un albero, anche quando non è necessario per ragioni di sicurezza, è considerato un prezzo accettabile. La spesa pubblica per singolo abitante non è sufficiente, le richieste dei cittadini che si lamentano perché i rami “entrano” in casa o riducono la luminosità sono frequenti e di solito trovano una maggiore accoglienza rispetto alle istanze degli ambientalisti. E in un contesto socio-culturale in cui le espansioni volumetriche hanno sempre avuto la priorità sull’attuazione degli standard a verde, pur previsti sulla carta, gli enti di solito non vanno per il sottile e fanno un tanto al chilo, affidandosi peraltro a manovalanza che non lavora certo di fioretto: ed è un po’ quello che pare stia avvenendo in queste settimane, con in più l’urgenza di intervenire, come ha ammesso lo stesso assessore all’Ambiente, per ottimizzare la visuale lungo il percorso della tappa del Giro d’Italia (Martini ha parlato di 1.800 alberi da potare), in programma il 13 maggio.

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Più in generale, la pianificazione di politiche ambientali coerenti e aggiornate, così come la conoscenza completa e dettagliata del proprio patrimonio arboreo non sono considerate priorità. Negli anni scorsi qualcosa s’è mosso: la precedente amministrazione comunale, avvalendosi di esperti, ha avviato il censimento delle piante, classificandone circa 30mila, e ha approvato un regolamento che prevede che una relazione agronomica debba accompagnare i lavori pubblici e gli interventi di sostituzione delle alberature (come è avvenuto nel rione San Lazzaro). L’attuale governo cittadino, sta predisponendo un bando per reclutare un agronomo nel proprio organico. Il percorso verso la redazione di un Piano del verde è stato, insomma, avviato ma non completato. Per capirne di più abbiamo posto alcune domande a Fabio Lazzari, presidente dell’Ordine dei dottori agronomi e forestali della provincia di Lecce (nella foto, in fondo). L’occasione è stata propizia per allargare subito il discorso ad altre importanti questioni, come la crisi idrica e la Xylella.

Sui viali cittadini sono in corso o sono state già effettuate delle potature molto radicali. Agli occhi di un profano appaiono sproporzionate. Le faccio l’esempio di viale dell’Università: siete stati coinvolti, come ordine, per una consulenza?

“Premetto che fornire consulenze non è tra le funzioni istituzionali di un ordine professionale, né siamo stati coinvolti in alcuna maniera. In diverse situazioni l’intensità di potatura sembra a prima vista elevata. Tuttavia, non è possibile banalizzare una questione che per sua natura è complessa e necessita degli opportuni approfondimenti tecnici”.

Quali ragioni, in teoria, possono giustificare un intervento così sistemico e generalizzato?

“Ribadisco, non conoscendo i termini dell’intervento, preferisco non esprimermi. Ricordo che le finalità della potatura possono essere molteplici, dalla regolazione dell’equilibrio vegetativo, al contenimento dell’altezza, al cambio di forma, al miglioramento delle condizioni di stabilità, al risanamento fitosanitario, solo per citarne alcune. Bisognerebbe verificare quali siano state le priorità dell’intervento alla luce delle opportune valutazioni tecniche della situazione di partenza che, speriamo e siamo certi, saranno state condotte con l’ausilio delle opportune competenze”.

La questione è collegata anche al tema delle ombreggiature, fondamentali per contribuire a ridurre l’impatto delle ondate di calore sempre più frequenti e persistenti. Secondo lei gli enti locali salentini hanno piena consapevolezza del problema?

“Come ordine professionale siamo stati sempre impegnati a sensibilizzare le amministrazioni locali rispetto all’imprescindibile contributo delle infrastrutture verdi nel contenimento del fenomeno dell’isola di calore, come per diversi altri servizi. Finora, la priorità riservata alle azioni di valorizzazione del verde urbano ed extraurbano è stata sicuramente insufficiente nell’attività amministrativa, ma la rinnovata sensibilità sociale fa ben sperare in un cambio di passo. Oggi il verde è considerato, infatti, fattore strategico di sostenibilità, grazie alla sua capacità di sviluppare benefici in termini di servizi ecosistemici. Pensiamo, appunto, a servizi quali la termoregolazione e la mitigazione del fenomeno dell’isola di calore, alla sottrazione di carbonio dall’atmosfera e al contenimento dell’inquinamento acustico nei centri urbani, al mantenimento degli equilibri idrogeologici e, ancora, alla possibilità di muoversi e adottare stili di vita sani, alla funzione di connessione tra tessuto urbano e aree rurali, all’integrazione sociale e allo sviluppo di esternalità di tipo socioeconomico. Purtroppo, le potenzialità offerte dai dispositivi previsti dalla legge numero 10 del 2013, come il Censimento del verde, il Regolamento del verde e il Piano comunale del verde, sono rimaste in larga parte inespresse anche nella nostra Regione, giacché la maggior parte dei comuni pugliesi non si è ancora dotata del Piano comunale del verde. Tale criticità, certamente pregiudizievole di azioni volte al potenziamento e alla valorizzazione delle infrastrutture verdi, è stata affrontata in Puglia con la recente approvazione della Legge regionale numero 23 del 2024, su iniziativa del nostro collega consigliere regionale Cristian Casili”.

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In questi anni, a Lecce ma non solo, il vento forte e le piogge intense hanno favorito la caduta di alberi o di parti di essi con una frequenza in passato sconosciuta. Nella maggior parte dei casi alberi malati, stressati nell’apparato radicale dal cemento in superficie e dai sottoservizi che limitano la stabilità della pianta. Quali sono gli alberi maggiormente indicati per un contesto urbano, in grado di ombreggiare, ma anche di adattarsi meglio al cambiamento climatico in corso?

“Abbiamo a disposizione una ricchissima biodiversità vegetale che ci consente di rispondere ad ogni specifica esigenza. Tuttavia, occorre chiarire che anche il tema della scelta delle specie non può e non deve essere banalizzato. A tal proposito, un chiaro esempio di approccio inadeguato è stato l’incauto impiego del pino nelle alberature urbane e i gravi problemi di instabilità e di sicurezza per le popolazioni ad esso correlati, aggravati da una gestione della pianta spesso irrispettosa delle esigenze della pianta stessa. La scelta di una specie vegetale, invece, si configura come problema decisionale complesso, da contestualizzare alla situazione specifica e agli obiettivi da raggiungere, che spesso sono molteplici e talora conflittuali. In tal senso, il ruolo degli esperti è fondamentale, anche nella mediazione della conoscenza con i cittadini, il cui coinvolgimento è imprescindibile quando si tratta di interventi sul verde pubblico”.

Un altro elemento da tenere in conto è la crisi idrica, oramai strutturale. Dal vostro punto di vista, quali sono le priorità perché si possa garantire una sufficiente quota di verde per abitante?

“L’acqua rappresenta una risorsa strategica per lo sviluppo dei sistemi agroforestali salentini, ancor più in un momento storico che vede, da una parte, la prospettiva di rigenerazione dei territori devastati da Xylella, e, dall’altra, le preoccupazioni procurate dai cambiamenti climatici, con la settentrionalizzazione di colture tradizionali come ad esempio la vite. Un concetto deve essere chiaro: non è possibile immaginare un’agricoltura razionale e competitiva senza la possibilità di poter controllare il fattore acqua. Il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura rappresenta certamente un percorso auspicabile nonché percorribile in tempi ragionevoli, ma occorre intervenire tempestivamente con una risposta di sistema che coinvolga tutti gli attori e consenta finalmente di valorizzare questa importante risorsa. È da diversi anni che ne parliamo. Occorre migliorare il sistema decisionale, con una più incisiva condivisione di obiettivi e strategie tra i settori agricoltura, ambiente e sviluppo economico ad ogni livello istituzionale, oltre ad una forte azione di sensibilizzazione tra operatori e società civile”.

Veniamo al tema della xylella: da anni si parla quasi esclusivamente di reimpianti di specie resistenti, ma si tiene in debito conto il nodo della scarsità della risorsa idrica? E questa crisi drammatica non poteva essere l’occasione per una diversificazione colturale?

“Il comparto olivicolo è stato senza dubbio quello più colpito. Ricordiamo che l’olivo prima di Xylella occupava circa il 65% della superficie territoriale salentina. Va da sé che la rigenerazione olivicola abbia rappresentato l’opzione prioritaria nella prima fase del post epidemia, anche alla luce del vantaggio di poter beneficiare di una filiera già strutturata sul territorio. Sicuramente non è auspicabile il ritorno alla monocoltura, e qualsiasi azione utile a favorire la diversificazione deve essere fortemente sostenuta ad ogni livello. Fondamentale sarà la costruzione di nuove filiere, anche alla luce di auspicabili progetti pilota volti a facilitare la transizione verso nuovi sistemi colturali”.

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Fabio Lazzari



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