”Riforma giustizia limitano indipendenza magistratura e favoriscono l’esecutivo”

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Le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia ai microfoni di Sicilia Buona

L’attacco di una parte della politica nei confronti di una parte della magistratura, quella che ancora intende esercitare il controllo di legalità a 360 gradi, e quindi anche intende verificare se da parte di chi esercita il potere ci sia un effettivo rispetto delle norme costituzionali e ordinarie, è una storia che si ripete da decenni”. A parlare è il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, già consigliere togato al Csm e pm di punta del pool che ha istruito il processo Trattativa Stato-mafia. Intervistato da Anna Lisa Maugeri, per Sicilia Buona, il magistrato palermitano ha evidenziato un pericolo latente nelle recenti riforme sulla giustizia, ovvero quello di considerarle distinte una dall’altra. Viene meno, dunque, la visione unitaria del progetto riformatorio caratterizzato dalla separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, la volontà di mettere un limite temporale alla durata delle intercettazioni, il divieto di pubblicazione dei contenuti delle ordinanze custodia cautelare ed altro ancora.
Se verifichiamo con una visione di insieme tutto questo – spiega – possiamo dire che la direzione è precisa e a nostro avviso molto pericolosa. Da una parte limitare gli strumenti a disposizione della magistratura per quel che concerne i reati tipici dei colletti bianchi e dall’altra parte limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. “Quando si parla di separazione delle carriere – continua Di Matteo –, dobbiamo partire da un dato di fatto. In tutti i Paesi in cui le carriere di pubblici ministeri e giudici sono separate, ad eccezione del Portogallo, il pubblico ministero è sottoposto all’esecutivo. E questo è un grande pericolo non per noi magistrati, ma per i cittadini. Si altera un equilibrio costituzionale basato sulla separazione dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Si concentra e si concentrerebbe veramente troppo il potere sull’esecutivo ai danni del legislativo e di questo abbiamo prova per quello che accade negli ultimi anni”. Il magistrato intravede in tutto ciò “un attacco più complessivo che affonda le radici di un passato ormai lontano, denotato dalla insofferenza per un effettivo controllo di legalità da parte della magistratura nei confronti dell’esercizio del potere politico”.
In questi ultimi anni, sia con la legge Cartabia sia con le riforme del ministro Nordio, “non c’è nulla che vada nella direzione dell’efficienza, della giustizia e della velocità dei processi – aggiunge Di Matteo –. Piuttosto ci si occupa di altre situazioni come quella della separazione delle carriere che renderà il pubblico ministero una sorta di super poliziotto che deve a tutti i costi sostenere l’accusa. Un pubblico ministero che dipende dal governo è un pericolo per la libertà, per la democrazia, soprattutto per i diritti delle minoranze, dei dissenzienti, di coloro i quali la pensano diversamente rispetto agli orientamenti del governo di turno”.
Mi piace affrontare il tema partendo da alcuni dati di fatto – spiega –, che dimostrano la mistificazione in atto da parte di coloro i quali sono autori della separazione delle carriere. Si dice che con un’unica carriera i giudici e i pm sarebbero troppo vicini tra di loro, tanto che i giudici sarebbero appiattiti sulle richieste del pm. È quotidiana esperienza quella che invece ci fa ricordare come i giudici spesso disattendono le richieste del pubblico ministero. Fino all’altro giorno quando il pm di Roma aveva chiesto l’assoluzione del Sottosegretario della Giustizia Delmastro e il giudice invece lo ha condannato in primo grado. Ma ogni giorno si verificano situazioni in cui i giudici disattendono per esempio richieste di condanna o di custodia cautelare da parte del pm”.

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