Argentina. Milei e la Corte suprema: una mossa di forza tra diritto e politica

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di Giuseppe Gagliano

La decisione di Javier Milei di nominare Ariel Lijo e Manuel García-Mansilla alla Corte suprema argentina tramite decreto, scavalcando il Senato, è uno di quei gesti che segnano un confine netto tra la teoria costituzionale e la prassi politica. Firmati il 25 febbraio 2025, i decreti arrivano dopo quasi un anno di stallo parlamentare, con un Senato dominato dal kirchnerismo, la fazione peronista che ancora tiene in pugno 34 dei 72 seggi, fermo nel bloccare le candidature proposte dal presidente. Milei, fedele alla sua linea di rottura con le consuetudini, ha scelto di forzare la mano, appellandosi all’Articolo 99 della Costituzione, che gli consente di agire in caso di vacancies giudiziarie quando il Senato non è in grado di deliberare tempestivamente. Ma dietro questa mossa, più che un’interpretazione giuridica, c’è un calcolo politico che parla del presente e del futuro dell’Argentina.
Il governo di Milei presenta la decisione come una necessità: due posti vacanti nella Corte Suprema devono essere riempiti per garantire il funzionamento di un’istituzione chiave in un Paese già segnato da crisi economiche e tensioni sociali. Lijo, giudice federale con un passato controverso, e García-Mansilla, accademico di orientamento conservatore, sono figure che il presidente considera funzionali alla sua agenda di riforme radicali. L’obiettivo è chiaro: consolidare il potere giudiziario come alleato nella battaglia contro l’establishment peronista, che Milei accusa di aver soffocato l’Argentina con decenni di clientelismo e politiche stataliste. La foto simbolica della “nuova” Corte Suprema, che il governo spera di scattare il 1° marzo all’apertura delle sessioni ordinarie del Congresso, sarebbe un trofeo politico per un leader che ha fatto della disruption la sua cifra distintiva.
Ma il prezzo di questa strategia è alto. Il kirchnerismo, guidato al Senato da José Mayans, ha denunciato una violazione della Costituzione, accusando Milei di aggirare il ruolo del Parlamento con un atto autoritario. Non è solo una questione procedurale: il Senato, che per legge deve approvare o respingere i candidati presidenziali, si vede privato della sua funzione di contrappeso, un pilastro del sistema democratico argentino. Mayans ha lamentato la chiusura al dialogo, sostenendo che il suo blocco era disposto a negoziare. Dall’altra parte, il governo ribatte che il Senato non ha diritto di proporre alternative, ma solo di valutare l’idoneità dei nomi scelti, e che il blocco peronista ha usato il suo peso numerico per paralizzare il processo, trasformando un dovere istituzionale in una guerra di trincea politica.
La vicenda però va oltre lo scontro tra Milei e i peronisti. Nominare Lijo, figura divisiva legata a procedimenti giudiziari che hanno sfiorato l’élite politica argentina, solleva interrogativi sulla credibilità del progetto di rinnovamento promesso dal presidente. La sua designazione “su commissione” – valida solo fino alla fine della prossima sessione legislativa – è un’arma a doppio taglio: se il Senato non la ratificherà, Milei potrebbe trovarsi a dover giustificare un’ulteriore forzatura. García-Mansilla, invece, con il suo profilo più tecnico, sembra un compromesso per bilanciare le critiche, ma anche lui non sfugge al sospetto di essere un tassello nella costruzione di una Corte amica del governo.
Sul piano geopolitico questa mossa riflette la traiettoria di un’Argentina che, sotto Milei, cerca di ridefinire il proprio ruolo interno e internazionale. Il presidente, con le sue posizioni libertarie e il suo avvicinamento agli Stati Uniti di Trump, che proprio in questi giorni minaccia dazi a Messico, Canada e Cina, punta a un’immagine di forza e decisione, in contrasto con un’America Latina spesso percepita come instabile o succube delle vecchie oligarchie. Ma il rischio è che questa radicalità finisca per approfondire le fratture interne, consegnando al kirchnerismo un argomento per mobilitare l’opposizione e rallentare ulteriormente l’agenda di riforme.
Cosa resta allora di questa nomina? Un segnale di determinazione, certo, ma anche una scommessa pericolosa. Milei gioca una partita in cui il confine tra legalità e legittimità si fa sottile, e il successo dipenderà dalla sua capacità di trasformare un atto di forza in un risultato concreto. Per ora, la Corte Suprema diventa lo specchio di un Paese diviso, dove il diritto è un’arma tanto quanto un principio. E l’Argentina, ancora una volta, si ritrova a chiedersi se la rottura con il passato sia davvero un passo avanti o solo un altro capitolo della sua eterna crisi.

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