“L’Albero dei fili rossi”, la Sardegna ha la sua prima comunità educativa partecipata

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Un grande appartamento nel cuore di Cagliari, ristrutturato da cima a fondo. Ovunque, colori pastello che lo rendono veramente caldo e accogliente. Si chiama “L’Albero dei fili rossi” ed è la prima comunità educativa partecipata dell’Isola. È un progetto della cooperativa sociale Panta Rei Sardegna, in parte finanziato dalla Fondazione di Sardegna. Al resto provvede questa consolidata realtà del Terzo settore isolano, che ha contratto un mutuo pur di acquistare l’immobile. La festosa inaugurazione di ieri (tantissimi gli operatori di altre strutture che hanno partecipato alla cerimonia informale di apertura) è andata di pari passo con il simbolico taglio del nastro del centro diurno ad alta intensità educativa “Base”, che si trova a pochi passi da “L’Albero dei fili rossi” e ospita anche la sede della cooperativa. Ora non resta che attendere i bambini e le bambine che nei prossimi giorni saranno inviati dai servizi sociali del Comune di Cagliari, chiudendo così la triangolazione con il Tribunale dei minori che valuterà caso per caso.

L’equipe di Panta Rei che lavorerà con i minori

«Le parole chiave sono accoglienza, partecipazione, radici, bellezza e famiglia, quest’ultima intesa come diritto di ogni bambino e bambina a crescere in un contesto di cura e benessere», ci racconta Bianca Ingletto, direttrice operativa e amministratrice di Panta Rei. «L’Albero dei fili rossi risponde all’obiettivo di mettere in sicurezza i bambini da condizioni di vita pregiudizievoli e contemporaneamente di collaborare con i servizi di tutela nel ricostruire le condizioni per un rientro in famiglia, laddove possibile. Può accogliere in forma residenziale sino a otto bambini tra i 5 e i 12 anni, che sperimentano nuove opportunità di entrare in relazione, costruiscono ulteriori modalità di vita sociale, possono far decantare una situazione di sofferenza, avere uno spazio di crescita e di rafforzamento della propria identità».

L’obiettivo primario è la riunificazione in famiglia, anche allargata. Nei casi più complessi, si provvederà ad accompagnare i minori verso l’affido familiare o all’accoglienza in altre realtà, come le comunità di tipo familiare. Un nutrito gruppo di psicologi, pedagogisti e operatori seguirà il loro percorso 24 ore su 24, con un accompagnamento alla quotidianità in una dimensione familiare.

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Marta Chessa e Bianca Ingletto (Panta Rei Sardegna)

Marta Chessa, vicepresidente e progettista di Panta Rei, mette l’accento su un altro aspetto fondamentale, vale a dire «il supporto alla genitorialità nei casi in cui sarà possibile, con la ricostruzione delle trame genitoriali, con un affiancamento dei Servizi territoriali. Una psicologa farà con i bambini un lavoro di gruppo orientato alla rielaborazione emotiva delle storie di vita. Di grande rilevanza la figura del portavoce dei bambini, l’advocate, un adulto indipendente che darà loro voce là dove sentiranno l’esigenza di essere rappresentati nei loro processi d’aiuto: può l’essere l’esigenza del bambino di dire qualcosa al giudice di riferimento, ai propri genitori o all’assistente sociale che lo segue, ma anche potersi esprimere sulla sua permanenza in comunità. Questo aspetto del progetto è molto importante, un elemento che abbiamo imparato durante una nostra esperienza del 2017 alla “Casa davanti al Sole” nella provincia di Varese. La professoressa Valentina Calcaterra dell’Università Cattolica di Milano ci fece conoscere quella realtà e fu amore a prima vista. Un approccio straordinario che, ci auguriamo, darà grandi frutti anche qui».

«Il bambino deve poter rientrare in famiglia o comunque rimanere in comunità per il solo tempo del suo progetto educativo», sottolinea Ingletto. «In ogni caso, lavoreremo per il diritto dei bambini ad avere una famiglia. Solo nella città di Cagliari, su più di 400 bambini e ragazzi inseriti nelle comunità di accoglienza, meno di 20 sperimentano situazioni di accoglienza in affido familiare. In generale in Italia, per circa il 26 % dei 23.122 minori che vivono fuori dalla propria famiglia, i tempi di permanenza in struttura sono superiori ai due anni (dati al 31 dicembre 2020, forniti dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, ndr). La differenza rispetto alle altre strutture esistenti nell’Isola sta nell’approccio partecipativo. L’Albero dei Fili Rossi, infatti, è una comunità partecipata perché crede fermamente che la valorizzazione delle figure familiari e delle reti sociali dei bambini, nonché la reale collaborazione con loro, sia il perno attorno al quale si realizza l’intero progetto educativo, sia in previsione del rientro, sia in caso di altre scelte. Mette al centro il bambino e il suo diritto ad esprimere il proprio punto di vista sul suo progetto di aiuto educativo e di tutela, come è peraltro previsto dalla specifica Convenzione dell’Onu».

Valentina Napoleone, coordinatrice della comunità L’Albero dei fili rossi

«Vogliamo diversificarci rispetto al prezioso lavoro portato avanti da altre realtà», spiega Valentina Napoleone, pedagogista e coordinatrice della comunità. Lei ha sempre lavorato nelle comunità per minori, dunque porta con sé un bagaglio di esperienza non indifferente. «Se si lavora soltanto sui bambini e si lasciano ai margini le famiglie, si rischia di fare un’attività fine a se stessa. Perché, quando poi tornano a casa, viene vanificato quanto di buono è stato fatto in comunità. Non dipende soltanto dalla nostra buona volontà, dobbiamo attenerci a quanto disporrà di volta in volta l’autorità giudiziaria: a volte ci sono casi di genitorialità revocata. Ma il bambino sarà l’autore, il vero protagonista del proprio progetto, già dalle fasi di avvio. In piena libertà, tenendo conto delle sue aspettative e delle sue attitudini, in un’ottica inclusiva. Di solito, le comunità propongono progetti educativi individualizzati, che in genere sono scritti dagli adulti; nel nostro caso, si ribalta l’approccio. Sperimentiamo l’advocacy per la prima volta in Sardegna ma siamo sicuri che questa sia una ottima opportunità per arrivare ai migliori risultati. La permanenza del minore non può rientrare in standard precisi, dipende da caso a caso. Cercheremo di creare le condizioni migliori per farli rientrare in famiglia nel tempo minore possibile, una volta garantita la stabilità emotiva. Il nostro sogno è quello di educare i genitori a riaccogliere in maniera più consapevole questi bambini, con l’aiuto di tutta la rete di fronteggiamento».

Anche il centro diurno ad alta intensità educativa Base è una innovazione assoluta per la Sardegna. «La legge regionale n. 23 del 2005, che regolamenta le strutture sociali e sanitarie in Sardegna, non prevede realtà di questo tipo ma solo quelle ad alta intensità terapeutica sul fronte sanitario, oppure i centri di aggregazione e le comunità semiresidenziali sul fronte sociale», precisa la vicepresidente Chessa.

Al centro Base, la permanenza dei bambini parte dall’uscita da scuola sino alle 19 (eventualmente estendibile alla cena) e passa per i compiti, l’attività sportiva e/o culturale, le attività congiunte con i genitori. La mattinata è invece dedicata agli incontri di rete con le scuole e i Servizi ma anche alla scuola parentale, qualora il progetto partecipato lo preveda. «Mettiamo a frutto la nostra esperienza con i gruppi ad alta intensità educativa maturata con il progetto Outsiders finanziato dall’impresa sociale “Con i Bambini”», spiega Ingletto. «La valutazione condotta dalla Fondazione Zancan mostra che i miglioramenti sui bambini seguiti con questo approccio sono enormi: +45% nelle competenze relazionali con i pari, +41% sulla fiducia in sé e su autostima, +29% sul rendimento scolastico, +21% sul rispetto delle regole. Anche le famiglie beneficiano di un miglioramento generale: +41% sulla fiducia nelle proprie risorse e +33% sulla conciliazione dei carichi familiari».

Una camera da letto riservata ai bambini della comunità

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