Il delitto del cacciatore, la Procura chiede di archiviare. Due gli indagati per omicidio

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Ravenna, 28 febbraio 2025 – Tanti possibili moventi e due fucili mai ritrovati: il suo e quello che lo aveva freddato. Il delitto di Felice Orlando – operaio 49enne di origine cosentina da tempo trapiantato in Romagna -, è destinato per ora a rimanere un giallo.

A quasi due anni e mezzo, la procura ha chiesto l’archiviazione per i due indagati: un giovane del posto e un familiare del defunto, rispettivamente difesi il primo dagli avvocati Giovanni Scudellari ed Edy Guerrini e l’altro dagli avvocati Lorenzo Valgimigli e Alice Rondinini. I due, sempre rimasti a piede libero, erano stati iscritti sul registro delle notizie di reato in momenti differenti e con scenari alternativi: o l’uno o l’altro.

Lo sforzo dei carabinieri dell’Investigativo – coadiuvati dai colleghi della locale Compagnia e del Ris -, per restituire agli atti il nome dell’assassino, è stato notevole e minuzioso. Ma che ci si trovasse davanti a un caso particolarmente complicato, lo si era intuito da subito.

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Da quando cioè la mattina del 30 ottobre 2022, una domenica, il cadavere del 49enne era stato ritrovato dal padre tra i filari di kiwi in un campo di Castel Bolognese non distante dall’abitazione dove il defunto viveva e a ridosso di una canaletta. Nessun testimone, nessuna telecamera, nessuna traccia di sangue; a disposizione nemmeno l’arma del delitto ma tanti possibili moventi distribuiti su una raggiera che spaziava da vecchie ruggini mai sopite a frizioni legate al mondo venatorio passando per questioni economiche e familiari. L’ultima richiesta di proroga delle indagini preliminari, era scaduta a settembre: una decisione della procura sull’azione penale o sulla richiesta di archiviare il caso, era insomma nell’aria da qualche tempo.

Secondo i rilievi tecnici, il 49enne, uscito per una battuta di caccia, era stato freddato tra le 18.30 e le 19 del 29 ottobre 2022 con due colpi esplosi da distanza ravvicinata: uno alla schiena sparato in uno spazio compreso tra 1,5 e 3 metri; poi l’assassino si era avvicinato alla vittima, a quel punto ormai agonizzante ma cosciente, esplodendo il colpo di grazia alla nuca da 30 centimetri. Davvero particolare il calibro del fucile da caccia usato: un 16, in passato molto diffuso e talvolta a tutt’oggi preferito nella caccia vagante, con il cane e alla selvaggina migratoria al molto più comune 12 perché di peso minore. E comunque di calibro differente da quello che il 49enne si era portato appresso: un 12, come il primo mai ritrovato.

I due indagati, una volta convocati per essere interrogati, avevano deciso in un caso di avvalersi della facoltà di non rispondere e nell’altro di ribadire, attraverso spontanee dichiarazioni, la propria estraneità ai fatti contestati. Da loro insomma non potevano arrivare le eventuale risposte ai dubbi sui fucili. Nemmeno il vaglio di armerie, di elenchi di armi (registrate) e il volo dei droni dei Ris aveva portato nuovi elementi sulla sorte dei due fucili.

L’attesa svolta nelle indagini coordinate dai pm Daniele Barberini e Silvia Ziniti, non era giunta neanche dalla lettura genetica del materiale biologico raccolto. Nello specifico, nel volantino trovato nell’auto di uno dei due indagati, le tre macchie isolate dagli inquirenti non solo non erano risultate essere della vittima: ma non si trattava nemmeno di sangue. In quella consulenza, esiste però uno specifico particolare genetico che – se letto in chiave accusatoria – avrebbe potuto fornire uno spunto per delineare un possibile movente. Va però considerato che le verifiche avevano aperto la strada a diversi moventi o comunque a contesti nei quali ricercarli. Il 49enne ad esempio giocava alle slot e in qualche caso aveva chiesto prestiti in giro. Inoltre con alcuni compagni di caccia, avrebbe cacciato anche in ore notturne o in luoghi forse non consentiti. E poi alla sua morte, alcuni animalisti avevano brindato. Talune frizioni erano emerse pure sul luogo di lavoro. Al vaglio degli investigatori, c’erano finiti inoltre alcuni rapporti con amanti e taluni dissidi in ambito più stretto legati al danaro. Così come danni provocati a strutture agricole da pallini da caccia vaganti, non necessariamente esplosi dal 49enne con quel calibro 12 che, chissà perché, l’assassino aveva fatto sparire.



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