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Lo sciopero dei magistrati visto da un avvocato del foro di Varese, Corrado Viazzo, che esprime la sua personale opinione rispetto a quanto sta accadendo nel campo della giustizia con un focus specifico sulla situazione attraversata da Varese. (ac)
Oggi 27 febbraio sarà una giornata particolare per chi frequenta le aule giudiziarie, in quanto i magistrati sciopereranno. Detta così sembra una cosa banale, in un’epoca in cui lo sciopero è una (spiacevole) abitudine che ci accompagna quasi nella quotidianità delle azioni, e spesso non ne sappiamo neanche i motivi.
Perfino la categoria cui appartengo, ovvero l’avvocatura, non lesina annualmente qualche sospensione dalle udienze, che diventa un modo per tirare il fiato per quelli come me, oberati dai processi. Però lo sciopero dei giudici è qualcosa di anormale, poiché parliamo di una categoria di dipendenti pubblici del tutto particolare, portatrice di diritti e obblighi assai delicati. Per quanto lo sciopero sia un diritto costituzionalmente garantito, se il mio povero papà (anch’egli avvocato) rinascesse, farebbe fatica a credere a tutto questo, essendo figlio di un’epoca in cui magistrati e avvocati erano un tutt’uno, e lo sciopero delle toghe del tutto inimmaginabile.
I tempi cambiano, il papa rilascia interviste alle TV e quindi anche i magistrati si astengono, muniti peraltro di una bella coccarda che impreziosisce l’abito. Questa è la novità, visto che il numero di astensioni nell’intera era repubblicana supera di poco quello delle dita di una mano. Detto quindi che il “modo” mi pare “esteticamente” opinabile (gli dèi della giustizia non dovrebbero mai scendere dal Parnaso ed ammantarsi di costumi similari a quelli dei common people), personalmente condivido le ragioni della protesta.
La giustizia italiana, specie quella penale, è afflitta da mille mali, la cui genesi non risiede certo nella divisione o meno delle carriere tra giudicanti e requirenti. Abbiamo un numero di magistrati largamente inferiore alla media europea e soprattutto alle necessità italiane, ove alla criminalità comune si somma quella organizzata di tipo latamente mafioso (quasi un unicum in Europa) e quella extracomunitaria. Tutto ciò viene fronteggiato da un organico che non vede significative modifiche da molti anni, di talché in Italia abbiamo 11,4 giudici ogni 100.000 abitanti rispetto alla media europea di 21, con punte di 40 in alcuni paesi. Tale endemica scarsità viene aggravata da altri fattori, come il meccanismo di trasferimento, che ogni anno genera scoperture rilevanti nelle sedi meno appetibili.
Così, tanto per dire, Varese oggi ha quattro giudici assegnati al dibattimento rispetto ai sette in pianta organica, che diventeranno tre a metà marzo, allorché il presidente andrà in Corte a Milano. Ciò significa che tre giudici dovranno fronteggiare due collegi a settimana, più l’eventuale Assise, più tutte le udienze monocratiche. Roba che neanche Sisifo riuscirebbe… In procura la situazione è ancora più disperata, con tre sostituti PM (più un extradistrettuale assegnato ancora per pochi mesi e un altro che invece andrà via entro fine anno) in organico rispetto agli otto tabellari. Ai non addetti ai lavori questi numeri dicono poco. Per semplificare, i tre PM (più il capo) devono fronteggiare due collegi settimanali, tre udienze settimanali GIP, almeno un’udienza settimanale all’Ufficio di Sorveglianza e turni diurni/notturni di due giorni a testa, sempre settimanalmente. E quando fanno le indagini?
Ho indugiato sulla situazione di Varese perché ben rappresenta lo sfascio nazionale (potrei citare anche i casi di Monza, Lecco, Campobasso, tra i tanti), e chi se ne frega se PM e giudicanti vanno sottobraccio o divisi. Questa è una falsa battaglia, che nulla gioverà alla giustizia. A memoria, cito sei magistrati (Pierantozzi, Fazio, Leotta, Battarino, Ferrazzi, Giorgetti) che hanno rivestito con onore entrambe le funzioni, senza che nessuno si potesse dolere della loro imparzialità. Viceversa, ci sono pessimi magistrati che hanno svolto un solo ruolo nella loro vita.
Tra l’altro, andrebbe spiegato che solo una volta nella loro carriera i magistrati possono passare dall’una all’altra funzione, e che ciò accade raramente. Se poi si dice, per giustificare la riforma, che PM e decidendi vanno a bere il caffè assieme dopo o durante le udienze e che invece “mulier Caesaris non fit suspecta, etiam suspicione vacare debet”, ce ne faremo una ragione: a naso direi comunque che sono molti di più gli avvocati che hanno sposato magistrati, piuttosto che giudici e PM che si sono coniugati tra loro. Ciò per dire scherzosamente che ci sono un sacco di avvocati che hanno rapporti personali con i magistrati, e viceversa in grandi fori ho visto in aula giudici e PM che neanche si conoscevano. In definitiva, si ammanta di battaglia per la giustizia ciò che è solo una presa di posizione politica, o forse un omaggio post mortem a qualche imputato eccellente, con il supporto dei nostri organismi di categoria. Non sarebbe stato meglio, cari fratelli avvocati, occuparci per esempio del processo penale telematico, che rappresenta un fallimento assoluto per tutto il sistema? O della schizofrenia legislativa che rende sempre più ipertrofico il sistema penale? Domande senza risposta, come sempre.
Ultima cosa, per i pochi lettori (certo meno di 25 manzoniani) che saranno arrivati fin qui: non ho appartenenze politiche, sono cresciuto imbevuto di una moderna ideologia liberal/cristiana, e non devo niente ai pm che più volte mi hanno indagato in ragione del mio ministero. Però non ho mai strillato, né mi ha interessato occuparmi dell’unicità di carriera o meno di chi avevo di fronte.
Corrado Viazzo
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