Il 29 aprile 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha emesso una sentenza destinata a lasciare un segno profondo nel dibattito sulla cittadinanza europea, dichiarando illegale il controverso programma di Malta che consente agli investitori stranieri di acquistare la cittadinanza in cambio di ingenti somme di denaro. Conosciuto come “passaporto d’oro”, questo schema ha permesso a facoltosi individui di ottenere la cittadinanza maltese – e, di conseguenza, quella dell’Unione Europea – senza dimostrare un reale legame con il Paese. La decisione della Corte, accogliendo le ragioni della Commissione Europea, segna una svolta nella lotta contro la commercializzazione della cittadinanza e rafforza il principio di leale cooperazione tra gli Stati membri. Ma quali sono le implicazioni di questa sentenza? E come si è arrivati a questo punto?
I passaporti d’oro: un sistema controverso
Il programma di cittadinanza per investimento di Malta, introdotto nel 2014, consente a individui stranieri di ottenere la cittadinanza maltese attraverso un investimento minimo di circa 750.000 euro, spesso accompagnato da donazioni a fondi governativi o acquisti immobiliari. Questo schema, che non richiedeva residenza effettiva o legami culturali con il Paese, ha garantito a Malta introiti significativi – si stima oltre 1,2 miliardi di euro tra il 2014 e il 2019 – ma ha sollevato crescenti preoccupazioni a livello europeo.
La cittadinanza maltese, in virtù dell’appartenenza di Malta all’UE, conferisce diritti fondamentali come la libera circolazione nello spazio Schengen, l’accesso al mercato interno e la possibilità di votare alle elezioni europee. Tuttavia, la facilità con cui questi diritti potevano essere acquistati ha alimentato timori di riciclaggio di denaro, evasione fiscale e minacce alla sicurezza. Casi emblematici, come quelli rivelati da inchieste giornalistiche, hanno mostrato che tra i beneficiari vi erano individui con precedenti penali o legami con attività illecite, inclusi oligarchi russi vicini al Cremlino.
La Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro Malta nell’ottobre 2020, sostenendo che il programma violasse il principio di leale cooperazione (articolo 4 del Trattato sull’Unione Europea) e l’integrità della cittadinanza dell’Unione (articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell’UE). Dopo anni di contenzioso, la Corte di Giustizia ha dato ragione alla Commissione, stabilendo che la “commercializzazione” della cittadinanza è incompatibile con il diritto europeo.
La sentenza della Corte: una svolta giuridica
Nella sentenza della causa C-181/23 (Commissione contro Malta), la Corte di Giustizia ha chiarito che il programma maltese, consentendo l’acquisizione della cittadinanza attraverso una transazione economica senza verificare un “vincolo di solidarietà e lealtà” tra lo Stato e il richiedente, viola il diritto dell’Unione. I giudici di Lussemburgo hanno sottolineato che, sebbene la concessione della cittadinanza rimanga una competenza nazionale, essa non può essere esercitata in modo da compromettere gli interessi collettivi dell’UE.
La Corte ha respinto l’argomentazione del governo maltese, secondo cui nulla nel diritto europeo imporrebbe un “legame genuino” con il Paese per concedere la cittadinanza. Al contrario, i giudici hanno ribadito che la cittadinanza dell’Unione non è una merce negoziabile e che i programmi come quello di Malta minano la fiducia reciproca tra gli Stati membri, un pilastro fondamentale della cooperazione europea.
La sentenza si basa su due principi chiave:
- Leale cooperazione: la concessione della cittadinanza da parte di uno Stato membro ha ripercussioni su tutti gli altri, poiché i cittadini di uno Stato sono automaticamente cittadini dell’UE. Pertanto, pratiche che compromettono l’integrità di questo status violano l’obbligo di cooperare in buona fede.
- Integrità della cittadinanza europea: la cittadinanza dell’UE, introdotta dal Trattato di Maastricht, non può essere ridotta a una transazione commerciale. La Corte ha sottolineato che essa implica diritti e doveri che richiedono un legame autentico con la comunità europea.
Il contesto: un problema europeo
Malta non è stata l’unico Stato membro a implementare programmi di cittadinanza per investimento. Fino al 2020, Cipro gestiva un sistema simile, che ha generato circa 6,3 miliardi di euro, mentre la Bulgaria lo ha abolito nel 2022. Altri Paesi, come Portogallo, Grecia e Spagna, offrono “visti d’oro”, che concedono permessi di soggiorno in cambio di investimenti, ma non la cittadinanza. Questi programmi, pur meno invasivi, sono anch’essi sotto scrutinio per rischi simili, come la speculazione immobiliare e il riciclaggio.
Il dibattito sui passaporti d’oro si è intensificato dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, quando è emersa la possibilità che ricchi cittadini russi utilizzassero questi schemi per eludere le sanzioni. Nel marzo 2022, il Parlamento Europeo ha chiesto un divieto totale dei programmi di cittadinanza per investimento e regole più stringenti per i visti d’oro, definendoli “discutibili da un punto di vista etico, legale ed economico”.
La sentenza della Corte risponde a queste preoccupazioni, ponendo un freno alla mercificazione della cittadinanza e inviando un segnale chiaro agli Stati membri: le competenze nazionali non possono essere esercitate a scapito dei valori e della sicurezza dell’Unione.
Le reazioni e le implicazioni
La decisione della Corte è stata accolta con favore dalla Commissione Europea, che ha visto riconosciuta la sua posizione dopo anni di battaglia legale. “La cittadinanza non è una merce da vendere,” ha commentato un portavoce della Commissione, sottolineando l’importanza di proteggere l’integrità dell’UE.
Sul fronte maltese, il governo si trova ora di fronte a una scelta: abolire il programma o riformarlo per allinearlo al diritto europeo, introducendo requisiti più stringenti, come un’effettiva residenza o legami culturali. Tuttavia, l’eliminazione totale sembra lo scenario più probabile, dato il tono inequivocabile della sentenza.
A livello europeo, la sentenza potrebbe avere un effetto domino. Paesi che ancora gestiscono programmi di residenza per investimento, come i visti d’oro, potrebbero essere spinti a rivedere le loro politiche per evitare future contestazioni legali. Inoltre, la decisione rafforza il ruolo della Corte di Giustizia come garante dei valori europei, anche in aree tradizionalmente considerate di competenza nazionale.
Per i cittadini, la sentenza rappresenta una vittoria simbolica: la cittadinanza europea, con i suoi diritti e privilegi, non può essere acquistata, ma deve riflettere un impegno verso la comunità dell’Unione. Tuttavia, resta da vedere come Malta gestirà le cittadinanze già concesse – si stima che circa 3.000 persone abbiano beneficiato del programma – e se saranno prese misure per revocarle in casi sospetti.
Un passo verso un’Europa più equa
La sentenza della Corte di Giustizia segna un momento cruciale nella storia dell’Unione Europea, riaffermando che la cittadinanza non è un privilegio da acquistare, ma un diritto legato a valori condivisi. La decisione mmette fine a un sistema che per anni ha permesso a Malta di trarre profitto dalla vendita di passaporti, spesso a scapito della trasparenza e della sicurezza dell’UE.
In un contesto globale segnato da disuguaglianze e pressioni migratorie, la lotta contro i passaporti d’oro rappresenta anche una battaglia per l’equità. Mentre i ricchi potevano accedere ai diritti europei con un assegno, milioni di migranti affrontano ostacoli insormontabili per ottenere protezione o residenza. La sentenza di Lussemburgo, pur non risolvendo queste contraddizioni, è un passo verso un’Europa che antepone i principi alla convenienza economica.
Il futuro dei programmi di investimento in Europa resta incerto, ma una cosa è chiara: la Corte di Giustizia ha tracciato una linea invalicabile. La cittadinanza europea non è in vendita, e spetta ora agli Stati membri rispettare questo principio, non solo a Malta, ma in tutta l’Unione.
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