Ristori anti-dazi, una quasi finanziaria da 25 miliardi: a chi andranno e come? Il «peso» dell’Europa


di
Dario Di Vico

La maggior parte dal Pnrr, il resto tra i fondi di coesione Ue e il Piano Energia e clima: il governo ha promesso una cifra monstre per aiutare le imprese colpite dalle tariffe, ora congelate. Ma sarà Bruxelless a decidere i confini

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Venticinque miliardi corrispondono quasi a una finanziaria. Sono una bella cifra. Ad averla annunciata coram populo nella Sala Verde degli incontri con le parti sociali è stata Giorgia Meloni martedì 8 aprile. La riunione era convocata per riflettere sulla questione dei dazi e la premier ha fatto il vuoto con un annuncio a sorpresa. Secondo le sue parole 14 dei 25 miliardi da stanziare a favore delle imprese andrebbero recuperati «tra le pieghe del Pnnr» e rimodulati per dare sostegno all’occupazione e aumentare la produttività, gli altri 11 andrebbero riprogrammati nell’ambito dei fondi previsti per patti di coesione e il Piano Energia e Clima. Ovviamente per condurre in porto un’operazione di questo genere ci vuole un via libera della Commissione Ue, che Meloni si è impegnata a portare a casa. Pur senza particolari grida di giubilo l’annuncio di Meloni è stato ben accolto dalle organizzazioni degli imprenditori che non a caso 24 ore prima di erano espresse tramite il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. 
In un’intervista al «Corriere della Sera» Orsini aveva chiesto misure straordinarie a favore le imprese colpite dai dazi di Donald Trump e aveva indicato nel portafoglio di Transizione 5.0, del Pnrr e dei fondi di coesione altrettanti tesoretti da cui attingere. L’episodio se vogliamo segnala ancora una volta gli strettissimi rapporti tra Meloni e Orsini e la loro fitta modalità di consultazione, ma apre un capitolo più ampio per quanto riguarda il rapporto tra governo e imprese, la qualità dei trasferimenti e i limiti di una politica industriale che con un eufemismo potremmo definire à la carte.

Pareri a favore

È vero che sono almeno due le considerazioni che militano a favore dell’impostazione di Meloni. La prima riguarda il fatto che per primo a muoversi sulla strada di finanziamenti straordinari alle imprese, almeno a livello di annuncio, sia stato il premier spagnolo, il progressista Pedro Sanchez, con una proposta di 14,1 miliardi. Gli stanziamenti previsti dal governo iberico sarebbero destinati a proteggere i settori più colpiti dai dazi e quindi acciaio, olio d’oliva, vino e biocarburanti. La seconda considerazione, più riferita al quadro politico interno, riguarda la sostanziale condivisione della proposta da parte delle opposizioni. Nessuno dei partiti avversi ha esplicitamente sottolineato la mossa di Meloni, anzi hanno accusato di ritardi e immobilismi il governo ma nella sostanza la carta dei 25 miliardi è stata condivisa de facto specie in casa Pd dove è in corso una campagna di mobilitazione nei distretti e di ascolto dei ceti produttivi.





















































Dopo la sopsensione

Ma dopo la successiva mossa di Trump che ha quantomeno congelati i dazi verso la produzione italiana per 3 mesi l’annuncio Meloni va considerato ancora valido o sarà messo anch’esso in freezer? Le fonti ufficiali del Mimit, il ministero competente per i rapporti con le imprese, confermano che la carta dei 25 miliardi non sarà ritirata. E anche in Confindustria c’è lo stesso sentiment. Sul versante dazi è difficile oggi pronosticare l’esito delle trattative con gli Usa e dei colloqui con Trump, ma si dà per scontato che lo status quo delle tariffe verrà comunque modificato nella direzione che l’offensiva del governo americano ha prepotentemente indicato. Di conseguenza per i ristori annunciati da Meloni si può pensare che il dado sia tratto anche se l’operazione è ancora tutta da definire nell’iter di approvazione, nella definizione delle platee interessate e nelle modalità di erogazione degli aiuti.
Il primo step, come già detto, sarà rappresentato dai condizionamenti di Bruxelles. Sapendo che quanto a propensione all’indebitamento è evidente che l’Italia ha una reputazione diversa rispetto alla Spagna che chiede l’ok a spendere i suoi 14,1 miliardi.
Le autorità comunitarie saranno disposte a favorire quelle “rimodulazioni” e quelle “riprogrammazioni” chieste da Meloni? In ballo c’è l’osservanza della disciplina sugli aiuti di Stato e quindi serve semaforo verde da parte della Ue. Un anno e mezzo fa c’era stata già una rimodulazione e di conseguenza al Mimit sono fiduciosi, ma smantellare de facto Transizione 5.0 — strumento varato per far fronte a entrambe le transizioni — e tagliare opere pubbliche previste dal Pnrr non sono scelte indolori agli occhi dei commissari. È vero, come sosterranno le autorità e i tecnici italiani, che quei soldi non saremmo in grado di spenderli in tempo utile, ma anche in questo caso la motivazione non appare particolarmente virtuosa. Come non si presenta molto lineare l’idea di spendere dei fondi nati in chiave di rilancio europeista (il Pnrr) per tamponare l’offensiva di Trump che vuole invece soffocare la Ue. Di più facile esito dovrebbe rivelarsi l’idea di pescare dal Fondo coesione e Fondo Clima perché si tratta di «veicoli di spesa» che non hanno vincoli stringenti, ma presuppongono solo una concertazione con le Regioni interessate.

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I paletti da considerare

Proseguendo sul sentiero del provvedimento dei possibili ristori sono interessanti le riflessioni operate a livello governativo a proposito della platea delle imprese che potranno essere “bagnate” dai nuovi finanziamenti. In un primo tempo si era valutata l’ipotesi che i 25 miliardi potessero andare a sostenere direttamente le aziende esportatrici colpite dalla tariffe americane, ma subito dopo si è cambiata idea. Ne sarebbe infatti scaturita una misura che avrebbe favorito solo le cosiddette multinazionali tascabili, in sostanza quella minoranza qualificata di imprese che esportano largamente e che ci hanno permesso di raggiungere exploit assoluti nel campo delle vendite all’estero. 
Ma un provvedimento di questo tipo si sarebbe rivelato largamente impopolare, avrebbe spaccato il fronte delle imprese e lasciato fuori dai ristori le altre imprese, non esportatrici, ma gravemente coinvolte da crisi di settore come nell’automotive, il tessile-abbigliamento e gli elettrodomestici. Non ultimo avrebbe messo in difficoltà la stessa Confindustria e generato la reazione delle associazioni dei Piccoli.
Con quali modalità i nuovi aiuti saranno erogati? In materia ci sono pochissime certezze. Orsini aveva parlato di contributi pubblici agli investimenti nella misura anche del 30%, ma la sensazione è che in caso di semaforo verde da Bruxelles saranno i tecnici della Commissione ad indicare un pacchetto di misure che verranno autorizzate.
Chiamateli se volete «paletti», ma occorrerà attendere con qualche ansia viste le recenti esperienze negative fatte, a causa della stesura formale dei provvedimenti, proprio con Transizione 5.0 e con l’Ires premiale.
Le industrie si aspettano ovviamente indicazioni a maglie larghe vuoi per poter supportare quasi ogni tipo di investimento vuoi per evitare controindicazioni burocratiche. Ma si tratta di una partita appena iniziata.

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