Crisi dell’acqua in Italia, servono 6 miliardi all’anno per fermarla


Negli ultimi anni il sistema idrico italiano ha registrato miglioramenti significativi in termini di perdite, qualità dell’acqua e continuità del servizio. Un risultato possibile grazie all’impulso straordinario arrivato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e dal Piano nazionale di interventi infrastrutturali per la sicurezza del settore idrico (Pniissi), che hanno portato nuovi fondi e rilanciato gli investimenti.

I problemi strutturali, tuttavia, non sono stati ancora risolti. La fine della stagione dei fondi europei dopo il 2026 potrebbe mettere a rischio i progressi faticosamente ottenuti e riportarci indietro verso la crisi senza fine che caratterizza il nostro Paese. È quanto emerge dal dossier del Servizio studi della Camera dedicato al Servizio idrico integrato, basato sui dati di Arera, Istat e di UtilitatisUtilitalia.

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Perdite idriche, il dato italiano tra i peggiori in Europa

Il fenomeno delle perdite idriche rimane uno dei punti più dolenti del sistema italiano. Secondo i dati Arera, nel 2023 si è registrato a livello nazionale un tasso di perdita del 41,8%, un dato migliorato rispetto agli anni precedenti ma ancora drammaticamente alto. In pratica, quasi metà dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione viene persa lungo il percorso.

La situazione è ancora più critica al Sud, dove in alcune aree le perdite superano il 55%. A titolo di confronto, la media europea si attesta intorno al 25%.

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Le cause principali sono note da tempo:

  • reti obsolete, con il 60% delle condotte che ha più di 30 anni e il 25% che supera i 70 anni;
  • mancanza di investimenti strutturali, in particolare nel Mezzogiorno;
  • gestione frammentata, che rende difficile pianificare interventi su larga scala.

Le conseguenze sono gravi: aumento dei costi di gestione, rincaro delle tariffe, maggiore vulnerabilità in caso di siccità e minore affidabilità del servizio per i cittadini.

La gestione frammentata rallenta i miglioramenti

La gestione del servizio idrico in Italia soffre ancora di una marcata frammentazione. Nonostante le riforme e l’istituzione degli Ambiti Territoriali Ottimali (Ato), sono ancora oltre 1.300 i Comuni che gestiscono direttamente il servizio. Queste gestioni “in economia” si concentrano in prevalenza nel Sud e nelle Isole, dove viene rilevato l’82% dei casi.

Ne risulta una minore capacità di investimento: le gestioni dirette investono in media 11 euro per abitante all’anno, contro i 70 euro dei gestori industriali. Ciò si traduce in meno qualità e continuità del servizio, con perdite, interruzioni e maggiori difficoltà nel garantire le forniture, e difficoltà a rispettare gli standard europei – un aspetto da non sottovalutare, visto che l’Italia è perennemente a rischio infrazione.

L’obiettivo di avere un unico gestore per ogni Ato, previsto dall’attuale normativa, è ancora lontano dall’essere raggiunto in molte regioni.

Gli investimenti crescono ma si avvicina il 2026

Secondo il dossier della Camera basato sui dati Utilitalia e Arera, gli investimenti tramite le tariffe (e dunque effettuati grazie ai costi sostenuti dai cittadini con le bollette), hanno raggiunto i 4 miliardi di euro all’anno. Il Pnrr ha aggiunto circa 700 milioni di euro all’anno per il periodo 2021/2026.

Tali spese hanno permesso di avvicinare l’Italia ai livelli medi europei di investimento pro capite, anche se con forti disparità territoriali: al Nord si investono mediamente tra i 63 e i 73 euro per abitante, mentre al Sud solo 32 euro.

Il quadro cambierà radicalmente dopo il 2026, quando si esauriranno le risorse straordinarie del Pnrr: resterà una fabbisogno scoperto stimato tra 1,3 e 2 miliardi di euro all’anno per mantenere il livello attuale e puntare ai 100 euro per abitante previsti dagli standard europei.

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Senza questi fondi aggiuntivi, il rischio è di un brusco rallentamento degli interventi, con il ritorno a uno stato di obsolescenza delle infrastrutture – e quindi a una nuova stagione di crisi idrica che si estenderà a macchia di leopardo a tutto il territorio nazionale.

Cambiamento climatico e crisi idrica

Gli effetti del cambiamento climatico stanno riducendo la disponibilità naturale di acqua, proprio mentre la domanda tende ad aumentare.

Secondo l’Ispra:

  • nel 2022 si è registrato un calo del 52% nella disponibilità idrica rispetto alla media 1951-2022;
  • nel 2023, nonostante una lieve ripresa, il deficit si è confermato superiore al 18%.

Le proiezioni per il 2100 sono ancora più allarmanti: senza interventi di mitigazione e adattamento, la disponibilità idrica nel Sud Italia potrebbe ridursi del 90%. Bisogna non solo ridurre le perdite, ma anche aumentare la resilienza delle reti idriche, favorire il riuso delle acque reflue e promuovere politiche di risparmio idrico a tutti i livelli.

L’impatto economico sugli italiani

Non si tratta solo di un’emergenza ambientale con ipotesi astratte di danni. Le conseguenze si tradurranno in aumenti in bolletta per coprire gli investimenti mancanti, una maggiore frequenza delle interruzioni del servizio, soprattutto nei mesi estivi e nelle aree più turistiche del Paese, dove la richiesta di acqua può raddoppiare nel giro di pochi giorni in base ai flussi di visitatori, e in una minore qualità dell’acqua erogata.

Senza interventi strutturali, lo stesso accesso universale all’acqua, sancito come diritto fondamentale, rischia di non essere garantito ovunque allo stesso livello. La priorità per il futuro rimane quella di riorganizzare il sistema facendo chiare scelte politiche e finanziare:

  • garantendo un fondo stabile di almeno 6 miliardi di euro all’anno;
  • accelerando l’unificazione delle gestioni idriche e superando le gestioni in economia;
  • riducendo le perdite al minimo con programmi di sostituzione e ammodernamento delle reti;
  • promuovendo il riuso delle acque reflue;
  • implementando tecnologie di efficienza idrica;
  • introducendo policy di risparmio programmato nei territori più a rischio.

Ogni litro d’acqua risparmiato rappresenta un investimento per il futuro. I progressi degli ultimi anni hanno dimostrato che è possibile migliorare il sistema idrico italiano, ma senza un impegno serio e continuo da parte delle istituzioni nazionali e locali, tutte le piccole conquiste rischiano di andare perse.

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La fine del 2026 segnerà un momento cruciale, in cui sarà necessario un nuovo patto per l’acqua, fondato su investimenti, governance efficiente e innovazione tecnologica per garantire agli italiani un servizio idrico sicuro, affidabile e sostenibile, all’altezza delle sfide ambientali ed economiche dei prossimi decenni.





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