Sostituire i combustibili fossili nel trasporto marittimo è un’impresa titanica


L’11 aprile l’Organizzazione marittima internazionale (Imo), un istituto delle Nazioni unite dedicato alla navigazione, ha approvato una bozza di regolamento per la riduzione delle emissioni di gas serra del trasporto marittimo. Lo shipping è allo stesso tempo un settore cruciale per il commercio globale, dato che la stragrande maggioranza delle merci si muove via nave, e critico per l’azione climatica: è responsabile del tre per cento delle emissioni umane, all’incirca quanto l’aviazione, ed è difficile da decarbonizzare. 

La misura approvata dall’Organizzazione marittima internazionale è importante perché, per la prima volta, un ente delle Nazioni unite andrà a istituire un prezzo del carbonio per un’intera industria a livello mondiale. Il percorso burocratico, tuttavia, non si è ancora concluso: gli emendamenti al trattato Marpol Annex VI, che disciplina l’inquinamento delle navi, andranno adottati formalmente il prossimo ottobre; dopodiché, le nuove regole entreranno in vigore nella primavera del 2027 e saranno vincolanti.

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Ci sono state delle critiche sulla scarsa ambizione dell’Imo, che di fatto ha abbandonato l’obiettivo sul taglio del trenta per cento delle emissioni al 2030: per quella data la riduzione attesa sarà del ventuno per cento (rispetto ai valori del 2008), mentre è stato mantenuto il target finale per l’azzeramento netto al 2050. 

Questo ridimensionamento è il risultato di questioni sia politiche, sia pratiche: da un lato potrebbe aver influito l’abbandono dei negoziati da parte degli Stati Uniti, con il presidente Donald Trump che ha minacciato ritorsioni sui Paesi che tasseranno le emissioni delle compagnie di navigazione americane; dall’altro lato, invece, c’entra la mancanza di “tecnologie pulite” in grado di sostituire prontamente i combustibili fossili.

Le regole dell’Imo richiederanno alle società di shipping di abbassare l’intensità delle loro emissioni di gas serra – non solo anidride carbonica, ma anche metano e ossido di diazoto – del diciassette per cento entro il 2028 e del ventuno per cento entro il 2030, come detto. Una nave alimentata a olio combustibile avrà un’intensità emissiva superiore rispetto a un’imbarcazione identica ma alimentata a gas liquefatto, per esempio, e quindi degli obblighi di riduzione maggiori. 

Se non li rispetteranno, le navi dovranno compensare lo sforamento con l’acquisto di “quote correttive” dal prezzo di cento dollari alla tonnellata di CO2 equivalente, che può salire fino a trecentottanta dollari. I soggetti più virtuosi, cioè quelli che hanno tagliato le emissioni più di quanto richiesto, avranno a disposizione delle quote da rivendere ai concorrenti, in maniera simile al sistema Ets dell’Unione europea. Peraltro, dal 1 gennaio scorso nell’Unione è entrata in vigore l’iniziativa FuelEu Maritime per la riduzione dell’intensità carbonica dei carburanti per le navi.

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L’Imo userà i soldi raccolti con la vendita delle quote per finanziare un fondo di sostegno alla decarbonizzazione del trasporto marittimo. Tecnologie sostitutive dei combustibili fossili, infatti, al momento non ce ne sono: l’utilizzo del gas liquefatto al posto dei tradizionali marine fuels è la soluzione più immediata per rimpicciolire l’impronta carbonica delle navi nel breve termine, nonché quella che verrà adottata più probabilmente con un basso prezzo della CO2

Le batterie sono poco adatte ai mercantili, troppo grandi e pesanti per venire elettrificati, senza contare la lunghezza delle rotte che devono percorrere. Ci sarebbero i carburanti low carbon prodotti con l’elettricità, come l’ammoniaca (non rilascia CO2 quando viene bruciata) o il metanolo (rilascia la stessa CO2 prelevata dall’aria o dagli scarti organici), che però hanno costi molto elevati e non dispongono di un’adeguata rete di infrastrutture. 

La propulsione nucleare potrebbe rappresentare una soluzione, considerato che i reattori si utilizzano già da parecchio tempo sulle navi: su quelle da guerra, sulle rompighiaccio e sui sottomarini, però, non sulle portacontainer. Andrebbe quindi definita una regolazione globale che disciplini lo spostamento di queste imbarcazioni e che stabilisca le misure di sicurezza da adottare, tenendo conto anche della pirateria e degli attacchi terroristici. 

Un’altra opzione – più facilmente applicabile, almeno in teoria – consisterebbe nel diminuire la velocità di navigazione delle navi, in modo da ridurre i consumi di carburante e con questi le emissioni. Bisogna tuttavia considerare che un rallentamento dei tempi di consegna delle merci potrebbe avere delle ripercussioni negative sull’intera catena logistica, sull’attività manifatturiera e sui mercati. 

Un’idea simile ma forse migliore è l’ottimizzazione delle rotte per sfruttare al massimo la velocità del vento, le correnti e la dimensione delle onde, permettendo un risparmio di combustibile e di emissioni: in questo caso, sarà necessario sviluppare e diffondere delle tecnologie di previsione meteorologica molto precise.



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