I grandi rapporti delle istituzioni internazionali sono fra le fonti più utili e preziose, al di là del loro retroterra teorico, che quasi sempre si traduce in un’implicita opzione favorevole al capitalismo finanziario. Si affoga nei dati, per cui serve un filo rosso con cui orientarsi; qualcosa che ci guidi a collegare dinamiche e fatti, anche al di là delle conclusioni degli stessi estensori. Prendiamo il maestoso report dell’Oecd uscito lo scorso marzo, Rapporto sul Debito Globale 2025, un leviatano di 178 pagine in cui è difficile raccapezzarsi.
Un problema, espresso con toni accorati, è che il debito globale sta crescendo. Governi e aziende nel 2024 hanno preso a prestito circa 25mila miliardi $, circa il triplo rispetto al 2007. Si tratta quindi di una dinamica di medio periodo. Nei 38 paesi Oecd per esempio (comprendente tutti i paesi occidentali) l’emissione di obbligazioni da parte degli Stati sarà di circa 17mila mld nel 2025 a fronte di 16mila nel 2024 e di 14mila nel 2023. Ovviamente si tratta di una proiezione. Ma su cosa si basa?
Normalmente si ricorre al debito per la differenza fra entrate e uscite. I teorici del rigore di bilancio, per cui lo Stato è come una famiglia che non dovrebbe spendere più di quanto incassa, sembrano drammaticamente fuori della realtà: quasi tutti fanno deficit e fanno debito in misura corrispondente. Secondo gli ultimi dati disponibili della commissione sia l’eurozona che la Ue nel loro complesso sono in territorio negativo. Stando ai dati FMI per il 2024 la Francia ha un -5,96%, Germania -2%, Uk -4,25%. In Europa l’avanzo primario lo presentano solo Portogallo, Danimarca, Norvegia, Irlanda, Svizzeri. Tutti gli altri hanno uscite non coperte dalle entrate.
Ma al momento della scadenza delle obbligazioni emesse o si tira fuori qualche entrata aggiuntiva o si cercano nuovi soldi a debito per liquidare i creditori. La seconda opzione è quella abituale, per cui ogni anno pezzi di debito vanno “sostituiti” con nuove emissioni. Ma il tasso, il “costo del debito” è una misura che varia. Immaginiamo che mi sia indebitato con tasso al 2% (prendo 100 e devo restituire 102); se il tasso successivo per la “sostituzione” che riesco a ottenere è il 5% il debito da 102 passa a 107.
È esattamente quello che sta succedendo: il rapporto Oecd indica che le banche centrali hanno tenuto basso i tassi comprando i titoli pubblici, ma tale periodo di “grazia” pre -2022 è finito. Gli autori scrivono infatti: “L’attuale stock di debito in circolazione non riflette il costo prevalente dei nuovi prestiti. In gran parte a causa del periodo di bassi tassi di interesse, la maggior parte del debito in circolazione ha un costo molto inferiore agli attuali tassi di mercato e probabilmente inferiore al costo del debito in futuro.” Con tanti saluti alla visione celebrativa della oculatezza di bilancio che si sarebbe riflessa nei tassi attraverso meccanismi di mercato: sono le banche centrali e i grandi players che determinano gli spread. Dopo che l’inflazione post Covid ha indotto i banchieri centrali a più restrittive questi risalgono e i livelli generali del debito sono destinati a lievitare.
Nel capitolo successivo si parla del debito aziendale, osservando pure lì una crescita preoccupante: si è raggiunta la cifra di 35mila mld $, l’inflazione del il 2022-23 aveva avuto un effetto di abbassamento ma la dinamica di aumento è ripresa. La cosa peggiore è che “l’emissione di obbligazioni societarie è cresciuta significativamente al di sopra del trend, ma non così gli investimenti aziendali….Anziché investimenti produttivi, negli ultimi anni gran parte del debito è stato utilizzato per finanziare operazioni finanziarie”. Si arriva a dire che il debito in essere non si ripagherà “da solo” con le entrate ricavate dalle ricadute come investimenti produttivi.
Il collegamento che il rapporto sembra restio a fare è questo: la spinta alla accumulazione finanziaria, pompata dal sistema dei debito pubblici chiedendo soldi ai mercati poteva non tradursi nelle imprese che cercano di partecipare al festino, sottraendo risorse alla produzione materiale? Pare proprio di no.
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