Il reato di cui all’art. 316-ter c.p. è configurabile anche in caso di risparmio di spesa


La soluzione

Integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche previsto dall’art. 316-ter c.p. l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alla riduzione dei contributi dovuti ai lavoratori collocati in mobilità per effetto della omessa comunicazione dell’esistenza della condizione ostativa prevista dall’art. 8, comma 4-bis, L. 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), L. 28 giugno 2012 n. 92), senza che assumano rilievo, a tal fine, le modalità di ottenimento del vantaggio economico derivante dall’inadempimento dell’obbligazione contributiva;

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In tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, nell’ipotesi in cui il diritto alla riduzione dei contributi previdenziali e alle agevolazioni previste per il collocamento dei lavoratori in mobilità dall’art. 8, L. 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), L. 28 giugno 2012 n. 92) sia stato indebitamente conseguito per effetto di una originaria condotta mendace od omissiva, il reato è unitario a consumazione prolungata quando i relativi benefici economici siano concessi o erogati in ratei periodici e in tempi diversi, con la conseguenza che la sua consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo».

I precedenti

Cass. pen., Sez. Un., 27/4/2007, n. 16568

Integra il reato di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato previsto dall’art. 316 ter, comma 1, c.p., e non quello di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640-bis stesso codice, l’indebito conseguimento, nella misura superiore al limite minimo in esso indicato, del cosiddetto reddito minimo di inserimento previsto dal D.Lgs. 18 giugno 1998 n. 237.

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Cass. pen., Sez. Un., 25/2/2011, n. 7537

Integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la falsa attestazione circa le condizioni reddituali per l’esenzione dal pagamento del ticket per prestazioni sanitarie e ospedaliere che non induca in errore ma determini al provvedimento di esenzione sulla base della corretta rappresentazione dell’esistenza dell’attestazione stessa. Si ha erogazione, pur in assenza di un’elargizione, quando il richiedente ottiene un vantaggio economico che viene posto a carico della comunità.

Cass. pen., Sez. VI, 14/12/2021, n. 45917

In tema di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato, nella valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità, prevista dall’art. 316-ter, comma 2, c.p., occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica, ove le erogazioni conseguano ad una iniziale ed unitaria condotta (nel caso di specie, l’imputato, omettendo di comunicare il proprio trasferimento all’estero, aveva percepito indebitamente, per oltre sei anni, la pensione di invalidità civile).

Cass. pen., Sez. VI, 9/8/2021, n. 31223

In tema di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, il superamento della soglia di punibilità indicata dall’art.316-ter, comma 2, c.p. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità, sicché è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva (nel caso di specie la Corte ha escluso che, ai fini del superamento della soglia di punibilità, si potesse tener conto dell’ammontare complessivo della indennità di malattia anticipata al lavoratore, dovendosi tener conto delle somme erogate per ciascun mese, sulla base delle singole dichiarazioni effettuate per ogni periodo di malattia)

Il caso e la questione di diritto

Con sentenza del 17 marzo 2023 la Corte di appello di Lecce, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, ha riqualificato ai sensi dell’art. 316-ter c.p. il reato presupposto dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a), 6, 24, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001, originariamente contestato come delitto di truffa aggravata, e ha applicato alla società appellante Alfa la sanzione amministrativa della pena pecuniaria e quella interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di sei mesi, con l’esclusione, per la stessa durata, dell’accesso ad agevolazioni, finanziamenti contributi e sussidi.

Il reato presupposto dell’illecito amministrativo addebitato all’ente è stato commesso attraverso l’indebito conseguimento della riduzione, sino al 31 dicembre 2008, degli oneri contributivi dovuti all’INPS per le posizioni di 210 lavoratori assunti a seguito della messa in mobilità di altrettanti lavoratori originariamente impiegati presso l’impresa Beta e della creazione di un consorzio di produttori, costituito anche dalla società Alfa, al fine – in tesi accusatoria – di proseguire, con una nuova veste giuridica, la medesima attività imprenditoriale svolta dall’impresa Beta. In particolare, si imputa alla società Alfa di non avere dichiarato, nelle richieste di agevolazioni contributive allegate alle comunicazioni di assunzione dalle liste dei lavoratori collocati in mobilità dall’impresa Beta, la sussistenza delle condizioni ostative alla contribuzione agevolata previste dall’art. 8, comma 4-bis, L. 23 luglio 1991, n. 223, nei confronti dell’impresa che «al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo».

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Investita del ricorso della società Alfa, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione aveva rilevato l’esistenza di un contrasto in ordine alla qualificazione giuridica del fatto e alla natura, unitaria o meno, del reato nell’ipotesi di reiterate percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato.

Con ordinanza del 7 maggio 2024, aveva rimesso gli atti alle Sezioni Unite.

La giurisprudenza precedente

Con riferimento al primo quesito, l’ordinanza di rimessione intende superare l’indirizzo consolidato che ritiene applicabile l’art. 316-terc.p. anche al risparmio di spesa, sussistendo la “erogazione” anche in assenza di una materiale elargizione di denaro, quando il richiedente ottiene un vantaggio economico comunque posto a carico della comunità.

Osta a tale conclusione, secondo l’ordinanza, l’utilizzo di formule lessicali che sembrano richiedere l’effettiva riscossione, da parte del soggetto agente, di somme di denaro erogate dagli enti pubblici a seguito della realizzazione delle condotte decettive od omissive descritte dalla fattispecie.

Con riferimento al secondo quesito, un primo orientamento sostiene che il delitto di cui all’art. 316-terc.p. integra un delitto “a consumazione prolungata”, sicché la prescrizione inizia a decorrere dalla data dell’ultimo illecito “risparmio di spesa”.

Un secondo orientamento ritiene, invece, che l’illecito dovrebbe scindersi in una serie di indebite percezioni essendo irrilevante, in tale prospettiva, che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, assumendo rilievo il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva.

Con decreto del 6 settembre 2024, la Prima Presidente aveva assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione l’udienza pubblica del 28 novembre 2024.

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La decisione delle Sezioni Unite

Con riferimento al primo quesito, le Sezioni unite ribadiscono l’indirizzo tradizionale; con riferimento al secondo sostengono la validità del primo orientamento.

Le Sezioni Unite ricordano, in primo luogo, che l’ambito applicativo del reato di cui all’art. 316-ter c.p. è stato progressivamente delineato dalla Corte costituzionale e dalle stesse Sezioni Unite.

In particolare:

Corte cost., ord. n. 95/2004, ha affermato il carattere sussidiario e residuale del reato rispetto all’affine fattispecie di truffa aggravata di cui all’art. 640-bis c.p., osservando che la norma introdotta nell’art. 316-ter assicura una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella offerta agli stessi interessi tutelati dall’altra disposizione, “coprendo” in particolare gli eventuali “margini di scostamento” – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode;

– Cass. pen., Sez. Un., 24/7/2007, n. 16568, C., ha affermato che integra il reato di cui all’art. 316-ter c.p. e non quello di cui all’art. 640-bis c.p. «l’indebito conseguimento, nella misura superiore al limite minimo in esso indicato, del cosiddetto reddito minimo di inserimento previsto dal D.Lgs. 18 giugno 1998 n. 237»;

Cass. pen., Sez. Un., 25/2/2011, n. 7537, P., ha affermato che integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la falsa attestazione circa le condizioni reddituali per l’esenzione dal pagamento del ticket per prestazioni sanitarie e ospedaliere che, pur non inducendo in errore, determini il provvedimento di esenzione sulla base dell’esistenza dell’attestazione stessa; nell’occasione le Sezioni Unite avevano precisato che si ha erogazione, pur in assenza di un’elargizione, quando il richiedente ottiene un vantaggio economico che viene posto a carico della comunità.

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Tali principi, ricordano le odierne Sezioni Unite, sono stati applicati:

a) alla condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, ottenga dall’INPS il conguaglio di tali somme, fittiziamente riportate nei modelli “Uniemens” mensili, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente le corrispondenti erogazioni in forma di risparmio di spesa;

b) alla falsa esposizione di aver corrisposto somme a titolo di indennità per maternità, in modo da ottenere dall’INPS il conguaglio di tali somme con quelle dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto, nella forma del risparmio di spesa, le corrispondenti erogazioni;

c) alla falsa esposizione di aver corrisposto in favore del lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, così da ottenere dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, percependo indebitamente le corrispondenti erogazioni.

Sempre in applicazione dei predetti principi, il reato di cui all’art. 316-ter c.p. è stato altresì ritenuto sussistente in conseguenza della erogazione:

1 dell’assegno sociale ai sensi dell’art. 3L. 8 agosto 1995, n. 335, ottenuto mediante la presentazione all’INPS di apposita domanda, con allegata falsa attestazione di residenza nel territorio dello Stato;

2 dei ratei di pensione di invalidità civile goduta dall’imputato sul presupposto della residenza in Italia, attraverso l’omessa comunicazione all’INPS del suo stabile trasferimento all’estero;

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3 di assegni familiari ottenuti mediante la predisposizione di una falsa dichiarazione con la quale l’imputato attestava di avere il coniuge a carico in quanto privo di reddito;

4 della pensione di invalidità civile ottenuta mediante un antidoveroso silenzio informativo;

5 del cd. reddito minimo di inserimento, ottenuto tramite l’omessa comunicazione al Comune del fatto che era entrato a far parte del nucleo familiare un soggetto percettore di reddito, la cui presenza faceva venir meno il diritto all’indennità mensile;

6 dei benefici derivanti dalle tariffe incentivanti previste dal D.M. 19 febbraio 2007, mediante la presentazione di false attestazioni;

7 di un voucher attribuito da un ente pubblico per la frequentazione di un corso di formazione.

L’art. 316-ter c.p., ricordano ancora le Sezioni Unite, è stato ritenuto applicabile anche alla concessione, per effetto di una autodichiarazione mendace, di un finanziamento bancario assistito dalla garanzia del Fondo centrale per le piccole e medie imprese (Fondo PMI) ai sensi dell’art. 13, lett. m), D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (cd. “decreto liquidità”), convertito dalla L. 5 giugno 2020 n. 40. La garanzia a carico del soggetto pubblico, gratuita per il beneficiario, costituisce infatti il presupposto determinante ai fini della erogazione del finanziamento da parte del privato, nell’ambito di un rapporto triangolare che lega il Fondo garante, la banca concedente il finanziamento e l’imprenditore finanziato.

Tanto premesso, le Sezioni Unite sostengono che l’analisi della struttura e della formulazione lessicale della fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche mostra la persistente validità dell’impostazione ermeneutica sinora accolta dalla dominante giurisprudenza di legittimità sulla base dei principi affermati dalle precedenti decisioni delle Sezioni Unite.

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L’ampia formula lessicale utilizzata dal legislatore per descrivere l’oggetto materiale della condotta incriminata è idonea a ricomprendervi la percezione di ausili economici di qualsiasi tipo, a fondo perduto o con obbligo di restituzione, con la sola connotazione della vantaggiosità, ossia dell’agevolazione rispetto alle condizioni ordinarie praticate sul mercato. A fronte del carattere deliberatamente generico del modello definitorio utilizzato dal legislatore nella costruzione della fattispecie in esame, il significato delle diverse espressioni ivi elencate in sequenza («contributi», «sovvenzioni», «finanziamenti», « mutui agevolati», «altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate») ben può riferirsi, alla luce dell’uso corrente e dell’etimologia dei termini impiegati, all’attribuzione di qualsivoglia vantaggio economico in favore di soggetti privati.

Nella stessa formulazione letterale dell’art. 316-ter c.p. è espressamente valorizzato, attraverso l’impiego del termine «mutuo agevolato», il contenuto di una operazione negoziale conclusa a condizioni più favorevoli di quelle di regola praticate nel mercato finanziario, connotando la percezione del “beneficio” come un sostanziale “risparmio di spesa” rispetto a quanto il contraente avrebbe dovuto sopportare per stipulare un mutuo a condizioni “non agevolate”. L’enunciato normativo, dunque, consente di comprendere nel precetto anche la percezione dei benefici economici legati alla riduzione di un onere previdenziale o assistenziale per colui che indebitamente li abbia conseguiti secondo le diverse possibili modalità di realizzazione della condotta previste dalla richiamata disposizione.

È nell’indebito conseguimento di un’agevolazione economica, in qualsiasi modo attribuita dallo Stato, da un ente pubblico o dall’Unione europea, che deve ricercarsi, dunque, il nucleo identificativo della tipicità della fattispecie di reato in esame. Entro tale prospettiva, le Sezioni Unite affermano che la norma incriminatrice adotti una formula linguistica non necessariamente circoscritta alla materiale dazione di somme di denaro, ma strutturata in maniera tale da poter riguardare anche la formale attribuzione del diritto ad ottenere una prestazione pecuniaria a carico dello Stato o di altro ente pubblico.

Sul piano dell’interpretazione letterale, precisato che i benefici oggetto di indebito conseguimento possono essere «concessi o erogati», le Sezioni Unite ritengono che il legislatore abbia inteso conferire alle due parole un significato autonomo, non necessariamente coincidente con quello costituito dalla materiale dazione di somme di denaro.

Secondo la comune accezione linguistica, il termine «concedere» significa anche, e primariamente, «accordare dando il proprio formale assenso», dunque “permettere, “acconsentire”, non solo materialmente consegnare. Il termine «erogare», a sua volta, discende dall’omologo latino e sta a significare l’effettuazione di una spesa pubblica in favore del richiedente, concretandosi quindi nell’attivazione di una procedura volta ad elargire, destinare, impiegare una somma per uno scopo determinato, ma anche a dare, fornire, distribuire, devolvere, mettere a disposizione degli utenti un servizio o un bene determinato. Ne consegue che la “richiesta” che dà luogo alla “erogazione” può ben riguardare il conferimento di qualsivoglia agevolazione economica da riconoscere in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, senza che a tale ampio significato si leghi necessariamente la materialità di una dazione iniziale ovvero una immediata percezione del beneficio da parte del privato (in tal senso le Sezioni Unite richiamano, a titolo esemplificativo, le svariate ipotesi della garanzia pubblica di un finanziamento bancario erogato in favore di determinate imprese, della presa in carico da parte dello Stato di oneri retributivi e previdenziali, della previsione di crediti agevolati alle esportazioni o di assicurazioni speciali di tali crediti, della stipula di contratti per forniture all’amministrazione pubblica a prezzi più alti di quelli di mercato).

In assenza di specificazioni qualificative restrittive dell’area semantica dei due termini, con l’espressione «altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate» si è inteso ricorrere ad una generale formula di chiusura, in modo da ricomprendere nell’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice ogni possibile forma di attribuzione comunque agevolata per il beneficiario di risorse pubbliche o eurounitarie, includendovi anche quelle indirettamente conseguite, che prescindono da un esborso iniziale di denaro.

La forma, diretta o indiretta, attraverso cui si verifica l’indebito conseguimento di una qualsiasi delle agevolazioni economiche previste dalla fattispecie incriminatrice può manifestarsi, indifferentemente, nella fuoriuscita di una spesa in favore del privato ovvero in una minore entrata nel bilancio dello Stato o di un ente pubblico a beneficio del privato, dando luogo solo ad una delle possibili modalità di realizzazione della condotta, senza incidere sul disvalore di evento legato al verificarsi di una differenza, in concreto variabile, rispetto a quanto lo Stato o l’ente pubblico avrebbe dovuto legittimamente ricevere dal privato sulla base delle condizioni e dei requisiti previsti dalla disposizione autorizzativa della spesa pubblica.

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La condotta penalmente rilevante si realizza, di conseguenza, non attraverso l’indebito rimborso di spesa, ma, ancora prima, con l’indebito conseguimento del diritto ad un beneficio contributivo la cui fruizione non è consentita dalla legge.

Conferme, in questo senso, derivano anche dalla elaborazione giurisprudenziale progressivamente sviluppata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107T.F.U.E. avendo la CGUE costantemente affermato che lo strumento dello sgravio o della riduzione dei contributi previdenziali – di frequente utilizzato dal legislatore italiano – rappresenta una delle forme tipiche di vantaggio economicamente valutabile, di fonte pubblica, idoneo a concretare un’ipotesi di aiuto di Stato, configurabile anche nel caso degli sgravi contributivi non avendo rilevanza che le autorità pubbliche non eroghino direttamente denaro alle imprese, né il fatto che il vantaggio venga riconosciuto da un ente previdenziale e non da un’autorità ministeriale in senso tradizionale.

Rilevano, al riguardo, tutti gli interventi che, sotto qualsiasi forma, sono volti a favorire direttamente o indirettamente determinate imprese, o che devono essere considerati come un vantaggio economico che l’impresa beneficiaria non avrebbe potuto ottenere in condizioni di mercato normali. Analogamente, per vantaggio economico in favore di un’impresa deve intendersi qualsiasi riduzione degli oneri che normalmente gravano sul suo bilancio. Ed invero, ricordano le Sezioni Unite, il trasferimento di risorse pubbliche in favore di imprese o privati può concretamente assumere numerose forme di manifestazione che vengono per lo più individuate, a mero titolo esemplificativo, in:

a) sovvenzioni non rimborsabili e sovvenzioni dirette a ripianare le perdite di bilancio ovvero a copertura dei costi di nuovi investimenti;

b) prestiti a tassi agevolati;

c) garanzie dello Stato sui debiti;

d) crediti agevolati alle esportazioni o assicurazioni speciali di tali crediti;

e) dilazioni dei pagamenti;

f) stipula di contratti per forniture all’amministrazione pubblica a prezzi più alti di quelli di mercato;

g) presa in carico da parte dello Stato di oneri retributivi e previdenziali;

h) cessione di proprietà immobiliari pubbliche a prezzi inferiori al loro valore;

i) agevolazioni o esenzioni fiscali;

l) dilazioni eccezionali nel versamento di tributi ed altre forme ancora.

Nella prospettiva del diritto eurounitario, dunque, il requisito del “trasferimento di risorse statali” è ritenuto sussistente ogni qual volta l’aiuto abbia un impatto sul bilancio dello Stato, vale a dire in ogni ipotesi in cui lo Stato direttamente conceda proprie risorse oppure, indirettamente, rinunci a riscuotere ciò che gli è dovuto.

Per la giurisprudenza unionale la nozione di «aiuto» comprende non solo le prestazioni positive, come le sovvenzioni, ma anche le misure che, sotto varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa e che, pertanto, senza essere sovvenzioni in senso stretto, presentano natura analoga e producono il medesimo effetto.

Ulteriore argomento a sostegno della soluzione adottata dalle Sezioni Unite deriva dall’analisi della genesi della fattispecie incriminatrice che fu introdotta nell’ordinamento penale italiano in attuazione della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, sottoscritta a Bruxelles il 26 luglio 1995, il cui art. 2 impone agli Stati membri di punire le frodi lesive dei predetti interessi con sanzioni penali «effettive, proporzionate e dissuasive». Secondo l’art. 1, lett. a), della Convenzione costituisce frode lesiva degli interessi finanziari delle Comunità europee, in materia di spese, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa, fra l’altro, all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio generale delle Comunità europee o dai bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse.

In sede di ratifica il legislatore ha recepito gli obiettivi della Convenzione utilizzando, nel delineare la condotta di “indebito conseguimento”, un’espressione il cui significato consiste, secondo l’accezione comunemente riportata nei più diffusi dizionari, nell’ottenere, raggiungere, ricevere qualche cosa. Un termine ad ampio spettro semantico, al quale il legislatore nazionale ha fatto ricorso per adeguare l’assetto codicistico alla corrispondente formulazione lessicale prevista dall’art. 1, lett. a), della Convenzione: il termine «percepire» ivi impiegato, infatti, presenta, nel senso comune dell’espressione, l’analogo significato di acquisire, raccogliere, far proprio e, per estensione, riscuotere, ricevere il frutto, il reddito, l’utile di un bene o di un patrimonio.

Nella rubrica e nel secondo comma dell’art. 316-ter c.p. il legislatore impiega il termine «indebita percezione», facendolo seguire dal sintagma riassuntivo «erogazioni pubbliche», mentre nel primo comma, per descrivere compiutamente la condotta delittuosa, fa riferimento al termine «indebito conseguimento», con la successiva individuazione dell’oggetto materiale, che vi viene esplicitato nella sua più ampia estensione possibile, attraverso l’indicazione delle forme più varie di attribuzione economica agevolata da parte dello Stato, di altri enti pubblici e dell’Unione europea, con una clausola di chiusura finalizzata ad attribuire rilievo a qualsiasi erogazione pubblica, comunque denominata, dello stesso tipo. Le Sezioni Unite ritengono, in conformità al dato letterale e alla finalità dello strumento convenzionale, che ai due termini rispettivamente impiegati dal legislatore nella rubrica e nel corpo della disposizione («indebita percezione» e «indebito conseguimento») si ricolleghi il medesimo significato sopra indicato, poiché, in caso contrario, il contenuto precettivo della previsione normativa risulterebbe palesemente irrazionale.

Dunque, l’art. 316-ter c.p. mira ad anticipare la rilevanza penale dell’illecita captazione di finanziamenti pubblici sia rispetto al delitto di malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.), che incentra il disvalore della condotta sulla mancata destinazione del finanziamento alle finalità per cui è stato concesso, sia riguardo alla truffa aggravata prevista dall’art. 640-bis c.p., che presuppone invece l’induzione in errore dell’ente, entro una relazione di sussidiarietà fra le due figure delittuose. Da una valutazione complessiva del significato delle formule lessicali ivi impiegate emerge, in definitiva, che il nucleo di tipicità della fattispecie descritta nell’art. 316-ter c.p. poggia sull’indebita acquisizione di benefici economici di qualsiasi tipo, siano essi provenienti dallo Stato, da altri enti pubblici ovvero dall’Unione europea, diretti o indiretti, per effetto di un comportamento attivo od omissivo causalmente correlato all’attivazione di una procedura amministrativa di concessione-erogazione di provvidenze di fonte pubblica.

Ulteriori elementi di conferma possono trarsi, affermano le Sezioni Unite, dall’esame della disposizione prevista dall’art. 12L. 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi», che in materia di provvedimenti attributivi di vantaggi economici stabilisce:

a) nel primo comma, che «la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione (…) da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi»;

b) nel secondo comma, che «l’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1».

Da tale disposizione risulta con evidenza, secondo le Sezioni Unite, che il principio di tipicità e predeterminazione delle disposizioni autorizzative di spesa da parte degli enti non conosce alcuna distinzione tra la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, da un lato, e l’attribuzione di ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere, dall’altro. La generale esigenza di tassatività si dispiega in relazione a tutti i provvedimenti attributivi di vantaggi economici, risultando artificiosa, oltre che irragionevole nella prospettiva della spesa pubblica, una distinzione tra quella realizzata attraverso dazioni in favore del privato, siano esse soggette o meno a restituzione, e quella praticata attraverso la previsione di ausili finanziari e attribuzioni di agevolazioni economiche di qualunque genere.

Le Sezioni Unite assicurano, pertanto, che l’assetto ermeneutico delineato e stabilmente applicato dalla Corte di cassazione non determina effetti creativi di una nuova disposizione normativa, ma rispetta la ratio legis e si mantiene entro il confine semantico tracciato dai possibili significati linguistici della formulazione letterale del testo, senza oltrepassarne il senso fatto palese dalle espressioni usate e dalla loro concatenazione logica.

Di qui l’affermazione del primo principio di diritto per effetto del quale l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alla riduzione dei contributi dovuti ai lavoratori collocati in mobilità integra il delitto di cui all’art. 316-ter c.p.

Quanto alla natura del reato, oggetto del secondo quesito, le Sezioni Unite richiamano il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in caso di erogazioni pubbliche conferite in ratei periodici e in tempi diversi, il momento consumativo coincide con la cessazione dei pagamenti, perdurando il reato fino a quando non vengono interrotte le riscossioni.

La categoria del reato unico a consumazione frazionata e prolungata nel tempo è stata elaborata dalla giurisprudenza per definire una condotta che sin dall’inizio si prospetta, nella volontà di chi intende commetterlo, come un’azione che sfocia in un evento che continua a prodursi nel tempo, aumentando logicamente a mano a mano la propria entità. Quando l’azione esecutiva è idonea, ai sensi del secondo comma dell’art. 49 c.p., ed ha conseguito l’effetto causale che ne discende, colui che l’ha attuata con coscienza e volontà ne continua a rispondere, ove non ne interrompa egli stesso l’effetto, anche se questo, e cioè l’evento che continua a protrarsi nel tempo, poteva essere interrotto dalla stessa parte offesa.

La figura del reato unico a consumazione prolungata è stata valorizzata con riferimento alla individuazione del momento consumativo dei delitti di truffa previsti dagli artt. 640 e 640-bis c.p., nell’ipotesi in cui le erogazioni pubbliche, a versamento rateizzato, siano riconducibili ad un originario ed unico comportamento fraudolento, configurandosi invece plurimi ed autonomi fatti di reato quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente, con la conseguenza che, ai fini della prescrizione, il relativo termine decorre, nella prima ipotesi, dalla percezione dell’ultima rata di finanziamento e, nella seconda, dalla consumazione dei singoli fatti illeciti.

La configurazione del reato unico a consumazione prolungata è stata progressivamente estesa dalla giurisprudenza ad una serie di ipotesi delittuose caratterizzate dal progressivo aggravamento della lesione recata al bene protetto a seguito di un’iniziale condotta che già integra la fattispecie (in tema di riciclaggio, di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, di circonvenzione di incapaci, di usura, di omessa corresponsione dell’assegno di mantenimento, di frode in pubbliche forniture, di plurime attività del pubblico ufficiale corrotto).

Con riferimento al delitto di cui all’art. 316-ter c.p., le Sezioni Unite ne ribadiscono la natura di reato unico a consumazione prolungata quando plurime erogazioni pubbliche siano la conseguenza di un originario ed unico comportamento mendace o di un’omissione informativa antidoverosa, mentre lo stesso assume carattere plurale – con la possibilità di unificazione dei diversi fatti sotto il vincolo della continuazione – quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività tipiche.

Ne deriva che:

a) il reato a consumazione frazionata deve considerarsi integrato in tutti i suoi elementi solo all’esito dell’ultima riscossione da parte del soggetto attivo;

b) il momento consumativo, in caso di erogazioni pubbliche suddivise in più tranches conferite in tempi diversi, deve essere individuato nella cessazione dei pagamenti, perdurando il reato fino a quando non vengano interrotte le riscossioni.

La periodicità dell’erogazione, pertanto, si ricollega alla iniziale condotta omissiva da cui origina l’indebita percezione del rateo di pensione, con la conseguente unitarietà del fatto di reato anche se le modalità di erogazione delle somme via via accreditate e riscosse risultino periodicamente articolate. Sicché, anche ai fini della valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità, prevista dall’art. 316-ter, comma 2, c.p., occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica, ove le erogazioni conseguano ad una iniziale ed unitaria condotta.

Tali principi, ricordano le Sezioni Unite, sono già stati applicati in tema di:

a) conseguimento delle tariffe incentivanti previste dalD.M. 19 febbraio 2007 mediante la presentazione di false attestazioni;

b) conseguimento dell’assegno sociale ai sensi dell’art. 3L. 8 agosto 1995, n. 335, mediante la presentazione all’INP di apposita domanda, con allegata falsa attestazione di residenza nel territorio dello Stato;

c) indebito incasso, ottenuto mediante l’omessa comunicazione all’INPS dello stabile trasferimento all’estero, dei ratei di pensione di invalidità civile goduta dall’imputato sul presupposto della residenza in Italia;

d) indebita percezione di assegno sociale, ottenuta mediante la falsa dichiarazione – mai modificata né aggiornata – di non possedere reddito alcuno;

e) indebita percezione degli assegni familiari, ottenuta mediante la predisposizione di falsa dichiarazione con la quale l’imputato attestava di avere il coniuge a carico, in quanto privo di reddito;

f) indebita percezione della pensione di invalidità civile ottenuta mediante un antidoveroso silenzio informativo;

g) indebita percezione, per diverse mensilità, del cd. reddito minimo di inserimento, ottenuto attraverso l’omessa comunicazione del fatto che era entrato a far parte del nucleo familiare un soggetto percettore di reddito, la cui presenza faceva venir meno il diritto all’indennità mensile.

Coerente con la struttura del reato e con l’inquadramento sistematico della fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p. è l’ulteriore precisazione delle Sezioni Unite secondo cui il delitto si consuma nel luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l’accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre provvidenze in favore di chi ne abbia indebitamente fatto richiesta, perché con tale atto si verifica la dispersione del denaro pubblico, e non in quello in cui avviene la materiale apprensione degli incentivi.

Ciò sul decisivo rilievo che il legislatore non ha considerato l’ingiusto profitto del soggetto beneficiato quale elemento del fatto tipico, ma ha polarizzato il disvalore dell’evento nel momento e nel luogo in cui si realizza la deminutio patrimonii per il soggetto pubblico. Irrilevante, di conseguenza, la domiciliazione del proprio conto corrente bancario in caso di sovvenzioni erogate mediante bonifico, ciò che altrimenti consentirebbe all’imputato di scegliersi il tribunale che lo deve giudicare.

Di qui l’affermazione del secondo principio di diritto in attuazione del quale le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso.

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