Il ricambio generazionale l’ha fatto in prima persona e lo ha “messo a sistema” per supportare le imprese quando ancora era vicepresidente dei Giovani Imprenditori. Maria Anghileri, lecchese, classe 1987, alla guida del movimento dei Giovani Imprenditori di Confindustria dallo scorso novembre e vicepresidente di Confindustria, ci racconta le nuove generazioni, spesso etichettate come poco intraprendenti, da un’altra angolazione. È convinta che i giovani abbiano voglia di fare, una preparazione – in molti casi – anche superiore a quella delle generazioni precedenti, ma con condizioni di contesto peggiori. Per questo è indispensabile creare un ecosistema europeo con regole comuni che consenta alle startup e alle PMI di muoversi liberamente. Una norma che sta per diventare realtà e che potrebbe fare da apripista per tutte le altre. Tanto più che con i dazi di Trump unire le forze sembra essere a dir poco indispensabile per i 27.
Com’è iniziata la tua avventura in Confindustria giovani? Ho iniziato nel 2016 nella mia territoriale di Lecco, poi in Assolombarda e Confindustria Lombardia. Sono stata vicepresidente nazionale, dedicandomi a progetti sul passaggio generazionale in azienda con tappe su tutto il territorio nazionale per sensibilizzare, appunto, le imprese. Il bello di Confindustria giovani, molti non lo sanno, è che è un movimento di persone e non di imprese, ne fanno parte 10mila imprenditori under 40. In questo grande network mettiamo tutti passione e impegno e diamo il nostro contributo di idee per rendere l’Italia un Paese a misura di giovani.
Com’è avvenuto il passaggio generazionale nell’impresa della tua famiglia? Dopo la laurea in giurisprudenza alla Bocconi e un’esperienza di tre anni in uno studio legale di diritto societario, mio fratello Giacomino mi ha detto: vieni in azienda perché c’è bisogno di te. La mia famiglia è nell’acciaio da quattro generazioni, a casa ho sempre respirato “pane e azienda”. Ho iniziato facendo esperienza nei vari dipartimenti e adesso seguo la parte finanziaria. Mio papà, che da poco è stato nominato Cavaliere del Lavoro, insieme a mio zio, hanno fondato Eusider quando erano giovanissimi. Oggi il gruppo è un player di riferimento nelle pre-lavorazioni dell’acciaio, con 900 collaboratori e 18 stabilimenti in Italia. Acquistiamo e trasformiamo i prodotti siderurgici per i nostri clienti nei settori del bianco, nella cantieristica navale, nell’automotive fino alle macchine movimento terra.
In che modo tu e tuo fratello avete cambiato l’azienda? Viviamo una efficace sinergia generazionale tra i fondatori, mio padre Eufrasio e mio zio Antonio, e la nuova generazione rappresentata da me e mio fratello. Da noi in azienda, il passaggio generazionale è avvenuto attraverso un Patto di famiglia, scelto e formalizzato da mio padre in occasione del suo 70esimo compleanno. Si tratta di uno strumento che permette di programmare la successione dell’impresa. Con mio fratello abbiamo avviato nuove acquisizioni e scommesso sull’export che adesso rappresenta il 35% del fatturato, abbiamo puntato sulla formazione dei nostri collaboratori.
La tua presidenza è incentrata su tre parole chiave: persone, imprese, e Europa, cosa significa? Credo sia necessario un nuovo “Umanesimo industriale”, dove imprese e persone, soprattutto quelle giovani, siano davvero al centro per affrontare le grandi rivoluzioni economiche, tecnologiche e sociali che abbiamo davanti. Un esempio è la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. In questo ambito una delle chiavi strategiche è la formazione: l’AI generativa di massa impone oggi un profondo ripensamento del nostro sistema formativo, che deve puntare sulla convergenza di competenze STEM e visione umanistica. Nei prossimi anni non potranno essere più silos separati, ma un bagaglio unico in cui l’Italia potrebbe eccellere. Perché se è vero che non nasceranno imprese a guida autonoma, è altrettanto vero che l’AI è uno strumento che deve essere guidato.Confindustria sta studiando dei casi concreti di applicazione e li diffonderà presso i suoi associati, con l’obiettivo di democratizzare l’AI. Persone e imprese saranno protagoniste al nostro convegno del 13 e 14 giugno a Rapallo, con le testimonianze di imprenditori e imprenditrici under 40, con una attenzione concreta alla parità di genere – come la mia squadra dimostra – tema a cui tengo molto. La voglia di fare impresa c’è, ma il sistema ci deve credere e investire su quelle imprese giovani che sono, spesso, anche quelle più tecnologiche. Negli Usa le tre principali aziende innovative, vent’anni fa, erano nell’automotive e oggi sono nel tech. In Europa invece siamo in ritardo e le aziende che innovano di più continuano ad essere nel settore automotive. L’Europa non è riuscita ad investire nei settori più innovativi scontando per questo un gap di competitività.
L’Europa si trova in un momento di difficoltà alle prese con i rischi legati ai dazi imposti dall’alleato Usa. Come se ne esce? La mia è la generazione Erasmus, crediamo nel libero scambio e per questo non ci riconosciamo in questo mondo di barriere e protezionismo. I dazi sono negativi, solo annunciarli è controproducente perché incertezza e paura bloccano gli investimenti. L’Europa ha 450 milioni di abitanti, il nostro mercato è paragonabile a quello americano, non ci dobbiamo dividere ma dobbiamo affrontare il nuovo equilibrio mondiale compatti. Invece il mercato unico oggi è frammentato, basti pensare che per fondare una startup ci sono 27 regole diverse. Ci vorrebbe, come aspettiamo da 11 anni e speriamo diventi presto realtà, un 28esimo “stato” che consenta di fondare una startup e di operare in tutti i paesi con le stesse regole di ingaggio. Altrimenti le imprese migliori vengono acquistate da fondi americani e il tessuto imprenditoriale europeo si indebolisce.
Quali difficoltà incontrano oggi le imprese giovani? Il problema principale è che non riescono a fiorire: in 10 anni abbiamo perso 153mila imprese guidate da under35. La difficoltà maggiore è l’accesso al credito, perché le imprese giovani – soprattutto quelle innovative – sono per loro natura rischiose. Poi c’è la questione del mismatch fra domanda e offerta di lavoro, tanto che il 34% delle aziende tende atrattenere i propri collaboratori anche in presenza di un calo della produzione.
I dati macroeconomici non sono confortanti, di fatto c’è una stagnazione. Veniamo da 24 mesi di rallentamento della produzione industriale, ci sono molti elementi che spiegano questa frenata, ad esempio il caro-energia. Come possiamo competere se la paghiamo l’87% in più della Francia, il 72% della Spagna e il 38% della Germania? Chiediamo di lavorare sul mix energetico, sul disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’energia elettrica, e di puntare anche sul nucleare di nuova generazione, rivendico questa come una battaglia storica del movimento dei giovani di Confindustria.
Ogni anno migliaia di italiani (191mila nel 2024 – Istat) si trasferiscono all’estero per lavoro attratti anche da stipendi più sostanziosi, i migliori vanno via? Fare esperienze all’estero, di studio e lavoro, è positivo, l’importante è che i giovani trovino le condizioni giuste per ritornare. Come Giovani Imprenditori ci poniamo l’obiettivo di cambiare la narrativa per cui i migliori vanno via e i mediocri restano. Le nostre imprese sono valide e, come dicevo, sono continuamente alla ricerca di collaboratori con forti competenze. Certamente il problema delle retribuzioni è reale ma è legato alla produttività che, in alcuni settori, è stagnante da vent’anni. Mentre nell’industria, salari e produttività sono cresciuti parallelamente. Certamente influisce anche la dimensione delle imprese, perché un’impresa deve investire e crescere per poter aumentare i salari. C’è poi un tema strutturale del costo del lavoro e della pressione fiscale che è tra le più alte nei paesi Ue secondo i dati Ocse. Parliamo del 42,8%. I primi segnali per alleggerire la pressione fiscale sul lavoro ci sono stati da parte del governo, bisogna proseguire in questa direzione e renderli strutturali.
L’altra faccia della medaglia sono i giovani che non lavorano e non studiano. È un tema che sento molto e su cui stiamo lavorando, insieme alla Liuc, a un progetto di ricerca. Queste sono energie e intelligenze che non possiamo lasciare indietro e su cui dobbiamo agire con l’orientamento e la formazione continua per riportarle allo studio e al lavoro. E per valorizzare chi sceglie il mestiere dell’imprenditore abbiamo il nostro progetto Talentis che li mette in contatto con investitori, fondi e incubatori ed anche con le imprese tradizionali, in modo che si instauri un dialogo nel segno dell’innovazione.
In che ambiti si potrebbe inserire l’industria italiana del futuro? Nell’applicazione dell’intelligenza artificiale. Il treno dell’AI non è passato, sicuramente produrla è più difficile ma applicarla nelle nostre imprese è la nostra grande opportunità. È la sfida che sta abbracciando Confindustria per rendere competitive e innovative le imprese. L’Italia è forte non solo nel Made in Italy più visibile e noto ma anche nella produzione manifatturiera di settori come macchinari, tessile, chimico e farmaceutico, tutti ambiti dove l’applicazione dell’AI è già realtà e diventerà sempre più essenziale. È su questo che dobbiamo puntare.
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