Dazi, Meloni: “Sfida complessa, ma l’Italia ha le carte in regola”




“Un nuovo patto per fare fronte comune rispetto alla nuova delicata congiuntura economica che stiamo affrontando”. Questo è quanto ha proposto il premier Giorgia Meloni nel corso della riunione a Palazzo Chigi con le categorie produttive per affrontare il tema dei dazi.

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“Il nostro obiettivo è utilizzare la crisi per rendere il nostro sistema economico più produttivo e competitivo”, ha sottolineato Meloni ricordando che le crisi “sono sempre un’occasione”. E ha aggiunto: “La parola crisi, io lo ricordo sempre, viene dal greco ‘krisis’ che significa scelta, decisione, la crisi impone di stabilire le priorità di scelta”. Il premier ha confermato che il prossimo 17 aprile sarà a Washington per affrontare il nodo dei dazi direttamente con il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump a cui chiederà la possibilità di azzerare i reciproci dazi sui prodotti industriali esistenti con la formula “zero per zero”, come già proposto da Ursula Von Der Leyen. I dazi, infatti, secondo Meloni, sono sbagliati perché l’Occidente è fortemente interconnesso. “Europa e Stati Uniti contano sulla relazione economica più integrata al mondo, rappresentano, insieme, quasi il 30 per cento degli scambi mondiali di beni e servizi e il 43 per cento del Pil mondiale”, ha detto Meloni che, poi, ha aggiunto: “Sono economie che si completano a vicenda, come dimostra il fatto che nel 2023 la Ue ha registrato sul fronte dei beni un surplus della bilancia commerciale di 157 miliardi e sul fronte dei servizi un disavanzo di 109 miliardi”. Il premier ha ribadito che ” qualsiasi ostacolo agli scambi internazionali è penalizzante in particolare per una nazione come l’Italia, che ha una lunga tradizione di commercio con l’estero e può contare sulla grande forza del made in Italy“. Inoltre, il surplus commerciale dell’Italia ha verso Stati Uniti nel 2024 è stato di 38,8 miliardi e “i dazi tra economie equivalenti, per noi, – ha detto Meloni – non sono mai una buona notizia”. Secondo il presidente del Consiglio “ci troviamo tutti davanti a un’altra sfida complessa, ma – ha aggiunto – abbiamo le carte in regola per superare anche questa”. Meloni, per vincere questa sfida, conta molto “sulla vitalità e sulla dinamicità delle nostre imprese e dei nostri lavoratori, che hanno sempre dimostrato di saper reagire e trovare le soluzioni anche nei momenti più difficili”. Il premier ha ribadito l’invito a non lasciarsi prendere dal panico e dall’allarmismo che “rischiano di fare molti più danni della misura in sé” perché “quello che abbiamo visto in questi giorni è che hanno toccato anche aziende non minimamente connesse all’export verso gli Stati Uniti”. Meloni, però, ha avvertito: “A monte per noi è molto difficile valutare con precisione quali saranno le conseguenze effettive prodotte da questa nuova situazione sul nostro Pil e quindi dobbiamo ragionare anche tenendo conto di questi elementi”.

Meloni ha illustrato anche i risultati del vertice di governo che avuto ieri con i ministri competenti sul tema: “Ci siamo confrontati sulla linea di negoziato da tenere a livello europeo e con gli Stati Uniti e sul set di misure da adottare anche a livello nazionale. Questi sono i tre livelli sui quali ci vorremmo confrontare oggi con voi anche per ascoltare i vostri suggerimenti e le vostre proposte, però partendo da alcune valutazioni che fino a qui abbiamo fatto e condiviso con i ministri del gruppo di lavoro, su questi tre diversi livelli: negoziato con Usa; iniziative per la competitività europea; misure che può mettere in campo l’Italia”. Nell’immediato, il premier ha chiarito: “Da subito intendiamo attivarci per avviare un forte negoziato con la Commissione Ue per un regime transitorio sugli aiuti di Stato e una maggiore flessibilità nella revisione del Pnrr, nellutilizzo dei fondi di coesione e nella definizione del Piano sociale per il clima”. Il premier ha, quindi, messo sul piatto circa 14 miliardi di euro recuperabili con la revisione del Recovery italiano. Soldi “che – ha detto Meloni – possono essere rimodulati per sostenere l’occupazione e aumentare lefficienza della produttività”. Ma non solo. Anche la revisione della politica di coesione, approvata la settimana scorsa dalla Commissione su proposta del vicepresidente Fitto, consentirà di recuperare ulteriori risorse. “Il nostro Paese ha 75 miliardi di euro (42,7 europei, gli altri cofinanziamenti nazionali) da spendere fino al 2029 distinti in 26 miliardi di euro assegnati ai programmi nazionali e 43 ai programmi regionali”, ha detto Meloni spiegando che “circa 11 miliardi di euro possono essere riprogrammati a favore delle imprese, dei lavoratori e dei settori che dovessero essere più colpiti. Anche in questo caso la riprogrammazione deve essere definita dintesa con la Commissione europea”. Il premier ha quindi spiegato che “in questi mesi stiamo poi programmando, è infatti in corso una consultazione pubblica, il Piano Sociale per il Clima, con una dotazione UE di 54 miliardi (2026–2032), che prevede per il nostro Paese circa 7 miliardi di euro complessivi, destinato a ridurre i costi dell’energia per famiglie e microimprese, attraverso misure per compensare i costi logistici e incentivare le tecnologie pulite”.

Il presidente del Consiglio poi ha puntato il dito contro i “dazi che ci siamo autoimposti”, in particolare le “regole ideologiche e non condivisibili” sul Green Deal “che stanno avendo un impatto pesantissimo sul nostro tessuto produttivo e industriale, a partire dal settore automotive”. Norme che “non erano sostenibili ieri” e che “non lo sono a maggior ragione oggi”. Il premier, dunque, ha chiesto “fortissime correzioni a questo piano” e una maggiore semplificazione “visto che l’Unione europea è soffocata dalle regole e le regole sono alla fine delle tasse, dei dazi autoimposti”. All’Europa “chiederemo una rapida approvazione del primo dei pacchetti omnibus, che – ha spiegato Meloni – in questo senso può dare un segnale importante ai settori produttivi”. E ancora: “se l’Europa pensa di sopravvivere a questa fase continuando a far finta di niente o a pretendere di iper regolamentare tutto, semplicemente non sopravviverà e abbiamo un problema più grande dei dazi americani”. Il premier, poi, si è focalizzata “su come rafforzare complessivamente il nostro sistema produttivo” e, a tal proposito, ha rivendicato come punto di forza “l’ennesima certificazione di credibilità economica internazionale dell’Italia, riconosciuta di recente dall’agenzia di rating Fitch, che vede la nostra Nazione guidare l’Europa nel raggiungimento delle tappe e degli obiettivi del Pnrr, oltre a essere tra i pochi Stati dell’eurozona ad aver riportato il debito ai livelli pre-pandemia, con il Bilancio 2025 che conferma l’impegno del Governo verso le norme fiscali dell’Unione”. Tra gli altri impegni del governo vi è quello “di rafforzare gli strumenti di sostegno all’export delle nostre imprese, potenziando gli strumenti già esistenti, a partire dal sistema fondato sull’Agenzia Ice, Simest e Sace, per aiutarle a rimanere forti sui mercati internazionali”. In questa direzione va anche il recente Piano d’azione per l’export italiano nei mercati extra Ue ad alto potenziale, predisposto dal ministro degli Esteri Tajani e l’individuazione di nuovi “strumenti di promozione del Made in Italy, a livello internazionale, per raggiungere nuovi mercati e rafforzare la nostra presenza, ma anche a livello interno, sul territorio nazionale, per rafforzare la domanda”.

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Il presidente di Confapi Cristian Camisa è convinto che sia “fondamentale lavorare su più tavoli”, sia quello europeo sia quello bilaterale con gli Usa, e si è detto d’accordo “sulla necessità di trovare nuovi mercati, anche se questo, specialmente per le nostre industrie, è un obiettivo di medio lungo termine”. Tra le proposte portate al tavolo di oggi da Confapi non vi è solo la sospensione del Patto di stabilità come già avvenuto durante la pandemia, ma soprattutto “la necessità di evitare dazi autoimposti, cioè tutti quegli adempimenti che l’Europa richiede (Green deal, Cbam, Esg) e che comportano costi importanti che oggi le nostre imprese non si possono permettere”. E ancora: “Sarebbe utile anche un credito di imposta del 20 per cento che vada a compensare i dazi per le aziende esportatrici nonché, a livello strategico e a medio termine, la creazione di un Hub logistico negli Usa specifico per le Pmi, dal momento che la distribuzione americana ha costi elevati e quindi la sostituzione degli attuali distributori potrebbe portare significative marginalità per le imprese”. Luigi Manganiello, presidente di Cofimpresa Italia, al termine del’incontro, è parso molto soddisfatto: “Il presidente del Consiglio ci ha dato grande serenità per affrontare questo periodo particolare. Vediamo quali saranno le contromisure da mettere in campo. Si è parlato di rivedere le risorse del Pnrr, agevoli fiscali, credito d’imposta. Si è parlato di rivedere il green deal. Dobbiamo guardare anche a nuovi mercati per le nostre imprese”. Simone Gamberini, presidente di Legacoop, ha commentato: “Ci hanno preannunciato la scelta di far prevalere la politica negoziale in questa prima fase. Ci vogliono interventi per le imprese che stanno cominciando a soffrire. Ci hanno annunciato una revisione delle risorse del Pnrr e dei Fondi europei di coesione che guardano però al futuro. Noi siamo preoccupati per oggi e la dimensione più vicina con i tempi. Abbiamo bisogno di misure che garantiscano liquidità nei prossimi mesi, con fondi di garanzia dedicate”. Sandro Gambuzza, viicepresidente di Confagricoltura, durante l’incontro odierno, ha fatto notare che il settore dell’agroalimentare “ha raggiunto nel 2024 un valore record di quasi 70 miliardi di euro di export, di cui circa 8 miliardi (oltre l’11%) destinati al mercato statunitense” e ha osservato: “Il nostro export agroalimentare è uno dei capisaldi dell’economia italiana. È essenziale evitare che decisioni unilaterali mettano a rischio la competitività delle imprese e il lavoro di intere filiere. Chiediamo che l’Italia, in sede europea, si faccia promotrice di un’azione forte e coesa, nell’interesse del nostro sistema produttivo e della sua proiezione internazionale”. Il danno dei dazi è stimabile, secondo Gambuzza, intorno ai 3 miliardi di euro e vi sono tre fattori che potrebbero peggiorare il quadro “l’applicazione differenziata delle aliquote daziarie tra i Paesi, ad esempio il 10% per i vini australiani rispetto al 20% applicato ai vini italiani, l’aumento dell’italian sounding, che colpisce direttamente l’identità delle nostre produzioni, e il possibile effetto boomerang sul mercato interno con l’ingresso di prodotti extra-Ue a dazi ridotti o nulli”. Da Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, è arrivata una richiesta chiara: “Sarebbe un segnale importante – ha detto – se anche le risorse a sostegno dei settori produttivi arrivassero dall’Unione Europea, evitando così di gravare economicamente sui singoli Stati membri. Ritengo che si tratterebbe di un segnale forte e atteso dai nostri comparti, che auspicano un’azione decisa dell’Europa sia sul piano diplomatico che economico”.

Prandini ritiene “fondamentale che l’Unione non si limiti a rispondere o ad assecondare le pressioni, perché questo rischierebbe di penalizzare ulteriormente i cittadini e i consumatori statunitensi, già colpiti, e di danneggiare anche i nostri produttori”.



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