Il Mezzogiorno ha una bilancia commerciale manifatturiera positiva, cioè l’export supera l’import, e il rapporto export/import è superiore alla media nazionale. Inoltre, la base produttiva del Sud si consolida perché, per ogni 100 euro di Valore aggiunto generato, 54 rimangono nel Mezzogiorno e 46 vanno nel Centro-Nord, mentre dieci anni fa oltre la metà del VA andava nel Nord Italia. In una parola, il Sud è diventato economicamente più «solido» nell’ultimo decennio a proposito dell’industria manifatturiera, punto di riferimento dell’ultima ricerca di Srm, la Società di sudi collegata al Gruppo Intesa Sanpaolo, presentata ieri da Massimo Deandreis e Salvio Capasso all’annuale convegno napoletano della Fondazione Merita, di cui è fondatore e presidente onorario l’ex ministro Claudio de Vincenti. Gli investimenti delle imprese del Mezzogiorno (settori agroalimentare, aerospazio, automotive, abbigliamento-moda e farmaceutica) sono inoltre cresciuti di circa il 40% negli ultimi cinque anni mentre il dato nazionale è pari al 30%. Inoltre, le imprese del Sud con fatturato oltre i 10 milioni hanno avuto una migliore redditività rispetto alle stesse aziende su base nazionale (Roe Sud 13,1%, Roe Italia 10,1%).
Impegnata da anni a dimostrare perché il peso del Mezzogiorno nell’economia nazionale è cresciuto e va riconosciuto, Srm dimostra anche stavolta, dati alla mano, che il Sud ha ormai raggiunto la piena convergenza con la struttura produttiva nazionale. E che qui «investire conviene. Per 100 euro di spesa finale in una regione meridionale il VA generato nel Paese è di 102,19 euro, il 13% in più della media nazionale (90,53). Rilevante è l’impatto occupazionale. Un milione di spesa finale nel Sud attiva in Italia 16 occupati (di cui 11 nel Sud stesso), un valore maggiore rispetto a quanto avviene nella media nazionale (12,1 occupati)». E non meno rilevante è la crescita della dimensione innovativa: «Nel periodo 2019-2024 aumentano del +22,2% le imprese con digitalizzazione base (Italia +21,4%). E sale l’utilizzo dell’IA dal 4,6% al 6,2% in un anno (Italia 8,2%, Ue 13,5%)».
È un Sud più «coerente» con quanto è accaduto in Italia (e non solo), dove «l’arena competitiva è cambiata» e sono venute alla ribalta nuove parole chiave come «regionalizzazione, accorciamenti, digitalizzazione, multilocalità, ovvero i sinonimi di una globalizzazione più mutevole, fragile e frammentata. Se l’Italia, in altre parole, è la seconda manifattura d’Europa per valore della produzione (1.226 miliardi) e per valore aggiunto (289,4 miliardi) e rappresenta rispettivamente il 2,3% ed il 2,7% del valore mondiale», ha comunque una capacità di produrre valore aggiunto inferiore «perché usa molto di ciò che importa per attività intermedie». Il Mezzogiorno in termini strutturali è in linea con «le caratteristiche medie nazionali». Ovvero: un’area con una «buona dimensione socioeconomica, circa 92.357 imprese, un quarto del dato nazionale, che con 662 mila occupati genera un Valore Aggiunto di 39,4 miliardi, il 10% del totale economia».
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Dalla Survey Srm dedicata alle imprese manifatturiere si evince, inoltre, una sempre maggiore vivacità del tessuto imprenditoriale sulle scelte relative ad alcuni fattori di competitività. Ad esempio, il 70% delle imprese ha realizzato investimenti nel corso dell’ultimo triennio (72% in Italia). Per il 34% del totale si tratta di investimenti «innovativi» con una particolare attenzione alla sostenibilità. Dalla Survey si evince anche che il 43% delle imprese ha fornitori esteri (+10% dal 2021).
È anche un Mezzogiorno più «integrato», aggiunge Srm, nelle filiere lunghe nazionali.
Accanto a prodotti tradizionali (prodotti alimentari +145%) crescono le esportazioni a medio-alto contenuto tecnologico (articoli farmaceutici +251%, computer, elettronica +74%). Aumenta altresì il tasso di copertura dei mercati export d’Italia (dal 91% al 93%) e si riduce quello di import (da 80% a 78%). Nell’ultimo decennio si rafforza, inoltre, la presenza di imprenditori stranieri nelle filiere 4A+Pharma (automotive, abbigliamento, aerospazio, agroalimentare più il farmaceutico): +12,6%, quasi il triplo del dato nazionale (+4,9%). E poi c’è l’effetto Zes unica, con il suo potenziale attrattivo per nuove imprese che si sta sempre più consolidando. Dice Giuseppe Nargi, Direttore regionale Campania, Calabria e Sicilia di Intesa Sanpaolo: «E sulla Zes unica che punta il nuovo accordo quadriennale tra la banca e Confindustria, presentato di recente proprio a Napoli, per attrarre nuovi investimenti, favorire ulteriori insediamenti produttivi e stimolare la crescita in termini di connettività dell’intero Mezzogiorno».
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