Il Vecchio continente dovrebbe fare una politica di mercato interno mirata, simile a quella che in questi anni ha consentito agli States di crescere anche più della Cina
Siamo in un mondo dove l’incertezza prevale su tutto. Come ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, «anche per gli annunci contraddittori sulla politica commerciale degli Stati Uniti», la cautela è d’obbligo. E sarebbe comprensibile se questa prudenza spingesse la Bce a rallentare sul previsto taglio dei tassi. Anche perché il segnale preoccupante, per consumatori e imprese, è che a febbraio l’inflazione ha rialzato la testa. È rispuntato persino un termine che sembrava scomparso dal dibattito politico, la stagflazione. Vale a dire un incremento dei prezzi in presenza di un’economia stagnante. Del resto, quando il mondo invece di parlare di taglio delle tasse, si ritrova a dover fronteggiare un’ondata di dazi, di imposte che prima non c’erano, non si scappa: l’inflazione è il primo effetto. E giova ripetere che l’inflazione è la tassa più ingiusta perché agisce su tutti i salari, alti o bassi che siano, ma il peso è innegabilmente maggiore per chi guadagna meno. Soprattutto se, con indice cresciuto del 2% a marzo, alimentari, beni e servizi, sono aumentati rispettivamente del 2,6%-2,7%.
Meccanismi bloccati
Nuove tasse significa mettere sabbia nel meccanismo economico che deve fronteggiare già situazioni di tensione come l’invasione russa in Ucraina e la situazione in Medio Oriente. Non meraviglia che negli Stati Uniti la fiducia dei consumatori sia scesa ai minimi del 2023 e che l’inflazione sia vista superiore al 5% dal precedente 4% di fine 2024. Muoversi in uno scenario simile non è facile. Apprezzabili le iniziative del governo per trovare nuovi mercati di sbocco ai prodotti italiani. Ma è evidente che comunque vada, siamo in presenza di un cambiamento di modello di sviluppo delle economie, dove gli Stati Uniti avranno un ruolo ancora più delineato. L’Europa però potrebbe cogliere l’occasione per aggiungere a quello dell’export come motore di crescita anche un mercato interno meno frammentato. Iniziando ad attirare quei capitali in uscita dagli States. Ma, soprattutto, iniziando a investire per consumare di più in Europa. Quegli investimenti e consumi che hanno permesso in questi anni agli States di crescere quanto e più della Cina.
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