Diciamo la verità: nessuno ci sta capendo granché. Il governo, ultimo è stato il ministro delle Imprese Adolfo Urso, parla di un “primato europeo”: dei 194,4 miliardi stanziati dall’Europa per il PNRR, 122 sono già stati incassati, e addirittura il 92 per cento dei progetti sono stati attivati. Eppure, a leggere i numeri della spesa effettiva, contenuti nella sesta Relazione semestrale sullo stato di attuazione del Piano, la storia sembra completamente differente: soltanto 63 miliardi sono stati effettivamente spesi, mentre 130 giacciono intonsi in attesa di essere utilizzati in qualche modo. La Corte dei Conti sembra dare ragione ai critici: ben 19 misure sono a rischio, dagli ospedali antisismici agli asili nido, dai treni regionali alle colonnine elettriche. E intanto, la scadenza del 31 dicembre 2026 entro la quale i giochi del PNRR si chiuderanno definitivamente si avvicina.
La versione preoccupante è quella un po’ più vera
Chiariamo subito il “giallo”: sono vere tutte e due le versioni, ma la versione preoccupante è un “po’ più vera”. Altrimenti, non si capirebbe perché il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti abbia chiesto alla Commissione UE una proroga al 2027, peraltro già praticamente bocciata dal commissario al Bilancio, Piotr Serafin. È innegabile che i dati sullo stato di attivazione delle azioni e sull’assegnazione dei fondi siano discreti, ma è altrettanto vero che quelli sullo stato di attuazione di quelle azioni e sulla spesa dei fondi assegnati sono negativi. Per adesso, poi, è assolutamente troppo presto per misurare gli impatti prodotti dalle azioni che sono state finanziate e che sono poi state veramente attuate. Ovvero il risultato finale in termini di salto di sviluppo e di efficienza, cioè quello che dovrebbe essere il senso profondo dell’intera operazione del NextGenerationUe.
Ma torniamo ai numeri. L’Italia ha preso finora 122 dei 194,4 miliardi che la Ue ci ha destinato, ovvero il 63% del totale, ha detto il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti. Sono 337 i traguardi già dichiarati raggiunti sui 621 totali, e i progetti “attivati” interessano il 92% delle risorse disponibili, cioè 179,5 miliardi. L’ultima rata è stata incassata lo scorso 23 dicembre, pari a 8,7 miliardi, dopo che Bruxelles ha verificato il conseguimento degli obiettivi previsti per il primo semestre 2024. Il governo ha quindi chiesto il pagamento della settima, pari a 18,3 miliardi, connessa al raggiungimento di 67 obiettivi nel secondo semestre 2024 ed è in attesa del verdetto Ue.
Siamo costretti a spendere otto miliardi al mese. Ce la faremo?
A leggere bene le 553 pagine della Relazione semestrale (la sesta) sullo stato di attuazione del PNRR, però, si capisce che le cose non stanno andando proprio benissimo. Colpa di imprevisti, difficoltà tecniche, progettuali, attuative, sfortune varie, garbugli burocratici. A fine 2024, infatti, di tutti i progetti sono stati fatti pagamenti effettivi per soli 63,9 miliardi di euro, il 35,6% del totale. Quel che è peggio, entro la scadenza del 31 dicembre 2026 sulla carta dovremmo spendere la bellezza di 130,5 miliardi. Facendo la media, sarebbe a dire che dovremmo spendere 8 miliardi al mese. Piuttosto difficile, se non proprio impossibile.
Il quadro delle risorse spese guardando ai singoli ministeri la dice lunga. In testa alla classifica dei ritardi svetta il ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone, che ha speso solo il 9,2% dei fondi, 562 milioni su 6,1 miliardi. Male anche il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare di Francesco Lollobrigida, fermo al 15%. Daniela Santanchè, al Turismo, ha utilizzato appena il 12% dei 2,4 miliardi a disposizione, Sangiuliano/Giuli, alla Cultura, solo il 14,3%. Tra i “buoni”, invece, il ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini, 30% con una forte accelerazione nel 2024, Università e Istruzione (33%), Imprese e del Made in Italy (quasi 50%), Ambiente (47%). Per il ministero della Salute, di Orazio Schillaci siamo al 18%, ma ha speso 2,8 su 15,5 miliardi, e nell’ultimo anno ha accelerato notevolmente.
Ferrovie, navi, asili e pagamenti bloccati
Guardando ai singoli progetti di opere infrastrutturali, la trasformazione in alta velocità della Napoli-Bari è bloccata da frane e fughe di gas, la AV Palermo-Catania deve affrontare la mancanza d’acqua per le escavatrici, e il Terzo Valico dei Giovi arranca per problemi geomeccanici. La riduzione dei tempi dei processi civili (-40% entro il 2026) risulta quasi impossibile. Persino gli asili nido, fiore all’occhiello del PNRR, sono in ritardo: dei 3,6 miliardi stanziati, solo 767 milioni sono stati spesi, con un gap stimato di 30mila posti. Il caso simbolo? Il Commissario per le alluvioni in Emilia-Romagna e Marche: 1,2 miliardi assegnati, zero euro spesi.
Si potrebbe fare lo stesso discorso per gli studentati universitari, gli interventi nel settore idrico, nella mobilità verde, nella posa della fibra, le colonnine di ricarica elettrica e a idrogeno, le ferrovie regionali, la meccanizzazione agroalimentare, le navi green. La Corte dei Conti conferma tutto: le missioni hanno livelli di attuazione che oscillano tra il 14 e il 27%, e comunque non superano il 40%. In più, c’è un grosso problema contabile: la piattaforma ReGIS, che dovrebbe registrare tutti i pagamenti, fa acqua. Spesso succede che pagamenti teoricamente sbloccati non siano effettivamente erogati, e imprese ed enti pubblici aspettano a lungo per vedere materialmente i soldi, bloccando nell’attesa i lavori dei cantieri.
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