CONTRASTARE LA DISINFORMAZIONE – la narrativa dominante demonizza la transizione ecologica, soprattutto il Green Deal, accusata di aumentare i costi energetici e della mobilità, di far perdere posti di lavoro a seguito della delocalizzazione delle industrie, di ampliare le disuguaglianze. In realtà è l’opposto.
OCCUPAZIONE – la transizione energetica ha un saldo occupazionale positivo. Tutti gli studi attestano che l’occupazione che si crea nella transizione energetica è molta di più di quella che si perde nei settori fossili. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ne stima più del doppio al 2030, in uno scenario a emissioni nette zero nel 2050. Il Governo nel PNIEC, pur con scenari di transizione tutt’altro che ambiziosi, stima in circa 168 mila gli occupati temporanei aggiuntivi rispetto a quelli calcolati per lo scenario a politiche invariate nel periodo 2024-2030 e un saldo occupazionale positivo di 17.000 unità permanenti nel settore della produzione di energia elettrica al 2030. A questi vanno aggiunti i posti di lavoro necessari per la tutela degli ecosistemi e il ripristino della biodiversità, per le azioni di adattamento al cambiamento climatico, per garantire servizi pubblici di qualità per tutti, dalla mobilità, al diritto all’abitare, sanità, istruzione, ricerca, ecc. Dall’altra parte, vanno considerati i costi dell’inazione: i posti di lavoro che si perdono per la mancata azione di mitigazione e di adattamento (in Spagna, per l’alluvione della Dana di novembre scorso, sono state attivate forme di ammortizzatori sociali per 400.000 posti di lavoro), e gli impatti su salute e sicurezza dei lavoratori dovuti al riscaldamento climatico. Per essere sicuri, però, che i nuovi posti di lavoro siano creati nei tempi e nei luoghi in cui avvengono le chiusure e le riconversioni sono indispensabili politiche di giusta transizione.
Vogliamo una GIUSTA TRANSIZIONE ECOLOGICA – pianificazione obiettivi e tempi della transizione, politiche industriali e di ricerca e sviluppo per la riconversione ecologica del sistema produttivo, investimenti, creazione di nuova e buona occupazione, blocco dei licenziamenti, ammortizzatori sociali (SURE 2.0), contrasto alle delocalizzazioni, riqualificazione professionale, protezione sociale universale, condizionalità sociali per gli aiuti di Stato, riconversione industriale con incremento qualitativo e quantitativo dell’occupazione, garanzia di servizi pubblici di qualità per tutti, contrasto alla povertà energetica e accesso garantito alla mobilità sostenibile.
REFERENDUM SU LAVORO E CITTADINANZA – vogliamo un lavoro libero, ben retribuito e di qualità e una società inclusiva. Votando Sì ai 5 quesiti referendari possiamo decidere direttamente e migliorare le nostre condizioni di vita e di lavoro, abrogando le norme che hanno impoverito il lavoro e reso le lavoratrici e i lavoratori meno protetti e più ricattabili e quelle che negano il diritto di cittadinanza alle persone che vivono, lavorano, contribuiscono e crescono nel nostro Paese.
COSTI ENERGETICI – i costi energetici in Italia sono i più alti in Europa a causa della forte dipendenza energetica e della volatilità dei prezzi del gas, determinati da tensioni geopolitiche e speculazione finanziaria. Per avere autonomia, e quindi sicurezza energetica, e per ridurre i prezzi dobbiamo investire su un sistema 100% rinnovabili, a partire dal risparmio e dall’efficienza energetica, producendo da fonti rinnovabili in un’ottica di economia circolare, con l’implementazione delle relative infrastrutture (sistemi di accumulo, anche stagionali, interconnessioni elettriche e digitalizzazione delle reti, elettrificazione dei consumi) e la programmazione del phase out da tutte le fonti fossili, gas compreso. Nessun nuovo investimento pubblico, sia nazionale che estero deve essere indirizzato a sviluppare progetti per fonti fossili.
100% RINNOVABILI – Il Governo, per affrontare la crisi dei costi energetici e sostituire il gas importato dalla Russia, ha scelto la strada della diversificazione delle importazioni. L’Italia è il primo importatore di gas azero, fra i primi importatori di gas algerino e di Gas Naturale Liquefatto dagli Stati Uniti. Si tratta di un regalo alle aziende petrolifere che non risponde minimamente alle esigenze dei cittadini e delle imprese, perché non risolve il caro bollette e non garantisce la sicurezza energetica nazionale ma continua a causare emissioni, impedendo la transizione. Il GNL, in particolare, ha delle emissioni complessive simili al carbone. Rivendichiamo una reale transizione ecologica che miri a convertire il sistema energetico alle fonti rinnovabili da cui il nostro Paese può trarre grande potenziale/beneficio.
PROCESSO DI TRANSIZIONE PARTECIPATIVO – La transizione ecologica è un processo già avviato e inevitabile, che deve essere governato democraticamente e dal basso, anche per evitare speculazioni energetiche. Ci opponiamo ad una transizione ecologica decisa dalle regole di mercato e dai grandi colossi energetici che continuano ad aumentare, contro qualunque accordo sul clima, le estrazioni di idrocarburi, specialmente di gas, e speculano sul prezzo dell’energia facendo pagare il conto a cittadini e imprese, senza alcun reale beneficio occupazionale. Deve essere attivato un percorso democratico e partecipato per definire le politiche di giusta transizione tra Governo, parti sociali, comunità e società civile organizzata.
RUOLO DELLO STATO IN ECONOMIA – la transizione non deve essere lasciata al mercato ma deve essere guidata da un forte ruolo dello Stato in economia, anche con la creazione diretta di posti di lavoro nella tutela dei beni comuni, in ricerca e sviluppo e nelle infrastrutture di produzione e distribuzione delle energie rinnovabili, e con un processo di partecipazione democratica. Il ruolo dello Stato deve essere esercitato anche modificando i piani industriali delle grandi partecipate per accelerarne la decarbonizzazione nei tempi e nelle ambizioni dettati dalla scienza. Inoltre, con il Piano Mattei il Governo pianifica lo sfruttamento delle risorse energetiche, soprattutto fossili, senza prima consultare i paesi africani e senza coinvolgere le comunità. Il Piano parla di “sicurezza energetica” del Paese ma gli obiettivi reali sono i profitti delle multinazionali del fossile e la criminalizzazione delle migrazioni (1).https://www.recommon.org/il-piano-mattei-a-tutto-gas-piu-che-lafrica-aiuta-le-multinazionali-del-fossile/
NO ALLA NEUTRALITÀ TECNOLOGICA – gas, CCS, idrogeno non verde, biocombustibili nel settore automotive, nucleare, sono false soluzioni che allungano i tempi della transizione e in alcuni casi sono altamente pericolose, costose e non mature. Il ritorno al nucleare, inoltre, non rispetterebbe la volontà popolare espressa in due referendum.
NO ALLA GRADUALITÀ DELLA TRANSIZIONE – l’azione climatica deve essere accelerata per rispettare l’obiettivo di 1,5°C. È una questione prima di tutto di sopravvivenza, poi di convenienza e di opportunità di sviluppo.
NO ALL’AUMENTO DELLE SPESE MILITARI – la Commissione europea, con l’avallo dei governi, sta ridefinendo le priorità dei prossimi anni: dalla riconversione ecologica e digitale e dallo sviluppo sostenibile a un’economia di guerra. Con il RearmEU e il libro bianco sulla difesa “preparati per il 2030”, l’Europa si propone di spendere 800 miliardi di euro per le spese militari, tra debito comune e sospensione del patto di stabilità. Ci opponiamo a queste politiche: l’Europa deve promuovere la pace, il dialogo e il disarmo. Le spese che devono aumentare sono quelle per la giusta transizione, il welfare, la sanità, l’istruzione, la ricerca, ecc. No a una riconversione di guerra del sistema produttivo.
NO ALLO SMANTELLAMENTO DEL GREEN DEAL – l’Europa sta, inoltre, modificando le politiche industriali del prossimo futuro attraverso vari provvedimenti (Clean Industrial Deal, Piano di azione per l’energia a prezzi accessibili, Omnibus, ecc.) che rischiano di mettere in discussione le politiche ambientali, l’azione climatica, la tutela dei diritti del lavoro e lo stesso modello produttivo europeo. Siamo coscienti che il Green Deal sia uno strumento perfettibile e, a oggi, non ancora adeguato a realizzare una giusta transizione ecologica (enorme priorità ai meccanismi di mercato, inadeguati finanziamenti per evitare gli impatti sociali ed occupazionali, ecc.) ma è comunque un passo necessario nella direzione della decarbonizzazione e per questo non possiamo permettere che venga smantellato e colpevolizzato
GIUSTA TRANSIZIONE UN RADICALE CAMBIAMENTO DI SISTEMA – La Giusta Transizione rappresenta un radicale cambiamento di sistema che parte dall’esigenza di abbandonare le fonti fossili evitando impatti sociali e occupazionali negativi e delinea un nuovo sistema economico e sociale con al centro il benessere degli esseri viventi e della natura, la pace e il disarmo, la fine di ogni forma di sfruttamento, oppressione, discriminazione ed espropriazione, l’equità di genere, generazionale, razziale e territoriale, i diritti umani, la piena e buona occupazione, il superamento dei divari tra nord e sud globale, il rispetto dei limiti del pianeta, la partecipazione democratica, la tutela dei beni comuni.
GIUSTA TASSAZIONE – I costi della transizione ecologica, comunque irrisori rispetto ai costi dell’inazione, non possono essere scaricati su lavoratrici-lavoratori, studentesse-studenti, pensionate-pensionati. Per questo è necessaria una riforma fiscale ambientale, a partire dall’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi (stimati in 24,2 miliardi di euro nel 2022 dal sesto catalogo MASE 2024) e un utilizzo coerente dei proventi degli ETS (Un recente studio di ECCO mostra come dei 15,6 miliardi di euro di proventi del periodo 2012-2024 solo il 9% sia stato utilizzato per spese legate alla lotta ai cambiamenti climatici mettendo in luce lacune in termini di pianificazione e tracciabilità della spesa). Le risorse per una giusta transizione si possono recuperare anche attraverso la tassazione dei profitti, extraprofitti, grandi patrimoni e ricchezza, lotta all’evasione fiscale e contributiva e un sistema tributario progressivo ed equo.
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