Dopo l’allargamento degli spread creditizi registrato nel 2022 e la loro successiva riduzione, quest’anno potremmo assistere a una maggiore dispersione all’interno dell’obbligazionario investment grade. Dopo un 2023 e un 2024 sottotono, per l’anno in corso ci aspettiamo inoltre una ripresa delle operazioni di M&A, che potrebbe rappresentare un rischio per la stabilità dei fondamentali del credito. Inoltre, la possibile deregolamentazione implementata dagli Stati Uniti potrebbe mettere in discussione questo scenario di base. In generale, la capacità di questa asset class di assorbire shock esogeni o errori a livello di politiche appare messa a repentaglio dal rallentamento della crescita, dall’incertezza geopolitica, da politiche monetarie moderatamente restrittive e da valutazioni ancora elevate. Dall’altra parte, però, il solido contesto di domanda/offerta e i positivi fondamentali delle aziende ci permettono di guardare positivamente al credito.
Il nuovo tasso di interesse terminale fissato dalle banche centrali determina oggi un contesto diverso per le aziende e gli investitori. Anche se l’allentamento monetario dovrebbe creare uno scenario favorevole per le obbligazioni Investment grade, riteniamo che la dispersione del credito sarà un tema dominante nel 2025, rendendo la selezione degli investimenti ancora più rilevante. Alla luce di tutto questo, oltre ad assumere un approccio più difensivo, riteniamo fondamentale migliorare la qualità del credito a livello settoriale e spostarsi verso strumenti di debito meno rischiosi.
Politica monetaria
L’aumento dei tassi avviato nel 2022 ha ridotto l’offerta di moneta e reso più costoso il credito per famiglie e imprese. Anche il quantitative tightening, con cui le banche centrali hanno ridotto i propri bilanci, ha drenato liquidità dal sistema finanziario. L’aumento dei tassi ha spinto i rendimenti reali (al netto dell’inflazione) al di sopra delle medie di lungo periodo. A partire dalla seconda metà del 2024, il rallentamento dell’inflazione ha permesso di avviare un ciclo di riduzione dei tassi; tuttavia, sulla tempistica e l’entità dei futuri tagli pesa l’incertezza politica. Inoltre, nonostante l’allentamento monetario in corso, i tassi reali rimangono su livelli pari o superiori alle medie di lungo periodo (2% negli Usa e 0,25% in Europa) e in territorio restrittivo (ovvero sopra il tasso neutrale). Per evitare un ulteriore rallentamento dell’economia, se il trend disinflazionistico in atto dovesse proseguire le banche centrali saranno costrette a tagliare ancora i tassi. Secondo il nostro scenario di base, negli Stati Uniti, a causa dell’ulteriore indebolimento del mercato del lavoro e dei consumi, l’inflazione dovrebbe continuare la sua discesa verso l’obiettivo del 2% perseguito dalla Fed, consentendo alla banca centrale di portare i tassi al di sotto del livello neutrale, che stimiamo intorno al 3%, entro la fine del 2025.
A nostro avviso, sono due i rischi principali che possono mettere in discussione questo scenario. Innanzitutto, un’inflazione vischiosa o in ripresa metterebbe fine al ciclo di allentamento monetario, costringendo la Fed a stabilizzare i tassi in una forchetta compresa tra il 3 e il 4%. In secondo luogo, uno shock di domanda, soprattutto se unito alla debolezza del mercato del lavoro, avrebbe l’effetto opposto, spingendo la banca centrale Usa a tagliare in modo più aggressivo i tassi, portandoli al di sotto del livello neutrale.
Crescita economica
Negli ultimi 18 mesi le banche centrali sono riuscite a conseguire il loro obiettivo di ridurre l’inflazione senza innescare una recessione. La crescita ne ha ovviamente risentito, ma l’atterraggio è stato morbido (soft landing). Ora si tratta di capire se il rallentamento economico potrà proseguire evitando una recessione. Oltre alle condizioni del mercato del lavoro, tra i principali fattori di rischio osserviamo le tensioni geopolitiche e il protezionismo, che possono incidere sulle prospettive di crescita globali e risvegliare pressioni inflazionistiche. Le previsioni attuali indicano una debolezza dell’economia in Europa e nel Regno Unito, con un’espansione stimata intorno allo 0,85%, mentre sono più positive per gli Stati Uniti dove, dopo un 2024 più vigoroso delle attese, il PIL è previsto in aumento del 2,5%. Da quando Francoforte ha iniziato ad alzare i tassi due anni e mezzo fa, l’impatto è stato avvertito anche dalle imprese di maggiori dimensioni, che si finanziano sul mercato dei capitali: in Europa, infatti, il segmento del credito IG ha scadenze quinquennali. Al contrario, negli Stati Uniti la restrizione monetaria è stata meno pesante. Le banche coprono il fabbisogno di solo un quarto dell’economia, mentre il resto si finanzia sul mercato dei capitali, dove le scadenze sono mediamente molto più lunghe. Inoltre, i mutui erogati alle famiglie sono in gran parte a tasso fisso e di durata trentennale: mentre il Fed Funds rate è salito di oltre 500 punti base dall’inizio della stretta monetaria, il tasso d’interesse effettivo medio sui mutui è aumentato solo di circa 70 punti base. Sul fronte della politica fiscale, ci aspettiamo che il rapporto deficit-Pil si attesti al 7% negli Usa contro il 3% in Europa.
Alla luce di tutto ciò, riteniamo dunque più probabile un proseguimento dell’allentamento monetario in Europa rispetto agli Stati Uniti. Un contesto caratterizzato da bassa crescita e da una riduzione dei tassi è positivo per gli spread creditizi. Tuttavia, la politica monetaria della Fed avrà ripercussioni sulle economie sviluppate: se i tassi statunitensi dovessero rimanere su livelli elevati, gli altri Paesi avrebbero meno spazio di manovra per ridurre il costo del denaro. A nostro avviso, questo elemento da solo non rappresenta però un fattore chiave ai fini del premio al rischio richiesto nel settore del credito IG globale. Al tempo stesso, in un simile scenario gli emittenti più fragili, con scarso potere di mercato o maggiormente indebitati, potrebbero essere meno in grado di far fronte a un aumento dei costi di finanziamento che dovesse protrarsi più a lungo. Questo farebbe crescere la dispersione all’interno dell’asset class.
Fondamentali
Anche a fronte di uno scenario macro che presenta ad oggi diverse incognite, continuiamo a ritenere che le società presentino fondamentali solidi, con livelli di leva finanziaria vicini ai minimi decennali. Anche su questo fronte, però, ci sono notevoli differenze tra Stati Uniti ed Europa e tra un settore e l’altro. Per quanto riguarda gli Usa, abbiamo rivisto leggermente al rialzo le stime su Ebitda e ricavi, attesi in crescita del 2,9%. Di conseguenza la leva finanziaria netta dovrebbe ridursi da 2,2x del 2024 a 2x entro la fine dell’anno (il livello più basso da oltre dieci anni).
In Europa, invece, abbiamo lasciato sostanzialmente immutate le nostre previsioni sui fatturati. Stimiamo un’accelerazione dei ricavi dal +1,2% del 2024 al +2,6% di quest’anno, con la leva finanziaria che dovrebbe rimanere intorno a 2x, un livello ancora contenuto rispetto ai valori degli ultimi dieci anni. Sul fronte della redditività, invece, ci aspettiamo che la debolezza dell’automotive venga compensata da revisioni al rialzo nel settore industriale e, in misura minore, in quello minerario. Il rapporto di copertura degli interessi, che misura la capacità di un’impresa di sostenere il servizio del debito, dovrebbe rimanere costante a 11x in Europa, in calo dal 15x del 2021-2022. Al contrario, ci aspettiamo un suo incremento negli Stati Uniti dal 12x del 2024 a poco meno di 13x. Insieme al basso livello di leva finanziaria, questo indicatore favorisce gli spread creditizi.
Fig.1 Leva finanziaria degli investimenti: Europa vs USA
Fonte: Columbia Threadneedle Investments, gennaio 2025
Valutazioni
Ci sono diversi metodi per calcolare il valore relativo degli spread creditizi. Quando si esaminano le valutazioni dei titoli Investment grade, alcuni investitori si concentrano sugli spread rispetto ai titoli di Stato, mentre altri sul differenziale nei confronti degli swap. In generale, pur in presenza di oscillazioni cicliche, lo swap spread è relativamente stabile nel tempo. Pertanto, l’uso di un parametro piuttosto che l’altro conduce a valutazioni simili. Negli ultimi tre anni però non è stato così. Le variazioni del rischio sistemico in Europa, unite a un potenziale cambiamento strutturale delle dinamiche di domanda e offerta di titoli di Stato, ha provocato significativi movimenti relativi tra gli swap e i rendimenti dei bond governativi. Tuttavia, se l’indicatore più “puro” è rappresentato dal differenziale di rendimento tra le obbligazioni societarie e i tassi swap, va sottolineato che la scelta di un parametro piuttosto che un altro dipende in ultima analisi dal modo in cui l’investitore finanzia le proprie posizioni e gestisce il rischio di duration. Dal momento che nella maggior parte dei nostri fondi controlliamo la durata finanziaria attraverso i titoli di Stato, è rispetto a questa asset class che preferiamo concentrarci nella valutazione degli spread creditizi. Infatti, se il differenziale nei confronti dei bond governativi è esiguo non ha senso assumere un rischio aggiuntivo. Inoltre, a livello di asset class, gli spread costituiscono solo una parte del rendimento complessivo dei titoli Investment grade. Il rendimento del segmento IG globale si attesta oggi intorno al 4,5%, risultando molto più attraente rispetto a quattro anni fa, quando era pari all’1,3%. Grazie a questi ritorni, dopo un decennio di rendimenti contenuti, l’asset class potrà trovare di nuovo posto come elemento di diversificazione all’interno di portafogli multi-asset.
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