Dal 31 marzo, tutte le imprese italiane con una sede operativa dovranno sottoscrivere una polizza assicurativa contro le catastrofi naturali. L’obiettivo è quello di ridurre il peso economico degli eventi estremi sul bilancio pubblico e garantire un sistema di protezione più efficace per le aziende. Tuttavia, la norma solleva una serie di dubbi e criticità che potrebbero comprometterne l’efficacia.
L’Italia è tra i paesi europei più esposti ai rischi di terremoti, alluvioni e frane, ma fino ad ora le imprese non erano obbligate a proteggersi con un’assicurazione specifica. In caso di calamità, le aziende colpite dovevano fare affidamento sugli aiuti statali, con tutti i problemi di lentezza e incertezza che ne conseguono.
L’obbligo assicurativo punta a colmare questa lacuna, introducendo una logica di prevenzione che, sulla carta, dovrebbe garantire una risposta più tempestiva ed efficace. Tuttavia, l’introduzione della norma è avvenuta in modo frettoloso e senza una pianificazione adeguata. Le imprese hanno avuto pochissimo tempo per adeguarsi, e le compagnie assicurative hanno dovuto costruire in tempi record prodotti finanziari complessi. Il rischio è che le polizze non siano calibrate correttamente e che i costi ricadano in modo sproporzionato sulle aziende.
Uno dei problemi principali è il costo delle polizze. In Italia, la scarsa diffusione di assicurazioni contro le catastrofi ha reso i premi più alti rispetto ad altri paesi europei. In teoria, con l’aumento del numero di assicurati, i costi dovrebbero ridursi, ma nel breve termine le imprese dovranno affrontare spese aggiuntive in un contesto economico già difficile. A differenza di quanto avviene in altri paesi dell’UE, il governo non ha previsto incentivi per agevolare le imprese nell’adeguarsi alla norma. Un sostegno economico sotto forma di detrazioni fiscali o contributi potrebbe rendere l’obbligo meno gravoso, soprattutto per le piccole imprese che rischiano di essere maggiormente penalizzate.
Un altro elemento critico riguarda l’assenza di sanzioni per chi non si adegua. Senza un meccanismo punitivo chiaro, molte aziende potrebbero decidere di ignorare l’obbligo, compromettendo l’intero impianto normativo. Le uniche conseguenze concrete per chi non si assicura riguardano la possibile esclusione da bandi pubblici e la difficoltà nell’ottenere finanziamenti bancari. Ma sarà sufficiente per garantire un’adesione diffusa? Il rischio è che si crei una disparità tra aziende che rispettano la norma e altre che scelgono di non farlo, confidando magari in un futuro intervento statale in caso di calamità. Senza controlli efficaci, l’obiettivo della riforma rischia di restare solo sulla carta.
Nonostante le criticità, il principio alla base di questa misura è condivisibile: spostare il peso economico delle catastrofi dallo Stato ai privati potrebbe rendere il sistema di gestione delle emergenze più sostenibile ed efficiente. Tuttavia, l’attuale applicazione della norma appare lacunosa e rischia di trasformarsi in un’ulteriore complicazione burocratica per le imprese.
Per rendere realmente efficace questo obbligo servirebbero correttivi importanti: incentivi economici per ridurre l’impatto dei costi sulle aziende, una maggiore chiarezza sulle modalità di applicazione e un sistema sanzionatorio che renda l’adesione effettivamente obbligatoria. Senza queste modifiche, l’assicurazione contro le catastrofi rischia di rimanere un’idea buona, ma mal realizzata.
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