Progetti milionari con capitali minimi, cresce la polemica
Wwf e pale eoliche – I progetti di impianti eolici in Italia continuano a suscitare interrogativi, soprattutto in relazione alla loro sostenibilità economica e ambientale. A destare perplessità è la struttura societaria di molte imprese proponenti: spesso si tratta di piccole Srl con capitali irrisori, ma capaci di presentare investimenti per centinaia di milioni di euro.
Un esempio emblematico, scrive Sauro Presenzini WWF, arriva dalla Riviera Adriatica, dove una società con appena 10.000 euro di capitale ha proposto un parco eolico offshore da 51 turbine, alte oltre 200 metri, per un investimento dichiarato di circa un miliardo di euro.
I dubbi del WWF
Il WWF Umbria ha sollevato critiche sui progetti eolici, sottolineando:
Impatto paesaggistico: le pale potrebbero compromettere l’identità territoriale.
Affidabilità finanziaria: molte società non mostrano ricavi significativi nei bilanci.
Assenza di trasparenza: spesso i veri finanziatori restano sconosciuti.
Nonostante queste perplessità, alcune di queste iniziative hanno ottenuto un’accelerazione nelle procedure autorizzative da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), senza che vi siano verifiche approfondite sulla loro solidità economica.
Wwf e pale eoliche
La ventosità degli Appennini
Uno degli aspetti più controversi riguarda l’effettiva resa energetica di questi impianti. Secondo i dati dell’European Wind Atlas, gli Appennini si trovano nella fascia di ventosità più bassa su una scala da 1 a 5.
In passato, alcune zone dell’Appennino neanche figuravano tra quelle idonee per impianti eolici. La prova concreta arriva da pale già installate in località come Annifo, Arvello e Gualdo, dove le turbine risultano spesso inattive per mancanza di vento.
Speculazione o transizione energetica?
Dietro questi progetti emerge una strategia consolidata:
Creazione di società satellite con capitali minimi per aggirare controlli stringenti.
Suddivisione del progetto in più imprese per evitare blocchi normativi.
Sfruttamento di incentivi pubblici, puntando su finanziamenti statali e comunitari.
La domanda che sorge spontanea è: si tratta davvero di una rivoluzione green o di un business speculativo che sfrutta le agevolazioni senza garantire un reale beneficio ambientale?
La necessità di una regolamentazione
Senza una strategia nazionale chiara, le decisioni restano in mano ai privati, con il rischio di speculazioni a scapito del paesaggio e delle comunità locali. Il governo e le amministrazioni regionali dovrebbero stabilire criteri più rigidi per la selezione dei siti idonei, evitando di lasciare spazio a progetti privi di fondamenti economici e ambientali solidi.
Nel frattempo, la battaglia per la trasparenza continua, con associazioni ambientaliste e cittadini pronti a chiedere maggiore chiarezza sulle reali finalità di questi investimenti.
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