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Polizze anti-catastrofe . Obbligatorie per le aziende. Costi e insidie possibili


Il territorio è fragile dal punto di vista geologico e idrogeologico. Terremoti, alluvioni, frane e inondazioni rappresentano un rischio concreto per il tessuto economico, spesso con conseguenze devastanti per le imprese. La proposta di rendere obbligatoria una polizza assicurativa per proteggere i beni aziendali dalle calamità natali si inserisce in questo contesto, con l’intento di garantire maggiore resilienza al sistema produttivo. Tuttavia, l’adozione di un simile provvedimento solleva interrogativi di non poco conto, soprattutto in relazione alla sostenibilità economica per le aziende, in particolare le piccole e medie imprese. Un dato: ad oggi, meno del 5% delle micro e del 19% delle piccole imprese, ossia la stragrande maggioranza del tessuto pratese, dispone di un’assicurazione contro le catastrofi naturali.

Il decreto che dà attuazione alla norma dalla legge di Bilancio 2024, che ha introdotto questo obbligo, pubblicato in Gazzetta ufficiale è già entrato in vigore. Il 31 marzo è il termine entro il quale stipulare le polizze: andranno assicurati terreni, fabbricati, impianti e macchinari, attrezzature industriali e commerciali. E qui si insinua la prima questione: ossia il valore di ciò che dovrà essere coperto da polizza. “Non è corretto prendere il valore inserito a bilancio perché non è quello reale del bene, bisogna quindi fare bene attenzione a quantificare in maniera corretta il valore dei cespiti ai fini assicurativi”, spiega Enrico Claudio Cini di Broker Net Italia.

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“Ci sono diversi interrogativi ad esempio non sono assicurabili i beni che hanno difformità urbanistiche, ma non si sa specifica quali difformità, quindi a parte abusi palesi, anche questo punto crea una voragine normativa. C’è poi un tema relativo alle spese di demolizione e sgombero, molto importanti in caso di sinistro e sulle quali il decreto non pone attenzione, così come non vengono citati i i danni indiretti o i danni consequenziali – aggiunge -. Faccio un altro esempio: nel caso in cui un fosso tombato crei allagamenti, e Prato è una città di gore e fossi tombati, non è considerata alluvione. Ci sono quindi una serie di insidie che si possono superare soltanto affidandosi ad esperti del settore, a tecnici e periti ad esempio per la stima degli immobili e dei macchinari: è un percorso che consiglio di non compiere da soli”. Cosa c’è in ballo? La normativa prevede che dell’obbligo si tenga conto nell’assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni di carattere statale, anche con riferimento a quelle previste in occasione di eventi calamitosi e catastrofali così come per l’accesso agli ammortizzatori sociali. Questo significa che le aziende che non stipuleranno l’assicurazione contro le calamità naturali, entro i termini previsti dalla legge, potranno subire effetti pregiudizievoli nell’assegnazione di agevolazioni o contributi pubblici.

La questione chiave, dunque, non è se sia giusto o meno incentivare la copertura assicurativa, ma quale sia il modo migliore per farlo. “Un elemento importante riguarda la prevenzione, ossia l’attenzione al rischio che è l’unica strada che può contenere i costi – aggiunge Cini -. Il decreto stesso spiega che se è stata fatta prevenzione ad esempio mettendo paratie per limitare l’ingresso acqua negli immobili, si possono ottenere miglioramenti dal punto di vista delle condizioni di spesa”.

Di fronte alla crescente frequenza e gravità delle calamità naturali, è evidente che una risposta strutturata sia necessaria. Ma per essere davvero efficace, tale risposta non può limitarsi a un obbligo imposto per legge: deve inserirsi in una strategia più ampia, capace di coniugare prevenzione, sicurezza e sostenibilità economica. Il dibattito resta aperto, ma una cosa è certa: ignorare il problema non è più un’opzione.

Silvia Bini

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