Salvini “apre” il congresso. Giorgetti: «Armi, no al debito». Poi la critica alle banche: «Devono finanziare le imprese»


ROMA Costruire la base del congresso della Lega sul no al piano europeo e sulla pace in Ucraina, sponsorizzando l’operato del presidente americano Donald Trump. Con questa premessa ieri Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti hanno aperto la campagna in vista della kermesse nazionale che si terrà il 5 e il 6 aprile. La sintonia tra i due esponenti di governo è andata in scena ad Ancona, in occasione dell’evento “Tutto un altro mondo – tutta un’altra economia”. Il titolare di via XX Settembre ha appoggiato in pieno le tesi del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture. «Che improvvisamente si scopra che si devono spendere valangate di miliardi facendo debiti per la difesa è singolare, visto che la guerra in Ucraina c’è da tre anni», la sua premessa. Poi la stoccata alle banche («Fanno grandissimi profitti, però forse si dimenticano di fare quello per cui sono nate e cioè fare credito alle imprese e soprattutto alle piccole e medie imprese») e soprattutto a Berlino, proprio nel giorno in cui per le critiche a Emmanuel Macron rivolte da Salvini nei giorni scorsi Parigi ha sentito l’ambasciatore italiano. «In Europa – si è lamentato Giorgetti – non è possibile che ci siano delle regole scritte in inglese ma pensate in tedesco. I tedeschi hanno deciso che loro fanno quello che gli pare. La Germania decide che deve riarmarsi. La von der Leyen rilancia 800 miliardi di debito per il riarmamento».

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LA LINEA

Insomma, sarà pur vero che il litigio tra il responsabile dell’Economia e la premier Giorgia Meloni giovedì a margine del Cdm non c’è mai stato («Sono tutte balle», ha detto il ministro), ma la versione leghista che si appaleserà tra quindici giorni al congresso sarà tutta pacifista. Ci saranno certamente le battaglie care al partito di via Bellerio. Sull’autonomia: Roberto Calderoli nella riunione di governo si è lamentato che nessun dicastero, tranne il Mit, gli ha presentato i dati richiesti. Sul federalismo fiscale, una delle riforme previste nel Pnrr che dovrebbe essere realizzata entro il primo semestre del 2026, ma anche qui manca l’appoggio delle amministrazioni centrali, per di più il governo – temono i leghisti – vuole rinegoziare i tempi di attuazione con Bruxelles. Ci sarà il “nodo Veneto”, il vicesegretario della Lega (fedelissimo di Salvini), Alberto Stefani, ha già presentato una mozione identitaria per mantenere alta l’attenzione sul futuro del partito nella regione, messo a rischio qualora Luca Zaia dovesse finire ai margini. E ci sarà il confronto tra le due anime del partito: quella del nord, rappresentata dai “big” come i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, e quella del sud (che secondo il nuovo statuto avrà più spazio rispetto al passato). Ci sarà il “fattore” Vannacci, una sorta di mina vagante. Ma a caratterizzare la kermesse di Firenze sarà come sempre il vento anti-Bruxelles. «Bisogna lavorare per evitare danni all’economia italiana, parlando direttamente con Trump e con gli Stati Uniti, non tramite Macron o la von der Leyen», l’affondo lanciato da Salvini, «ricordo che ad oggi Trump i dazi li minaccia. L’unico mega dazio che ha messo in ginocchio interi settori produttivi in Italia e in Europa li ha messi Bruxelles».

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Bypassare l’apparato burocratico delle istituzioni europee, «fare da soli», il “mantra” del leader della Lega che ha bluffato dicendosi, qualora qualcuno voglia concorrere al suo posto, disponibile a mettersi da parte: «Se c’è chi vuole fare il segretario della Lega sarò il primo firmatario della mozione a suo sostegno», ha detto. Ma al congresso sarà confermato “Capitano”. Con l’obiettivo di prolungare il governo («Giorgia Meloni sta facendo benissimo») fino al 2032: «Siamo il collante del centrodestra e ci possiamo permettere di dire o di fare cose che altri non sempre possono permettersi di dire o di fare. Semmai possiamo stimolare, a volte abbiamo avuto il coraggio di dire troppo presto quello che poi è arrivato». L’ardire di criticare l’operazione che sta portando avanti il primo ministro britannico Starmer («volenteroso è chi lavora per pace e disarmo»), di affermare che occorrerà tornare a parlare con la Russia, di lanciarsi contro la società che possiede il Milan («Sono filoamericano tranne che per una proprietà che ci sta togliendo l’anima»), di sbandierare i dati dei tre mesi di applicazione del nuovo Codice della strada: «Sapere che ci sono 61 famiglie che hanno visto tornare i loro ragazzi in più rispetto al cimitero dell’anno scorso, significa che il mio contributo alla natalità, da ministro, me lo sto portando a casa».

Emilio Pucci

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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