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Monito del Carroccio alle grandi banche: “Si dimenticano di fare credito alle pmi”




Da oggi le cronache sul risiko bancario in corso nel nostro Paese dovranno fare i conti anche con la bordata che ieri il ministro Giancarlo Giorgetti ha sparato dal palco di Ancona. «Se devo prendere qualche decisione – ha esordito il ministro – devo fare in modo che continui a sopravvivere quella che qualcuno ha chiamato la biodiversità bancaria, dove ci sono grandi banche e piccole, banche attente al territorio, banche attente ai grandi gruppi, banche anche attente a ridurre gli interessi sui prestiti». E ha aggiunto: «Uno che fa politica nella Lega non può considerare che il sistema bancario deve essere fatto soltanto da grandi banche. Queste grandi banche fanno grandissimi profitti, non dico extraprofitti sennò i giornalisti ci ricamano sopra, però forse dimenticano di fare quello per cui sono nate, fare credito alle imprese e, soprattutto, a quelle piccole e medie».

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Giorgetti ieri parlava da ministro, ma anche – o forse, soprattutto considerata la platea – da esponente del partito guidato da Matteo Salvini che sta preparando il congresso nazionale del Carroccio. E la posizione della Lega sulle recenti mosse del risiko bancario è nota: quando Unicredit ha lanciato l’Ops sul Banco Bpm, mandando all’aria il piano del terzo polo da costruire con le nozze tra lo stesso Banco e Mps, Salvini è andato all’attacco dell’offerta presentata da una banca, quella guidata da Andrea Orcel, che «ha poco di italiano». Lo scorso 7 febbraio lo stesso Salvini aveva commentato il risiko chiedendo di rispettare e potenziare i territori e assicurando che su questi temi la sintonia con Giorgetti era assoluta. «Questo vale per Mps, vale per la Popolare di Sondrio, vale per Bper, vale per la Popolare di Milano (che però oggi si chiama Banco Bpm, ndr)», aveva precisato. E ieri il ministro Giorgetti, con tutta la prudenza di cui è capace, ha ribadito lo stesso concetto rilanciando la «biodiversità bancaria». Ora, il dibattito sulla necessità di dare vita a un sistema su scala europea, senza far rimpiangere le banche dei territori ma tutelando il risparmio degli italiani dalle ambizioni dei gruppi esteri, è di estrema attualità. Soprattutto perché non sempre le fusioni bancaria hanno mantenute per intero le buone tradizioni. E tuttavia vale ricordare che in Italia c’è una banca, la più grande, che è storicamente definita «di sistema»: il suo nome è Intesa Sanpaolo. Nel 2024 il gruppo guidato da Carlo Messina ha garantito circa 70 miliardi di euro di nuovo credito a medio-lungo termine, con circa 43 miliardi destinati all’Italia, di cui circa 38 miliardi erogati a famiglie e piccole e medie imprese, con circa 3.100 aziende italiane riportate in bonis da posizioni di credito deteriorato nel 2024 e circa 144mila dal 2014, preservando rispettivamente circa 15.500 e 720mila posti di lavoro.

Un acceleratore della crescita dell’economia reale che vale come una manovra finanziaria.

Dunque, giusto preservare il carattere territoriale dell’attività soprattutto delle banche popolari, ma non è detto che banca grande debba per forza significare «distante da famiglie e imprese».

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