Tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni se manca il risultato

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“È configurabile il reato di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni allorché la violenza o la minaccia non sia seguita dalla realizzazione del risultato, trattandosi di un reato di evento la cui consumazione avviene solo con il raggiungimento del risultato riguardo al bene della vita, che altrimenti sarebbe stato ottenuto a mezzo dell’azione giudiziaria”. È questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione, sentenza n. 10357 depositata oggi, che ha accolto parzialmente, e con rinvio, il ricorso di un uomo condannato dalla Corte di appello di Bari ex articolo 393 Cp e per sequestro di persona; dopo aver riqualificato la condotta di “tentata estorsione”, in quando il denaro richiesto era della propria pensione (il ricorrente è stato anche dichiarato parzialmente incapace al momento del fatto).

L’iniziale imputazione (articolo. 81, co. 2, 56 – 629 e 605 cod. pen.) recitava “per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, dapprima convinto con un pretesto la sorella ed il cognato a recarsi presso l’abitazione posta al piano terra di via .., per poi rinchiuderli a chiave per almeno 20 minuti privandoli della libertà personale ed, altresì, compiuto atti idonei diretti inequivocamente, mediante reiterate minacce, a costringere gli stessi (in cambio della restituzione della libertà personale) a consegnargli la somma di denaro di 10,00 euro asseritamente finalizzata all’acquisto di sigarette, non riuscendo nel proprio intento per le resistenze delle vittime che si rifiutavano di erogare la somma e chiedevano telefonicamente l’intervento dei Carabinieri”.

Col primo motivo, l’unico accolto, il ricorrente lamenta il fatto che la Corte di appello avesse sì riqualificato la condotta di estorsione in esercizio arbitrario ma non nella forma tentata, come avrebbe dovuto, considerato che la consegna del denaro della pensione non si era verificata.

La V Sezione penale ricorda l’articolo 393 cod. pen. disegna un delitto di evento, in cui l’evento coincide con un risultato raggiunto, e cioè l’agente «si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone». In sostanza, prosegue la Corte, il ’si fa’ esprime la compiutezza dell’azione di violenza e minaccia che ha condotto al raggiungimento del risultato riguardo al bene della vita, che altrimenti si sarebbe raggiunto a mezzo dell’azione giudiziaria.

Va quindi condiviso, continua la Corte, l’orientamento prevalente (n. 29260/2018) per il quale «il concetto di farsi ragione da sé presuppone il raggiungimento dello scopo, di talché, quando si pongono in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a raggiungere tale scopo (che tuttavia non si consegue), deve trovare pacificamente spazio la ipotesi delittuosa ex art. 56-393 cod. pen.».

Non passa il diverso orientamento per cui il delitto di ’ragion fattasi’ si consuma già nel momento in cui la violenza o la minaccia sono esplicate, senza che rilevi il conseguimento in concreto del fine perseguito.

Dunque, scatta «il tentativo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando la violenza o la minaccia posta in essere non sia seguita dalla realizzazione del risultato». In effetti, l’articolo 393 cod. pen. descrive la condotta dell’agente come quella di chi «si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone» (analoga è la statuizione dell’articolo 392 cod. pen.). Ora, argomenta la Cassazione, «l’impiego dell’indicativo presente in relazione al “farsi ragione”, e, invece, del gerundio con riguardo all’uso della violenza o della minaccia, induce a ritenere che sia necessaria, per l’integrazione della fattispecie, la realizzazione del risultato perseguito».

Infine, la condotta di sequestro di persona concorre con quella di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non sussistendo alcun rapporto di specialità, in quanto la privazione della libertà personale, è requisito estraneo alla fattispecie astratta di cui all’articolo 393 cod. penale.

Pertanto, sul puntol a sentenza è stata annullata con rinvio e la Corte di appello dovrà verificare l’applicabilità del principio espresso.



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