sì alla Costituzione post-Assad. I progetti Caritas in Siria

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Il presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa (al-Jolani) firma la Dichiarazione costituzionale che segna l’avvio di una transizione quinquennale verso le elezioni – Ansa

«Inizia una nuova storia per la Siria. Un’era in cui si sostituisce l’oppressione con la giustizia». Con un enfatico discorso, il presidente Ahmed al-Sharaa ha accompagnato la firma della “Dichiarazione costituzionale” che segna l’avvio, dal punto di vista istituzionale, della transizione. Un processo lungo: cinque anni, secondo quanto annunciato. Composto da 44 articoli, il testo indica la giurisprudenza islamica come «la fonte principale del diritto». Questo segna una differenza rispetto alla Carta precedente, del 2012, in cui, all’articolo 3, essa veniva indicata come «una delle» fonti». «Costituisce un autentico tesoro a cui non possiamo rinunciare», ha spiegato Abdulhamid al-Awak, uno dei sette esponenti del comitato incaricato due settimane fa della redazione, a cui hanno partecipato anche due donne. Il diritto giurisprudenziale coranico non è, però, unico principio normativo come indica l’aggettivo «fondamentale». Awak ha precisato che la Dichiarazione garantisce libertà di opinione ed espressione, l’uguaglianza di tutti i cittadini e il pieno rispetto dei diritti sociali, economici e politici delle donne. E afferma l’assoluta separazione dei poteri. Resta invariato – rispetto alla Carta emanata durante il regime di Bashar al-Assad – l’obbligo della religione musulmana per il capo dello Stato. Proprio mentre era in corso la cerimonia, gli aerei israeliani hanno sorvolato i cieli di Damasco e hanno sganciato una bomba che ha centrato «una casa vuota», secondo l’esercito di Tel Aviv.

Ufficialmente, volevano colpire un covo della jihad islamica. Il portavoce del gruppo armato, Muhammad al-Haj Musa, però, ha negato su Telegram di avere a che fare con la struttura distrutta. Le parole del capo della diplomazia israeliana, Israel Katz, inoltre, sembrano dare all’azione il tono di un avvertimento per il governo, guidato dalla formazione islamista Hayat Tahrir al-Sham. «Se vogliono attaccarci, vedranno i caccia», ha detto nel giorno in cui gli Usa hanno recapitato, attraverso l’inviato Steve Witkoff, una nuova proposta ai rappresentanti di Israele e Hamas riuniti a Doha per i negoziati su Gaza. Secondo le indiscrezioni di Axios, prevederebbe un’estensione del cessate il fuoco per tutto il Ramadan, fino a Pasqua, e la ripresa degli aiuti umanitari nella Striscia. Il protrarsi dello stallo – la seconda fase della tregua doveva iniziare il primo marzo – alza ulteriormente la tensione in un Medio Oriente già al limite. Lo conferma l’esplosione di violenza della settimana scorsa in Siria, dove cresce la pressione di Israele a sud e quella di Iran e Russia nel nord-ovest e dei gruppi di ribelli da questi sostenuti. Un attacco alle forze di sicurezza ha innescato un ciclo di vendette che ha causato il massacro di 1.473 civili alauiti, comunità a cui appartiene Assad, abilissimo a soffiare sull’odio etnico e confessionale per restare al potere. Per questo, nella maggioranza sunnita è diffusa la convinzione che gli alauiti siano per definizione collaborazionisti. Per Sharaa è fondamentale arginare le derive violente.

La Dichiarazione sembra funzionale a questo sforzo. Il testo arriva a poco più di tre mesi dal crollo della dittatura, l’8 dicembre scorso, e alla vigilia della conferenza internazionale sulla Siria di Bruxelles, lunedì, la prima da quando i ribelli hanno conquistato Damasco. Il nodo della sanzioni – tuttora in vigore seppure allentate –, sarà al centro dell’evento, a cui parteciperà la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il ministro degli Esteri ad interim, Asaad al-Shibani. Il loro peso, unito a tredici anni di conflitto civile, hanno ridotto il Paese sull’orlo del collasso: la disoccupazione sfiora il 90 per cento e, con la gran parte delle infrastrutture distrutte, è difficile far ripartire l’economia.

Domani l’anniversario della guerra. L’impegno di Caritas per la pace

Il 15 marzo ricorre il quattordicesimo anniversario dello scoppio della guerra in Siria (15 marzo 2011), che ha causato oltre 638mila morti, di cui più di 183mila civili. Nel Paese 16,5 milioni di persone necessitano assistenza umanitaria. Ad aggravare la situazione sono arrivati la crisi economica e il devastante terremoto del febbraio 2023. Ma non mancano i segnali di speranza. «La situazione umanitaria è fuori controllo, ma la resilienza del popolo siriano ci spinge ad andare avanti», dice Davide Chiarot, operatore di Caritas Italiana ad Aleppo. «L’impegno di Caritas, così come quello della società civile in Siria, da tempo si concentra non solo sull’aiuto umanitario, ma anche sul tema della pace e della riconciliazione, oggi diventato uno dei punti centrali all’ordine del giorno», spiega ancora Davide. «Come Caritas Italiana, lavoriamo dal 2019 su percorsi di dialogo, pace e trasformazione del conflitto. Un’esperienza pilota è nata proprio a Damasco, attraverso un centro per i giovani, dove cristiani e musulmani trovano uno spazio protetto e accogliente per svolgere attività insieme e costruire percorsi di pace». Uno dei progetti più significativi è PeaceMed, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano, che coinvolge 19 Paesi del Mediterraneo, del Nord Africa e del Medio Oriente, per promuovere la pace e la trasformazione del conflitto attraverso la formazione di giovani leader.

È possibile sostenere gli interventi di Caritas Italiana utilizzando il conto corrente postale n. 347013, donazione on-line, o bonifico bancario (causale “Siria”).Per maggiori info: www.caritas.it





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