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Preparati sul controllo qualità. Discreti nel servizio clienti per gestire le lamentele. Decisamente carenti sul far di conto. È il quadro dell’ingrosso della droga che viene fuori dall’operazione, a cavallo tra le province di Messina e Catania, che ieri ha condotto all’esecuzione di 39 misure cautelari, all’interno di un’indagine con più indagati che ha ricostruito gli assetti criminali aggiornati e documentato l’influenza del clan etneo dei Cappello e della locale articolazione dei Cintorino sul Comune etneo di Calatabiano e sulle vicine zone messinesi di Giardini Naxos, Taormina e circondario. Interessati a vari business, ma con una certa predilezione per il mondo degli stupefacenti, tanto da aver messo su nella zona una rivendita di droga – con a capo, secondo i magistrati, Christopher Cintorino – «costituita da una fitta rete di altrettanto stabili e fidati acquirenti, a loro volta rivenditori». Niente a che fare con le piazze di spaccio della città, insomma. Ma una vera e propria centrale che riceveva gli ordini e li smistava, dopo essersi a sua volta rifornita al «megastore», cioè una delle piazze di spaccio di Catania. Ordini che viaggiavano su Messenger – la chat di Facebook – e un ancora più immediato WhatsApp. Con parole in codice non proprio blindate – tra tutte, un poco fantasioso cocacola – che diventano in presenza aperte discussioni su hashish, erba e cocaina. Il tutto in un giro così frenetico da tenerne a stento traccia, tra pizzini mal scritti, cancellature e dimenticanze.
«Allora, tre più tre e cinquanta… sei e cinquanta… più tre e cinquanta», fa i conti, non sapendo di essere ascoltata, Cinzia Muratore, sorella di Gianluigi, uno dei pusher freelance cliente di Cintorino. Nonché lei stessa addetta al trasporto e consegna dello stupefacente fino all’abitazione del fratello, alle case popolari di Calatabiano. Dimostrando, anche in altri casi, una certa abilità da commerciale. «Perché tre e cinquanta? Era quattro e venti», fa notare Cintorino. La donna non si raccapezza più: «Non capisco perché scrivi più, meno, più…», ribatte lei. «Il più sono io e il meno è il suo», prova a spiegare lui. Per poi arrendersi davanti ai suoi stessi calcoli: «Io non è che lo capisco…». Scene quasi quotidiane, complici le scadenze elastiche per il recupero crediti. C’è chi paga a rate, chi in conto vendita, chi prende tempo anche davanti a debiti superiori ai mille euro. Clienti comunque fidati e con un buon giro di rivendita, tanto da spingere l’organizzazione a non essere troppo fiscale. A meno di non esagerare. «L’ho scassato di botte tremila volte. Ci siamo messi anche con i caschi – racconta Cintorino a proposito di un debitore, sottolineando la sua magnanimità – Carmelo con le mani gli fa più male, vedi che ha una forza tipo Gig robot d’acciaio». Ritardi e scarsa precisione che, a loro volta, si riversano anche sui fornitori a monte. «Io martedì, mercoledì… giovedì glieli mando, cinquecento euro», dice il presunto capo riferendosi ai catanesi. Senza fretta.
Una gestione non proprio militare anche per quanto riguarda la logistica. Specie nelle consegne in differita. «No, guarda, non ti confondere – detta le istruzioni a distanza Cintorino – Come tu sali le scale, c’è una specie di cardarella messa sulla destra. Dentro la cardarella c’è un bicchiere di plastica. Dentro il bicchiere di plastica te l’ho buttata. Che minchia dovevo fare?». Senza convincere troppo il suo interlocutore. A cui comunque è andata meglio di quell’altro che doveva recuperare la droga da un’auto. «Ti sei dimenticato un piccolo particolare – fa presente il cliente – di lasciare la macchina aperta! Io sinceramente ho il flex a batteria in macchina, però non volevo danneggiarti lo sportello». Piccoli imprevisti che non sembrano impensierire troppo l’organizzazione, i cui componenti sono più interessati a discutere di qualità della droga – «Mi devo bagnare il becco, però, padrino», è la frase standard di Cinzia Muratori prima degli acquisti – o di coltivazione.
Come con Andrea Silvestro, cliente e rivenditore di Francavilla ma residente a Calatabiano, che spiega a Cintorino di aver allestito una piantagione di canapa indoor in casa e – tra un consiglio di concimazione e l’altro – chiede ricovero per tre piante che non starebbero crescendo come dovuto. Tanto da doversi rifornire dal clan: «Sto cercando anche io di fare qualcosina, qualche soldino, capito? Ora questa qua già ce l’ho piazzata e a me non resta niente». E se per qualcuno lo spaccio era un modo per arrotondare – sebbene con acquisti persino settimanali, in vista delle vendite del fine settimana -, per altri è l’unica fonte di ingresso economico. Come Gianluigi Muratori, nullatenente e mai un giorno di lavoro. «Questo ragazzo, compare, ma lavora?», chiede un sodale a Cintorino, che risponde di no. «E come cazzo campa?», ribatte l’altro, in una discussione dal sapore morettiano. Ma Muratori non fa cose, né vede gente: «Con l’erba! – spiega pronto Cintorino – Lui non esce, sta sempre dentro, dalla mattina alla sera, gioca alla play station, fuma… La sua vita è questa, lui con cinquanta grammi è capace di fare mille euro».
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