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AGI – Il cinema italiano è fermo. Non tutti se ne sono accorti, complice il calo delle presenze nelle sale, ma è dal gennaio del 2024 che le produzioni nostrane hanno subito una drastica riduzione con pesanti contraccolpi su tutta la filiera produttiva: dagli sceneggiatori ai montatori. La causa dello stop che va avanti da quindici mesi ha un nome: tax credit e per capire come si è arrivati alla paralisi bisogna fare un breve riassunto delle puntate precedenti. Cominciamo con lo spiegare cosa è il tax credit: una misura grazie alla quale i produttori cinematografici possono godere di crediti fiscali pari al 40% delle spese di realizzazione di un film. Esiste dal 2008, ma a definirne il funzionamento nel modo in cui lo abbiamo conosciuto fino a poco tempo fa era la legge 2020 del 2016, la cosiddetta ‘legge Franceschini’, la cui attuazione è stata considerata, non solo dalla destra oggi al governo, come l’origine di una un’inattesa e vorace campagna acquisti di società di produzione italiane da parte dei colossi stranieri e del caos nei fondi che il ministero della Cultura eroga alle produzioni cinematografiche.
Un’accusa tutt’altro che peregrina, se si considera che a fronte dei 500 milioni stanziati, lo Stato ha preso impegni per quasi un miliardo. Soldi che i produttori ora aspettano di incassare sotto forma di credito fiscale, ma che lo Stato non ha previsto di spendere. “Questo ha fatto scattare la preoccupazione – legittima – del MEF e della Ragioneria Generale dello Stato” spiega l’avvocato Christian Collovà, specializzato in produzioni cinematografiche “che hanno cercato di arginare un sistema che consentiva erogazioni incontrollate e da qui la decisione di intervenire con una serie di decreti”. Il buco era grosso, ma la pezza è stata peggiore del male: da più parti si concorda sul fatto che le misure adottate dal Ministero sono state precipitose e quasi per nulla condivise con le parti in causa, tanto da mettere all’angolo le produzioni indipendenti.
Il perché è ancora l’avvocato Collovà a spiegarlo. “Le nuove regole” dice, “hanno identificato come criterio di discrimine quelle produzioni che al box office incassano meno rispetto all’investimento e lo ha trovato nei produttori indipendenti, che molto spesso dedicano invece le proprie energie a prodotti che non garantiscono un ritorno commerciale certo. Nell’assegnazione del tax credit si è così finito per preferire quei prodotti ad alto budget che sono sì prodotti da società italiane, ma di proprietà straniera, che continuano a beneficiare del tax credit di cui gli indipendenti italiani non possono più invece godere”.
Una battaglia complicatissima
Di fronte all’esito delle nuove regole imposte al tax credit, però, i produttori indipendenti non sono rimasti a guardare e hanno presentato ricorso al Tar. Ora attenzione, perché la faccenda si complica: l’Avvocatura dello Stato ha di recente chiesto il rinvio dell’udienza che si sarebbe dovuta tenere il 4 marzo scorso, comunicando che e’ al controllo della Ragioneria dello Stato (l’ultimo passo prima della pubblicazione di un provvedimento ministeriale) un “provvedimento correttivo” del decreto impugnato, che “farebbe venire meno i vizi dedotti”, di fatto ammettendo che vizi vi erano ed erano necessari dei correttivi alle nuove regole. Questo ha spinto il giudice amministrativo a sospendere la decisione in attesa di vedere in che modo il dicastero cerchera’ di correggere norme che nelle intenzioni sono buone, ma nei fatti finiscono per agevolare i colossi – per giunta stranieri – e dissanguare gli indipendenti.
“Ai piccoli produttori vengono imposti vincoli che solo i grandi produttori possono rispettare, quali ad esempio la sottoscrizione anticipata di contratti di distribuzione con primari distributori (peraltro non ufficialmente indicati) e numeri minimi di proiezioni e tempo di permanenza nelle sale improponibili per gli indipendenti” spiega ancora Collovà, ma il vulnus originario è nel fatto che al momento della stesura delle nuove regole per il tax credit non siano stati consultati tutti gli attori in campo. In un incontro precedente all’emissione del famigerato decreto (quello impugnato) era stato proposto dagli indipendenti il meccanismo del de-escalator, un’erogazione a scaglioni (40% per un primo scaglione di budget, 35% per un secondo scaglione, 30% per un terzo scaglione e cosi’ via): questa soluzione avrebbe evitato allo Stato di contribuire al 40% in produzioni ad alto budget, quelle, in sostanza, che non hanno bisogno del sostegno pubblico perché – esse sì – rispondono a logiche di mercato.
“L’intervento pubblico deve rispondere al principio di eccezione culturale e non andare solo incontro alle esigenze del libero mercato” sottolinea Collovà. Secondo il principio dell’eccezione culturale, ben implementato a livello europeo ma non da noi, “lo Stato interviene facilitando produzioni di autori e produttori sconosciuti, dunque non ancora “richiesti” dal mercato, agevolando l’emergere di nuovi talenti: nuovi Guadagnino, Sorrentino e Genovese. Le produzioni ad alto budget non hanno bisogno di questo sostegno, perché rispondono a logiche di mercato: producono i film, anche di grande valore artistico, che il pubblico chiede, perché conosce già il produttore o gli autori. Se lo Stato finanzia queste produzioni, che magari dopo tre mesi vanno su Netflix, allo stesso modo in cui finanzia un indipendente che fatica a produrre un progetto innovativo e scommette su possibili nuovi talenti, disperde fondi. Questo non significa che non debba esserci un sostegno anche per i grandi, ma deve essere scaglionato nella sua intensità”.
Gli scenari possibili
Nelle prossime otto settimane si uscirà dall’impasse o si precipiterà nel baratro. Il 4 marzo il Tar ha mantenuto le nuove regole rinviando l’udienza al 27 maggio e dando al governo 30 giorni per depositare una bozza con i provvedimenti correttivi. È importante, sottolinea Collovà, tenere ben presente una data: il 13 maggio, data di inizio del Festival di Cannes. “Sulla Croisette il nostro padiglione è quello più importante e arrivare al Festival senza sapere come funzionerà il tax credit non permetterebbe ai produttori indipendenti di sedersi alla pari con le controparti internazionali per mettere a punto delle coproduzioni e finirebbe per allontanare gli stranieri dalla collaborazione con il nostro Paese: finirebbero per preferire altri che danno maggiore certezza” dice il legale. “Cannes offre al governo la possibilità di presentare al mondo le nuove regole, chiare e condivise, per fare business dell’intrattenimento in Italia e con l’Italia: un colpo di immagine formidabile che sarebbe un peccato non cogliere” aggiunge.
Ma se si dovesse arrivare a Cannes con l’attuale stato delle cose?
Sarebbe un disastro, dice Corrado Azzollini, presidente del settore cinema di Confartigianato, che raggruppa 500 imprese, e cita un recente sondaggio secondo cui il 75% delle professionalita’ legate al mondo del cinema in questo momento non sta lavorando e oltre il 67% di chi sta lavorando non ha nuove opportunità in vista quando finirà l’attuale progetto. Quasi un terzo di chi non lavora è fermo anche da tre mesi e ben il 12% da più di un anno. La sfiducia nell’industria cinematografica italiana è pari al 99,1%, con un tasso di preoccupazione per il proprio futuro del 96,3%.
“Oggi l’Italia non è competitiva” dice Azzollini, “in tutto il mondo esiste il meccanismo del credito di imposta e solo nel nostro Paese le piccole imprese hanno grandi difficoltà ad accedervi mentre le grandi produzioni lo ottengono senza problemi”. “Sicuramente la legge Franceschini, andava corretta il meccanismo automatico ha creato disfunzioni, elargizione del denaro in modo troppo ‘semplice'”, dice Simonetta Amenta, presidente di Agici, l’associazione generale delle industrie cine-audiovisive indipendenti, “il decreto correttivo, però non ha agito sui punti importanti, sarebbe fondamentale inserire sia il descaletor, sia un tetto massimo alla concessione del tax credit per singolo film e per gruppi societari. A oggi c’è un cap al tax credit a 9 milioni di euro per film, che diventano 18 se c’è una coproduzione. E’ un limite inutile che andrebbe drasticamente abbassato”.
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