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Dal convegno “Un Piemonte libero dalle mafie”, voluto dalla Commissione Legalità del Consiglio regionale, è arrivato forte l’allarme per il crescente radicamento delle organizzazioni criminali, in particolare la ‘ndrangheta, in Piemonte. Una mafia che si è fatta imprenditore e che, come ha spiegato il presidente del Consiglio regionale Davide Nicco durante i saluti istituzionali, “si insinua nell’economia legale, nel tessuto imprenditoriale e negli appalti pubblici, minacciando la libera concorrenza, l’occupazione onesta e la sicurezza dei cittadini. Come istituzioni, abbiamo il dovere di restare vigili, la presenza della Commissione Legalità è un segnale chiaro di questo impegno. Serve un’alleanza tra istituzioni, magistratura, forze dell’ordine, mondo dell’informazione, scuola e società civile per contrastare il fenomeno in modo efficace”.
Un invito a tenere alta la guardia è arrivato anche dal presidente della Giunta Alberto Cirio: “Dobbiamo essere tutti noi testimoni di giustizia. Un buon cittadino, un buon amministratore pubblico sono testimone di giustizia. Il dovere non è solo di non girarsi da un’altra parte, ma è quello di denunciare. Sui beni confiscati abbiamo messo più risorse, siamo passati dai 600-700mila euro in media degli ultimi anni a 1.200.000 stanziati nel 2025. Con una recente delibera abbiamo semplificato le procedure di utilizzo di queste risorse da parte degli enti pubblici”.
Sulla stessa linea Domenico Rossi, presidente della Commissione Legalità, che ha condotto la mattinata insieme ai due vice Gianna Gancia e Pasquale Coluccio: “Siamo qui perché crediamo che la conoscenza e lo studio siano il primo strumento per difenderci. Se non si riconosce un problema, non lo si può affrontare. Serve tenere sempre alta l’attenzione su questi fenomeni perché tra le ragioni che hanno permesso alla ‘ndrangheta di colonizzare anche le regioni del nord c’è il ‘cono d’ombra’ tra opinione pubblica e ‘ndrangheta. Al rischio dell’ignoranza si aggiunge quello della sottovalutazione”.
Il procuratore generale di Torino, Lucia Musti, ha aperto la lunga serie di interventi: “Le mafie sono dentro la società, e non hanno confini. Il centro nord è occupato ‘militarmente’ dalla ‘ndrangheta. La mafia imprenditrice è ben consapevole di quanto preziosi siano i professionisti e attinge a quelli che, incredibile ma vero, sono attirati come le falene nella luce della notte, proprio dai mafiosi. Le mafie non hanno abbandonato le modalità violente, ma si sono evolute con caratteristiche più sofisticate, più raffinate”.
Il procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Torino Giovanni Bombardieri ha evidenziato come “per molto tempo il Piemonte abbia sottovalutato le infiltrazioni mafiose sul territorio come per una volontà di tranquillizzarsi, di pensare che non era un problema nostro. Eppure si erano verificati diversi eventi che avrebbero dovuto far mantenere alta l’attenzione”. “Oggi – ha aggiunto – la criminalità organizzata si mescola all’economia e al mondo degli affari: non fa più ‘click’ con la pistola ma con il mouse del computer”.
Numeri preoccupanti per il capocentro della Direzione investigativa antimafia di Torino Tommaso Pastore che ha illustrato l’evoluzione delle attività di contrasto alle mafie “a partire dal modo di operare della criminalità organizzata nel mondo economico finanziario. In Europa abbiamo mappato 821 reti criminali attive, l’86% è in grado di infiltrarsi nell’economia legale, la quasi totalità (96%) con capacità di riciclaggio autonoma. La migliore strategia di contrasto non può non focalizzarsi sugli strumenti giuridici volti a sottrarre alla criminalità organizzata la disponibilità economica proveniente dalle attività delittuose attraverso il sequestro, la confisca e le attività interdittive”.
Il giornalista de La Stampa Giuseppe Legato ha sottolineato “la necessità, per i giornalisti che si occupano di criminalità organizzata, di studiare in modo approfondito gli atti d’inchiesta, cercando riscontri su dettagli che potrebbero portare alla scoperta di nuovi elementi. Una possibilità fortemente limitata dalle recenti strette sull’informazione in materia di cronaca giudiziaria, che ridurrà il giornalismo investigativo a giornalismo divulgativo”.
La professoressa ordinaria di Diritto processuale penale dell’Università di Torino Laura Scomparin ha illustrato “un progetto di ricerca dell’Università di Padova per individuare un algoritmo predittivo sulle infiltrazioni mafiose” e fatto presente che “negli ultimi anni le Università sono diventate player economici sul territorio, se si pensa che il Pnrr ha attribuito alle Università 30 miliardi di euro in parte per il reclutamento di personale e in larga misura per la costruzione e il potenziamento di infrastrutture e il recupero del patrimonio edilizio. Avremmo bisogno di supporti per individuare strategie di controllo efficaci per non diventare possibile oggetto d’infiltrazione della criminalità”.
Il presidente dell’Associazione Avviso pubblico Roberto Montà ha messo in evidenza il ruolo della Regione e degli Enti locali, sottolineando che “la lotta alle mafie passa attraverso amministratori integri e credibili che scelgono da che parte stare”, evidenziando “l’importanza di restituire alla cittadinanza i beni confiscati” e denunciando che “con poche decine di voti, nei piccoli Comuni, si può condizionare il comune e il suo sindaco”.
Il presidente di Libera don Luigi Ciotti si è dichiarato “preoccupato della ‘retorica della legalità’, un elemento essenziale per la società che rischia di trasformarsi in un idolo, in un sedativo e in una bandiera che tutti usano se è vero che esistono associazioni antimafia fatte dai mafiosi e associazioni per la legalità fatte da chi sceglie di volta in volta la convenienza di stare o meno nella legalità” e ha sottolineato con forza che “prima della legalità dobbiamo educarci alla responsabilità e darci delle regole per costruire percorsi di giustizia”.
Maria Josè Fava della direzione nazionale di Libera ha illustrato i risultati di una ricerca fatta sulla percezione dei fenomeni mafiosi, estorsivi e usurari da parte di operatori economici di Torino, Firenze e Napoli. “A Torino – ha dichiarato – abbiamo distribuito 480 questionari anonimi e ce ne sono stati restituiti circa la metà, di cui 13 compilati da stranieri. Sul pizzo, il 20% ha risposto di sapere che c’è chi lo richiede e che esso viene pagato non solo con il denaro ma anche attraverso l’imposizione di servizi e forniture, il 6% di conoscere qualcuno che lo ha pagato e il 3% di averlo pagato”.
Il professor Rocco Sciarrone, ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro dell’Università di Torino ha sottolineato che “per definire i fenomeni mafiosi si usa spesso la metafora della ‘mela marcia’, ma la logica che la permea è quella dell’’area grigia”, quella delle collusioni e delle complicità in cui tutti hanno qualcosa da guadagnare e a perderci è la società nel suo complesso. Il vero rischio, oggi, non è tanto la crescita dell’illegalità quanto una commistione sempre più complessa e articolata tra lecito e illecito che rende sempre più difficile distinguere dove si situino i confini tra legalità e illegalità”.
Con il vicepresidente del Consiglio regionale Domenico Ravetti e la componente dell’Udp Valentina Cera hanno preso parte ai lavori i consiglieri Debora Biglia, Marina Bordese, Nadia Conticelli, Fabio Isnardi, Gianna Pentenero, Elena Rocchi, Daniele Sobrero, Emanuela Verzella, il Difensore civico Paola Baldovino e il Garante per l’infanzia e l’adolescenza Giovanni Ravalli.
ilTorinese.it FM – CRP
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