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Il dato presentato all’ultima edizione del Food Tech Congress: ogni anno finiscono direttamente nella spazzatura 5 milioni di tonnellate di prodotto, per un valore complessivo di 12,5 miliardi di euro. Nel Vecchio Continente dati elevati anche il territorio in cui si consumano più prodotti da forno in assoluto, ma anche negli USA non si scherza: ogni 12 mesi nell’immondizia 500mila tonnellate. La colpa? Sarebbe della tendenza ad acquistare soprattutto prodotti freschi. Eppure le nuove opportunità offerte nell’ambito della nutrizione animale potrebbero aiutare a limitare questo sperpero: l’Italia all’avanguardia con Regardia, che produce ingredienti per mangimi animali da sfridi di produzione dell’industria alimentare umana, anche dolciaria. L’appello del CEO, Carlo Goretti alle imprese produttrici: “Il prodotto non più vendibile per alimentazione umana? Non buttatelo, lo compriamo noi, creando valore per tutta la filiera”.
Quasi un panino su 5 (oltre il 15%), tra quelli prodotti in tutta Europa, finisce buttato. Il dato, rilanciato dal magazine di settore Food Ingredients Global Insights, è stato presentato all’ultima edizione del Food Tech Congress. Sempre secondo la medesima ricerca, inoltre, lo spreco di pane varia da paese a paese: rappresenta, per esempio, solo un ventesimo dello spreco alimentare complessivo in Spagna ma più di un quarto in Norvegia. Ogni anno finiscono nella spazzatura 5 milioni di tonnellate di pane prodotto, per un valore di 12,5 miliardi di euro. Questo nonostante l’Europa sia l’area che, a livello globale, consuma più prodotti da forno in assoluto: più della metà (53,6%) di tutto il pane prodotto a livello planetario viene infatti mangiato sul suolo europeo. Il problema, secondo la ricerca, sarebbe da collegare al fatto che i consumatori richiedano sempre pane il più fresco possibile. Tutto ciò contribuirebbe a una sovrabbondanza dello spreco, a causa della breve durata di conservazione, delle filiere corte e dell’alto grado di sovrapproduzione. Comunque, se l’Europa è in cima alla classifica, anche negli Stati Uniti lo spreco dei prodotti da forno è elevato: secondo quanto ha recentemente riportato Future Market Insights, infatti, si stima che negli USA vengano prodotte oltre 500mila tonnellate di prodotti da forno in eccesso ogni 12 mesi. Tuttavia, in base a un rapporto pubblicato dalla stessa testata, il mercato dei panificati sta progressivamente raggiungendo una maggiore consapevolezza verso le pratiche di sostenibilità, anche grazie alle nuove opportunità offerte nell’ambito della nutrizione animale. Un prodotto da forno comprende infatti una miriade di ingredienti che, anche quando lo stesso prodotto non è più vendibile per alimentazione umana, possono essere trasformati in componenti nutritivi per mangimi, in particolare quelli destinati al bestiame da allevamento: bovini, ovini e suini.
L’Italia, in particolare, è all’avanguardia in questo campo: dal 1981 a Marene, nel cuneese, proprio dall’idea di valorizzare ex-prodotti dell’industria alimentare preparati per l’uomo ma non più ad esso destinati per motivi estetici e di logistica, ha preso vita Regardia, oggi realtà leader in Italia nella circular economy applicata alla produzione d’ingredienti per mangimi per animali da reddito e di matrici per le bioenergie tramite la trasformazione di ex-prodotti alimentari. “Il nostro ruolo di pionieri del settore ci impone anche delle responsabilità. Soprattutto in un momento storico in cui, mi verrebbe da dire finalmente, l’attenzione alle prassi di circolarità sta diventando centrale nel dibattito economico. – spiega Carlo Goretti, CEO di Regardia – I margini di intervento, del resto, sono ancora importanti. Basti pensare che in Italia, secondo recenti stime, il 33% del pane prodotto solo dalla GDO, pari a 13mila quintali l’anno, non viene consumato. La lotta allo spreco alimentare è la nostra core mission. Ecco perché, da pochi giorni, abbiamo deciso di mettere online sul nostro sito web una apposita sezione attraverso la quale qualunque azienda può diventare nostro fornitore, venendo in questo passaggio accompagnata dai nostri esperti. Non si tratta di effettuare delle donazioni: noi acquistiamo i prodotti da forno (di qualunque tipo, anche quelli destinati all’industria dolciaria) che ci vengono conferiti. In questo modo, da sfridi di produzione che finirebbero semplicemente persi creiamo valore per tutta la filiera, dai fornitori fino agli allevatori che sono l’acquirente finale del prodotto, all’interno del quale si trovano i nostri ingredienti”.
Il valore nutrizionale? Sempre secondo Future Market Insights, i dati sarebbero abbastanza sorprendenti: gli scarti di panificazione costituiscono generalmente una fonte dall’8 al 15% di proteina grezza, dal 5 al 10% di estratto etereo e di amido con un volume superiore al 40%. La variabile, naturalmente, è data principalmente dalla composizione del prodotto originario. Pochi dubbi, insomma, sull’opportunità e la sicurezza del recupero di questi alimenti. “Quando si parla di scarti della produzione nell’ambito dei prodotti da forno va fatta una specifica – spiega ancora Carlo Goretti, CEO di Regardia –. Vengono scartati durante il processo di fabbricazione stessa, perché non perfetti nella forma, nell’impacchettamento, oppure ancora nella ricetta o nella cottura. Fatto sta che si tratta di prodotti ancora edibili, ma che non si possono più recuperare per la vendita agli esseri umani. Noi abbiamo i nostri cassoni a valle del processo industriale che vengono riempiti progressivamente con questi sfridi e, attraverso un processo di raccolta continuo, portiamo tutto nei nostri stabilimenti e lo facciamo diventare mangime per animali con i nostri ingredienti. Ingredienti che sono sempre almeno isonutrienti e isoenergetici. Si tratta di prodotti di qualità, tracciabili, altamente digeribili e tipicamente privi di sostanze OGM”.
Non è, tuttavia, solo quello della mangimistica l’ambito in cui gli sfridi di produzione dell’industria dei panificati e dell’industria dolciaria possono essere recuperati. Ci sono, infatti, anche le bio-energie, in particolare il bio-metano. “Oggi vale poco meno del 20% del valore della produzione per noi – aggiunge ancora Goretti – Un valore che è fatto principalmente di rapporti con allevatori e agricoltori che hanno investito in impianti di biogas. Ma, a tendere, con l’ingresso di operatori industriali, questo è un mercato che può crescere molto”.
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