L’eolico della discordia, il parco della Maremma divide gli ambientalisti

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Calare le cose dall’alto, farle di fretta e senza coinvolgere il territorio, paga il prezzo altissimo della diffidenza e del rancore. Fra le urgenze più impellenti che abbiamo – tutti, in questo mondo e in questo paese – c’è quella di accelerare il più possibile il passaggio dall’energia fossile a quella rinnovabile, almeno per tre ragioni.

La prima è climatica: per ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera. La seconda è sanitaria: per diminuire l’inquinamento atmosferico e le terribili malattie che genera. La terza è geopolitica ed economica: per smettere di dipendere dal gas, che sia russo o statunitense, e avere bollette meno care e meno in balia di guerre, dazi, tensioni.

L’importanza di tutto ciò è ecologica e ancor più sociale: ha a che fare con le nostre tasche, con la nostra salute e con il nostro futuro. Ma la transizione dev’essere giusta e coinvolgere tutti: diversamente, crea sospetti e costruisce nemici.

Proprio in questi mesi in Toscana si discute della costruzione di una serie di parchi eolici che interesseranno la bassa Maremma, da Grosseto fino alla Tuscia. Francesco Pratesi e Alessandra Fenizi di Italia nostra definiscono questi impianti un progetto «ciclopico» ed esprimono le loro paure. In quel caso si tratterà di 11 pale fra Magliano e Scansano: «Saranno alte fino a 200 metri e troppo vicine alle abitazioni e ad agriturismi che si fondano sulla pace e il silenzio di queste colline.

E poi siamo accanto al Parco della Maremma, qui volano aquile, falchi, nibbi: si rischia una carneficina». Altri timori riguardano le strade nuove che serviranno per portare centinaia di tonnellate di cemento e materiali di costruzione e le garanzie insufficienti rispetto al ripristino dell’area quando gli impianti (che non saranno permanenti) verranno smantellati.

Unica soluzione

In effetti, a prima vista può sembrare azzardata la scelta di una zona rurale, fatta di agricoltura e turismo lento come la Maremma, per costruire impianti eolici. Ma, come spiega Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, nella regione le zone idonee in termini di venti sono soltanto i crinali appennini e la bassa Maremma, mentre nelle aree industriali delle piane il vento manca del tutto. E il progetto in questione «si inserisce in un contesto più ampio di transizione ecologica della Regione Toscana, che ha l’obiettivo di installare circa 4 GW di energia da fonti rinnovabili entro il 2030.

Non è solo un target numerico, ma un impegno che la Regione deve rispettare per legge per contribuire agli obiettivi nazionali di decarbonizzazione», precisa la società proponente, il Gruppo Visconti Sorano Srl. Insomma: gli impianti vanno fatti in Toscana, e il vento in Toscana, almeno ad alta quota, si trova proprio lì.

Anche l’altezza delle pale è motivata: raggiungono i venti d’alta quota, più stabili e costanti, e se ne possono mettere molte meno, riducendo l’impatto visivo. Ma, senza queste precisazioni, il progetto rischia di apparire come un’operazione portatrice di espropri e deturpazione del paesaggio senza benefici per la popolazione locale. Non ci addentreremo nel merito del gusto estetico: da decenni siamo abituati ad automobili e cemento, tanto che quasi non li vediamo più.

In Come ne usciremo, curato da Fabio Deotto per Bompiani, Claudia Durastanti immagina un futuro prossimo in cui avremo imparato a considerare le pale eoliche «parte del paesaggio»: «Fra qualche decennio anche questa antropizzazione entrerà a far parte del canone bucolico, una collina punteggiata da turbine ci risulterà naturale quanto una campagna graffiata da un aratro».

È utile invece addentrarsi nella questione dei costi e dei benefici per gli abitanti della zona, sollevata dalla presidente di Amici della Terra, Monica Tommasi, col timore che saranno altre regioni più energivore a trarre beneficio da questi parchi eolici. In realtà, a partire dal 2025 il prezzo unico (Pun) viene sostituito da sette zone di prezzo autonome (Nord; Centro Nord; Centro Sud; Sud; Calabria; Sicilia; Sardegna). In questo modo, «più alta sarà la presenza di rinnovabili in un dato territorio, più basse saranno le bollette in quella zona di mercato», spiega l’ingegnere ambientale Gianluca Ruggieri.

Assenza di dialogo

La costruzione di un parco eolico in Maremma potrebbe così contribuire a una riduzione delle bollette per gli abitanti. Certo, sono aree ancora piuttosto ampie, e per un cambiamento sostanziale servirà che il prezzo del gas venga scorporato da quello delle rinnovabili: però è un inizio.

Questa storia di energia rinnovabile e cittadini preoccupati ha a che fare con una comunicazione insufficiente dei costi e dei benefici della transizione. Ma riguarda anche la fretta: si arriva all’ultimo a ricordarsi degli impegni di decarbonizzazione, e manca il tempo per coinvolgere adeguatamente le realtà locali. «Il tema della partecipazione è fondamentale, i cittadini devono poter partecipare al processo: se si coopera si può anche capire insieme dove sia meglio per tutti posizionare le pale. Bisogna fare assieme questa transizione il più velocemente possibile e affrancarsi da sistemi inquinanti e costosi come i rigassificatori», osserva Ferruzza di Legambiente.

Anche per Greenpeace Italia «serve un approccio equilibrato: valutazioni caso per caso, ma con la consapevolezza che senza le rinnovabili dovremo affrontare eventi climatici sempre più estremi, con conseguenze gravi per l’economia, l’ambiente e le persone. La narrativa che contrappone la tutela del paesaggio allo sviluppo delle energie rinnovabili è un ostacolo costruito ad arte da chi vuole rallentare la transizione ecologica».

Hanno ragione a sentirsi esclusi e traditi gli agricoltori della Maremma se hanno subito scelte di cui avrebbero tutti i diritti di essere attori ascoltati e informati. Quando mancano la cura e l’ascolto necessari si trasformano gli alleati in nemici, si crea sfiducia dove servirebbe cooperazione. E di questa transizione abbiamo disperatamente bisogno per il clima, per la nostra salute, per giustizia sociale.

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