Hassan, il medico del popolo somalo

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Mohamed Yusuf Hassan se n’è andato il 27 febbraio scorso per un arresto cardiaco, a Mogadiscio, lasciandoci sconcertate e affrante. Lo avevamo sentito al telefono pochi mesi fa e sembrava stesse bene. Aveva 75 anni ed era un nostro caro e vero amico, con il quale non abbiamo mai interrotto i contatti nonostante la lontananza e la guerra.

MOHAMED ERA un medico, specializzato in chirurgia toracica, si era laureato a Roma, dove abbiamo avuto l’onore di frequentarlo durante gli anni Ottanta e fino a metà dei Novanta. Era un ottimo chirurgo, ma amava molto – e ne era un vero e informatissimo conoscitore – sia la politica che il cinema internazionali (in questi giorni non avrebbe perso la cerimonia degli Oscar). Ma gli piaceva anche il cinema italiano; lo ricordiamo ridere a crepapelle guardando i film di Totò e poi ripetere all’infinito le battute del comico, con un improbabile quanto spassoso accento napoletano. Aveva un’intelligenza acuta e brillante, una memoria prodigiosa, sense of humour, cultura. Parlava un italiano perfetto e anche a distanza di anni non ne aveva perso la padronanza. Lo prendevamo in giro per l’uso disinvolto dei pronomi relativi («Vedi? questi sono i nipoti di cui io sono nonno») e talora dei termini aulici: i terroristi somali per lui erano «masnadieri».

Ma anche quando viveva a Roma non ha mai smesso di pensare al suo Paese – la Somalia – partecipando a iniziative e manifestazioni, spesso organizzate dal Circolo Culturale Montesacro di cui faceva parte, soprattutto nei primi anni della guerra civile. È proprio del 1993 la pubblicazione in Italia di un suo libro, curato da Roberto Balducci, “Somalia. Le radici del futuro”. Era un assiduo lettore de “il manifesto”.

UNA VOLTA LAUREATO, dopo aver lavorato alcuni anni in Italia, si trasferisce in Sudafrica, dove può far crescere e studiare i suoi due figli, ma nel 2002 torna in Somalia: «Perché sapevo che i miei servizi erano necessari. Ma non è stato facile» – afferma in un’intervista all’agenzia Irin e in poco tempo diventa direttore generale dell’Ospedale Medina, il più grande nosocomio pubblico di Mogadiscio. Nel Paese però continua la guerra civile e, come altri suoi colleghi, è spesso minacciato mentre svolge le sue mansioni di medico.

IL 23 MARZO 2009 Mohamed rischia di morire in un attentato mentre si reca al lavoro, per fortuna rimanendo illeso. Abbiamo ancora un ricordo vivo della sua voce allarmata e spaventata all’altro capo del telefono, mentre ci racconta l’accaduto. Da allora, per ragioni di sicurezza alloggerà a lungo nell’ospedale, rifiutando l’ospitalità offertagli in Kenya, per rimanere vicino ai suoi pazienti. È lo stesso Mohamed a dichiarare: «Finora non so dirvi perché sono stato attaccato il 23 marzo o da chi. La risposta potrebbe essere semplice: qualcuno a cui è stato detto che l’ospedale era pieno e che il suo parente o amico non poteva essere ricoverato.

 

È assurdo, ma succede. I momenti peggiori sono quelli in cui i combattimenti sono così pesanti che non riesco a raggiungere l’ospedale o, se ci sono, i feriti non riescono ad arrivare alla struttura. Ho avuto persone che sono morte dopo aver perso molto sangue perché sono state portate qui troppo tardi. Essere un medico a Mogadiscio è molto impegnativo. Abbiamo visto di tutto. Ci sono persino uomini armati che cercano di costringerci a dare la precedenza al loro amico, anche se stai operando; devi avere l’impegno di perseverare». «La cosa peggiore degli attacchi ai medici e agli ospedali – continua Mohamed – è l’effetto che hanno sui medici illesi, che si arrendono e se ne vanno; in questo modo, perdiamo talenti che non possiamo permetterci di perdere. Devo ammettere che dopo l’attentato subìto ho dubitato anch’io, ma sono rimasto, perché credo che morirò solo quando arriverà il mio momento.

Ma soprattutto, credo davvero di essere necessario qui e non riuscirei a vivere con me stesso se abbandonassi coloro che dipendono dai miei servizi e dai servizi di medici come me». «Per questo giorno (la Giornata Mondiale della Salute), mi appello alle parti in conflitto, chiunque esse siano, affinché considerino gli operatori sanitari e i centri di salute come apolitici e neutrali, e non solo li proteggano e li rispettino, ma li sostengano. Dopo tutto, non chiediamo ai nostri pazienti da che parte stanno».

MA MOHAMED Yusuf Hassan – secondo The African Research Nexus – «è stato anche un illustre accademico e ricercatore affiliato all’Università Benadir in Somalia, dove ha contribuito in modo significativo al campo della scienza medica. La sua ricerca si concentra principalmente sull’impatto dei conflitti sui risultati sanitari, in particolare nel contesto della Somalia (…). Le sue pubblicazioni riflettono il suo impegno nella comprensione dei modelli di lesioni e mortalità negli incidenti di massa, con uno studio degno di nota che esamina questi aspetti a Mogadiscio dal 2013 al 2018. Questo lavoro, pubblicato sul Bangladesh Journal of Medical Science, evidenzia la necessità critica di risposte mediche efficaci nelle situazioni di crisi. (…) Attraverso il suo lavoro di studioso, il dottor Hassan mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle implicazioni sanitarie della guerra e a informare la politica e la pratica delle risposte mediche umanitarie. La sua dedizione al miglioramento dei risultati sanitari in Somalia lo posiziona come figura chiave nell’intersezione tra medicina e studi sui conflitti».

PERSINO il Presidente della Repubblica Federale di Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ha espresso in una nota ufficiale il suo profondo dolore e le sue condoglianze per la scomparsa del «dottor Mohamed, che è stato presidente del Consiglio nazionale degli operatori sanitari (NHPC), lasciando un’eredità di dedizione e servizio al popolo somalo» (…). È stato uno dei pilastri più importanti del settore sanitario, offrendo volontariamente il suo tempo per garantire la salute della comunità e producendo generazioni di professionisti sanitari qualificati che continuano a servire il popolo e il Paese» (…). Ci mancherai molto Mohamed, mancherai a tutti coloro che ti hanno conosciuto, apprezzato e amato.



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