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Allestita nella sala del Cenacolo a pochi passi da Montecitorio, l’esposizione “Prato, città fabbrica di tessuti e cultura”. Il Distretto tra storia e futuro mette in mostra figurini ideati dal designer Walter Albini per Latina, un’opera noir scritta nel 1982 da Luca Ronconi. Posta di fianco della Camera dei Deputati, si tratta di uno spazio poco noto dominato nella parete di destra da un grande affresco di autore ignoto dedicato all’Ultima Cena.
L’esposizione assomma più elementi di interesse. Primo fra tutti quello che avvicina la progettazione di un grande uomo di teatro come Ronconi a un grande designer di moda coma Walter Albini.
Così in “Prove di autobiografia” (Feltrinelli) Ronconi ricorda la sua opera: “Latina, il thriller sudamericano l’avevamo già messo in prova, in Umbria. Lo spettacolo non è mai andato in scena, gli interpreti erano scappati perché non avevano fiducia nella cosa. Ma c’era anche un altro motivo più prosaico: avevamo trovato del denaro, ma ci siamo resi presto conto che non bastava”.
Albini però i disegni preparatori per i costumi di scena li aveva già realizzati e ora alla Camera dei Deputati prende vita un’esposizione (partecipativa di pubblico-privato) dove il Comune di Prato, Il Museo del Tessuto che ha sede in città e un’azienda del territorio collaborano con l’intenzione di valorizzare il più grande distretto tessile d’Europa.
Prato è per popolazione il secondo Comune della Toscana e il quindicesimo della penisola. Città multiculturale per eccellenza conta 44.507 cittadini di origine straniera e 125 nazionalità. Qui operano 7.000 imprese nel settore della moda, oltre 2.000 specificamente nel tessile. Con 43mila dipendenti e 2,465 miliardi di euro in esportazioni, il distretto copre il 3% della produzione tessile europea.
Ma perché scegliere Walter Albini? Albini (Busto Arsizio, 1941 – Milano, 1983) gode di grande considerazione tra i connoisseur per essere stato in anticipo sui tempi in (quasi) tutto. Gli storici della moda guardano a lui come a una sorta di nume tutelare del prêt-à-porter che negli anni ’80 dello scorso secolo ha dato il via al successo internazionale del Made in Italy.
Dopo aver studiato all’Istituto d’Arte di Torino e poi alla Scuola di Moda Burgo di Milano, Albini muove i primi passi nel mondo della moda già negli anni ’60 lavorando come illustratore per Vogue e Women’s Wear Daily. Collabora con importanti case di moda francesi e italiane, tra cui Krizia, Montedoro e Cadette ma nel 1970 presenta la sua prima collezione costruita intorno all’idea di total look, concetto che diverrà comune solo dopo di lui. Per le fogge dei suoi abiti, caratterizzate da linee fluide e materiali di alta qualità, Albini si ispirava all’Art Déco e al Liberty; è stato lui a introdurre il concetto di unisex e di destrutturato nella giacca anche maschile, concetto poi sviluppato con enorme successo da Giorgio Armani.
Nonostante il suo talento, Albini faticò a gestire le dinamiche commerciali del settore e non fu immediatamente supportato dall’industria della moda italiana di quel periodo. È mancato prematuramente, a soli 42 anni, e se questa esposizione è certamente un omaggio e forse anche una riparazione.
Gli abiti ora esposti nella Sala del Cenacolo, realizzati dall’azienda pratese Balli il Lanificio, sono stati ricavati con cura “archeologica” dai suoi bozzetti, oggi di proprietà del Museo del Tessuto di Prato, nato nel 1975, oggi capace di oltre 11.000 oggetti, che includono tessuti, abiti e accessori antichi e contemporanei, costumi, attrezzi e macchinari.
Si tratta di una realtà dinamica, connessa alle fabbriche del territorio ma dotata di una sezione educativa che ogni anno eroga un programma di attività per le scuole di ogni ordine e grado (quasi 20.000 gli studenti tra il 2021 e il 2024), per i bambini e le famiglie, rafforzando anno dopo anno accessibilità e rafforzando l’inclusione.
C’è un’ulteriore ambizione in questa attività: quella di mettere in moto un turismo non così consueto per cui è stato già coniato l’acronimo “TIPO – Turismo Industriale Prato” accompagnato dallo slogan “Fabbriche raccontano storie”. L’intenzione è quella di attrarre visitatori nazionali e internazionali verso siti di archeologia industriale in un territorio nel quale la manifattura tessile è nata e che quel territorio ha plasmato.
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