Caso Manuela Murgia, nuovi indizi riaccendono i dubbi sulla sua morte

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A 30 anni dalla morte di Manuela Murgia, emergono nuovi elementi che mettono in discussione la versione ufficiale della sua scomparsa. La 16enne fu trovata senza vita il 5 febbraio 1995 nel canyon di Tuvixeddu, a Cagliari, e la sua morte fu archiviata come suicidio. Ma la famiglia non ha mai creduto a questa ipotesi e ora una nuova consulenza medico-legale sembra rafforzare i loro dubbi: Manuela potrebbe essere stata investita da un’auto prima di essere gettata nel dirupo.

Nuove domande sulla dinamica della morte

Il medico legale Roberto Demontis, incaricato dai familiari, ha depositato una relazione che solleva interrogativi importanti. Secondo l’analisi, il corpo della ragazza non presenterebbe fratture compatibili con una caduta da oltre 30 metri, come invece previsto dalla tesi del suicidio. La perizia descrive anche la presenza di residui di terriccio ed erba sugli indumenti della vittima, segni di trascinamento sul giubbino e lesioni longitudinali parallele e ferite puntiformi che potrebbero essere compatibili con l’impatto con un veicolo.

Se queste ipotesi venissero confermate, significherebbe che Manuela non si è tolta la vita, ma che qualcuno l’ha investita e poi trasportata fino al canyon, cercando di inscenare un suicidio.

La battaglia della famiglia

La famiglia di Manuela Murgia non ha mai smesso di cercare risposte. Lo scorso agosto, la Procura aveva respinto la richiesta di riaprire il caso, ma i parenti hanno continuato a battersi, raccogliendo elementi per contestare la versione ufficiale. La consulenza di Demontis rappresenta per loro un’ulteriore conferma che la verità possa essere diversa da quella ipotizzata quasi trent’anni fa.

Cosa accadde a Manuela Murgia?

Il 4 febbraio 1995, Manuela esce di casa e di lei si perde ogni traccia. Il giorno successivo, il 5 febbraio, una telefonata anonima alla Polizia indica dove trovare il suo corpo. Viene rinvenuta in fondo a un dirupo a Tuvixeddu, uno dei luoghi più impervi della città. Sin da subito, la sua morte viene catalogata come suicidio, ipotesi basata sulla dinamica della caduta.

Ma la famiglia ha sempre nutrito forti dubbi. Manuela non aveva mai mostrato segnali di disagio tali da far pensare a un gesto estremo. E poi c’era quella telefonata anonima: chi sapeva dove si trovava il corpo? E perché nessuno ha mai indagato su questo aspetto?

Le domande irrisolte della famiglia

Negli anni, i familiari di Manuela hanno raccolto una serie di elementi che, secondo loro, smentirebbero la versione ufficiale:

– Le ferite sul corpo non sarebbero compatibili con una caduta accidentale. Secondo la famiglia, i traumi riscontrati non giustificano l’ipotesi del suicidio.

– Le scarpe di Manuela erano pulite, nonostante fosse precipitata in un dirupo fangoso. Un dettaglio che, secondo i familiari, suggerisce che potrebbe essere stata gettata lì quando era già priva di vita.

– La telefonata anonima: chi ha chiamato per indicare il punto esatto del ritrovamento? Come faceva quella persona a sapere dove si trovava il corpo?

La richiesta di riaprire il caso e la risposta della Procura

Nel 2024, dopo quasi tre decenni di dolore e silenzio, la famiglia di Manuela ha chiesto formalmente alla Procura di Cagliari di riaprire le indagini, presentando nuove prove e testimonianze. La richiesta si basava su elementi emersi da analisi difensive, che avrebbero potuto ribaltare la versione ufficiale.

Tuttavia, nel luglio 2024, la Procura ha respinto la richiesta, giudicando insufficienti gli elementi presentati. Una decisione che ha lasciato sgomenti i parenti della ragazza, che hanno espresso tutta la loro delusione: “Manuela merita giustizia. Non ci fermeremo finché non sapremo la verità.”



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