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C’è Auser (250mila soci, 35mila volontari e decine di migliaia di persone assistite che ricevono servizi per un invecchiamento attivo e il miglioramento degli standard di vita) che insieme alla Fondazione Cariplo, all’Università degli studi di Milano-Bicocca e all’Istituto neurologico Carlo Besta, sta sperimentando Ampel (acronimo che sta per Artificial intelligence facing multidimensional poverty in elderly), un progetto di intelligenza artificiale sociale che ha l’obiettivo di intercettare e prevenire i sintomi dell’avvio di processi di povertà e deprivazione in popolazioni di anziani e non, anche immigrati, in genere di persone deboli.
«Un sistema di intelligenza artificiale che analizza le telefonate del servizio di ascolto “Filo d’argento”, riuscendo attraverso l’analisi vocale a estrarre segnali predittivi di eventuali cadute in povertà». Proprio così. «Segnali predittivi di carenze e bisogni». Intelligenza artificiale sì, ma sociale, spiega Vanni Rinaldi, giornalista e autore del libro Intelligenza artificiale sociale. Usare l’intelligenza artificiale per creare beni comuni digitali, edito da Rubbettino.
Un’altra intelligenza artificiale è possibile
Buone pratiche già avviate, non speranze, che già esistono e che nel testo di Rinaldi rispondono a queste domande: un’altra intelligenza artificiale è realizzabile? È possibile immaginare algoritmi che si nutrono dei nostri dati certo, ma che sono veramente al nostro servizio, per migliorare il benessere delle persone e non per il profitto dei tecno capitalisti? Certo che sì. Non solo esiste già, ma l’Europa ha creato il quadro legislativo perché si possa parlare di dati non in termini di predazione, ma di bene comune.
Intelligenza artificiale e bene comune
In poche parole, come spiega Rinaldi, parliamo di «esempi concreti di persone che già utilizzano l’intelligenza artificiale, non quella non quella big tech, costosissima, fatta sostanzialmente sottraendo i dati delle persone, ma usando i loro dati. E ce ne sono tanti di esempi che la usano già oggi per il bene comune».
L’analisi che traccia la mappa dell’intolleranza
C’è il lavoro dell’associazione Vox, che dal 2015 disegna una mappa dell’intolleranza analizzando «milioni di sms e messaggi social grazie ad un sistema di intelligenza artificiale che estrae attraverso l’analisi delle parole sensibili le dinamiche che riguardano sei gruppi sociali: donne, omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani.
La mappa dell’intolleranza, si legge nel testo, “è soprattutto un progetto di prevenzione, pensato per amministrazioni locali, scuole, associazioni che lavorano sul territorio. Per chiunque abbia bisogno di strumenti adeguati e mezzi di interpretazione di realtà sempre meno codificabili, per combattere l’odio e l’intolleranza”.
Centrale nel progetto la mappatura vera e propria dei tweet sui social, grazie a un software progettato dal Dipartimento di informatica dell’Università di Bari, una piattaforma di social network analytics & sentiment analysis, che utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per comprendere la semantica del testo e individuare ed estrarre i contenuti richiesti.
L’ai per le comunità energetiche rinnovabili
Oltre all’emersione delle povertà, all’analisi dell’intolleranza, al passaggio ad una sistema sanitario più centrato sulla prevenzione, c’è anche spazio per la transizione green e la sostenibilità delle energie rinnovabili. «Le comunità energetiche rinnovabili si basano sull’autoproduzione e l’autoconsumo, ma spesso non si riflette che, oltre agli elettroni, l’altro prodotto dell’energia rinnovabile sono i dati», quelli di consumo e quelli dei bisogni energetici.
«Le Cer producono una enorme mole di dati che può essere utilizzata dall’intelligenza artificiale per fornire dei servizi che già oggi esistono. Pensiamo al demand response, tecnologia che analizzando i dati di un insieme di utenti e della loro produzione di energia fa sì che i segnali di prezzo siano quelli più favorevoli a questi soggetti». Concretamente, fornisce l’orario più adatto per utilizzare certi elettrodomestici e risparmiare, in base al prezzo, calcolato con i livelli di produzione nella rete e sul picco di consumo.
I dati di qualità del Terzo settore
Il punto è, ragiona Rinaldi, è che l’intelligenza artificiale è uno strumento disponibile da 40 anni. Ne hanno beneficiato i diversi ambiti della ricerca, da quella medica a quella chimica (pensiamo all’ottimizzazione dei processi). «Negli ultimi 10 anni però la capacità computazionale è esplosa», al punto che «i “pirati del web” hanno iniziato ad estrarre enormi quantità di dati grezzi, sperimentando modelli di intelligenza artificiale su giganteschi dataset». Il risultato? La creazione di modelli non più deterministici, ma probabilistici. Predittivi.
Se dunque diventa determinante la qualità dei dati di cui si nutre l’algoritmo, «assume centralità il tema dei dati validi». Da qui, è necessario, per Rinaldi, «responsabilizzare quei soggetti che i dati li possiedono sì, ma che non hanno ancora compreso che da quei dati possono estrarre valore»: una ricchezza da impiegare per sociale. Il riferimento è «ai corpi intermedi, al mondo dell’economia sociale e al mondo del Terzo settore. Pensiamo «all’enorme quantità di dati di valore che c’è nelle associazioni del Terzo settore che si occupano ad esempio di disabilità e di assistenza agli anziani».
Il tesoro del non profit
In questo quadro, ricorda Vanni, è importante, come emerge dal volume, è “liberare i dati dei server e fare in modo che diventino bene comune al servizio dei cittadini” e dei «bisogni delle persone». Un passaggio «cognitivo e culturale. Il Terzo settore», aggiunge ancora, «è seduto su una grande ricchezza».
L’orizzonte del mutualismo digitale
Dunque che fare e come fare? Dare il giusto valore ai dati, spiega Rinaldi, vuol dire organizzarli e gestirli, attraverso delle reti fiduciarie. Centrali in questo disegno sono gli aggregatori di dati, che valorizzano queste informazioni attraverso specifici servizi di intermediazione, tra cui le cooperative di dati, «non a caso, unica definizione giuridica di un soggetto da parte del legislatore europeo». Per Rinaldi «il modello cooperativo dal punto di vista della condivisione, in questo caso dei dati, è il modello più efficace di mutualismo».
In apertura foto di Alberto Rodríguez Santana per Unsplash. Nel testo la foto di Vanni Rinaldi è dell’autore
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