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Gabriella Beatrice (1946-2025) con la figlia Claudia e il marito ex calciatore Bruno Beatrice morto a 39 anni nel 1987
Non c’è morte più ingiusta, di quella che può colpire una persona che ha vissuto e lottato tutta la vita per la verità senza ottenerla. E’ la storia ingiustissima di Gabriella Bernardini, che si è spenta ieri ad Arezzo a 78 anni. Gabriella era la moglie del mediano della Fiorentina anni ’70 Bruno Beatrice, “ucciso” il 16 dicembre del 1987, a soli a 39 anni «per una leucemia linfoblastica, a causa di un ciclo scellerato di raggi Roentgen». Una storia insabbiata, con inchieste e processi finiti nel nulla, ma nonostante tutta l’omertà che da sempre ruota intorno al mondo del calcio Gabriella non si è mai arresa. E nella sua battaglia con la forza dell’amore di moglie e di madre ha trascinato i suoi due figli, Claudia e Alessandro diventati orfani di quel papà, idolo e orgoglio viola della Curva Fiesole, a 10 anni e 8 anni. Gabriella è stata la “vedova courage” delle tante morti bianche del pallone diventate mistero e nel caso di Beatrice, capitolo principale del “Giallo Viola”.
«Che mio marito sia morto per colpa del calcio lo grido da quasi 40 anni… Ora spero che il mio appello (uno dei tanti recapitati ad Avvenire) scuota un attimo le coscienze di quei signori del Palazzo del pallone che fino ad oggi si sono trincerati dietro un vergognoso muro di omertà». Ha chiesto verità e giustizia fino all’ultimo respiro assieme a tutta la sua famiglia, l’unica squadra rimasta sempre unita in questa difficilissima battaglia legale. «Ci sono perizie mediche e indagini dei Nas di Firenze che dicono che quel ciclo criminale di Roentgen a cui Bruno venne sottoposto dalla Fiorentina (dal marzo al giugno del 1976), per guarire da una semplice pubalgia, l’hanno stroncato, portandocelo via troppo presto…». Gabriella con i suoi figli, nel nome del padre, aveva anche fondato una associazione “calciatori vittime del doping” nella speranza di fare rete e magaridi creare una class action che chiarisse le tante, troppe morti di calciatori coetanei di Bruno Beatrice. «È tempo che si vada a fondo una volta per tutte su quella di Beatrice, ma anche sulle altre morti e i malati della Fiorentina degli anni ’70… Chissà quante porcherie c’erano dentro le flebo che gli facevano? Che gli davano sostanze – Micoren, Cortex – ormai lo sappiamo con certezza. Il suo compagno di squadra Nello Saltutti prima di morire d’infarto lo confermò a me e agli inquirenti». Oltre a Beatrice e Saltutti ci sono state altre 3 morti sospette in quella Fiorentina: Ugo Ferrante, Giuseppe Longoni e Massimo Mattolini. Oltre alle malattie di Domenico Caso (tumore), Giancarlo Antognoni (infarto) e Giancarlo Galdiolo, morto di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica).
Storie dimenticate, mentre il caso Beatrice con le unghie e con i denti continua a tenere viva l’attenzione di pochi, nonostante l’iter giudiziario del sia iniziato nel lontano 1997 quando Gabriella presentò l’esposto per la morte del marito alla Procura di Arezzo. «Scrissero due paginette e archiviarono di corsa», ricorda la vedova Beatrice che con i suoi figli aveva sperato in una coda risolutiva in sede penale, specie dopo la riapertura dell’inchiesta coordinata dal pm Luigi Bocciolini ed eseguita dai carabinieri dei Nas di Firenze. «Nonostante le cartelle cliniche di quella squadra erano sparite, si ipotizzava l’omicidio preterintenzionale.
Alla fine però, niente processo e inchiesta archiviata per prescrizione. Eppure, dalle indagini e dagli interrogatori, è comunque emersa una realtà che parlava di “sperimentazione medica” effettuata su Beatrice e i compagni di quella formazione viola». Ha lottato come una leonessa la “Gabri” come la chiamavano affettuosamente i suoi figli e i nipoti che non ha mai smesso un giorno di ricordare che la morte di Bruno doveva avere dei colpevoli. «E sia ben chiaro che da questa vicenda la famiglia Beatrice non cerca risarcimenti, ma vuole che tutti conoscano la verità sul come sia stato possibile che un giovane sportivo sia assurto a vittima di interessi privati che con il calcio non dovrebbero avere nulla a che fare… Quello che trovo scandaloso è che quasi tutti quelli che potevano partecipare alla nostra battaglia sono spariti nel nulla. Ringrazio solo chi ha inventato i ricordi, solo quelli mi fanno sentire Bruno ancora vivo». La perdita di Gabriella è l’ennesima sconfitta di chi crede ancora nella giustizia e nella verità, ma grazie al suo insegnamento rimane una duplice speranza. Una, che la sfida processuale per i suoi figli e per quelli che gli staranno sempre vicini (a cominciare dalla Regione Toscana che proprio ieri ha espresso alla famiglia la massima solidarietà e collaborazione nella risoluzione del “caso” Beatrice) non è ancora finita. L’altra è che l’amore infinito coltivato in tutti questi anni da Gabriella ora gli ha permesso di poter riabbracciare il suo Bruno.
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