SCAPPÒ NEL ‘75, ORA LO AMMETTE Azzolini sul caso Gancia non rivela di aver ucciso il carabiniere D’Alfonso. In assise, la Procura: andiamo avanti, c’è tanto da chiarire

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Si è deciso a parlare, Lauro Azzolini. “C’ero quel giorno alla cascina Spiotta, sono io il brigatista fuggito…”. Cinquant’anni dopo il sequestro di Vittorio Vallarino Gancia durato meno di un giorno, dal 4 al 5 giugno ’75, che costò la vita all’appuntato pennese dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, 45 anni e papà di tre figli piccoli, e a Margherita Cagol, trent’anni, la consorte di Renato Curcio e cofondatrice delle Brigate Rosse, l’ex terrorista ha rotto il silenzio.

A 82 anni dopo 26 di carcere duro e da dissociato quale fu, Lauro Azzolini (difeso da Davide Steccanella) ha affidato ad una dichiarazione scritta le sue rivelazioni. Ma non quella di aver ucciso direttamente D’Alfonso che nella pattuglia dei carabinieri di Acqui, guidata dal tenente Umberto Rocca, menomato per sempre e composta da Rosario Cattafi e Pietro Barberis, scoprì la cascina Spiotta, il luogo di reclusione dell’ostaggio che valeva un miliardo di lire di riscatto. Il processo dunque ha vissuto questo colpo di scena clamoroso, figlio comunque di una strategia difensiva tesa forse ad ammorbidire la corte d’Assise di Alessandria che sta processando anche Mario Moretti e Renato Curcio, responsabili dell’organizzazione e del seqestro come da loro stessi ammesso nei rispettivi libri di memorie.

“Quello – ha aggiunto Azzolini – fu un giorno maledetto che non dimenticherò mai. È successo ciò che non doveva mai succedere. Il dolore è incancellabile”. Ha anche invitato i giudici a richiamarsi al memoriale che all’epoca dei fatti scrisse in forma anonima a uso interno delle Br: “Lo leggerete voi, io non ci riesco. Il dolore mi trafigge come una lama. L’ultima immagine che ho di Mara Cagol, e che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava di non sparare. Uscito dalla mia vettura mi affiancai a Mara che era già sul prato. Notai che sanguinava da un braccio. Le chiesi se era ferita. Mi disse di sì ma che non era niente e che, se c’era ancora l’occasione, di tentare di fuggire. Risposi che avevo ancora una una bomba a mano. Al suo cenno la lanciai e mi misi e correre verso il bosco convinto che Mara mi avrebbe seguito. Raggiunto il bosco mi accorsi che lei non c’era. Guardai verso il prato della cascina e l’ultima immagine di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate”.

Ma comunque il processo va avanti. “Ci sono ancora dei coni d’ombra”, ha dichiarato il Pm Emilio Gatti che, insieme al collega Ciro Santoriello, sostiene l’accusa al processo voluto dai figli dell’appuntato D’Alfonso. Il magistrato ha ribadito la richiesta di interrogare, oltre allo stesso Azzolini, anche gli altri due imputati, Renato Curcio e Mario Moretti, capi storici delle Br. “Come pubblici ministeri – ha spiegato – noi cerchiamo la verità, e riteniamo che sia nel memoriale del 1975 che nelle dichiarazioni di oggi restino dei coni d’ombra. Lo diciamo con rispetto, visto che si tratta dei ricordi di una persona di 82 anni su una vicenda di mezzo secolo fa”.

Gatti ha ricordato che Azzolini si dissociò dalle Brigate Rosse con una dichiarazione resa il 27 marzo 1987. “In quell’occasione disse cose molto importanti e si dichiarò colpevole sia dei reati per i quali era già stato condannato sia per i reati che gli erano contestati nei procedimenti pendenti. Ma non parlò di quello sulla Cascina Spiotta perché, a mio parere, non ne conosceva l’esistenza: io credo che lo abbia saputo quando noi gli abbiamo comunicato di averlo iscritto nel registro degli indagati”.

Azzolini, per la sparatoria alla Spiotta, fu prosciolto in istruttoria nel 1987 ad Alessandria, ma il fascicolo scomparve nell’alluvione del ’94. Intanto, la procura ha chiesto una perizia con cui comparare le impronte rilevate all’epoca sul furgone utilizzato per il sequestro Gancia e sulla lettera che richeideva il riscatto con quelle di Mario Moretti. Bruno d’Alfonso è sconcertato. Sergio Favretto, con i colleghi di parte civile Nicola Brigida e l’ex giudice Guido Salvini, ha commentato:“Questa di Azzolini è una novità assoluta, ma arriva dopo tre anni di lavoro della procura di Torino che ha inchiodato gli imputati. Quindi l’ammissione avviene perché ci sono prove inconfutabili che giungono dalle impronte digitali e dalle intercettazioni”.

“Sono tuttavia ancora necessari degli approfondimenti. Il documento contiene parecchi dettagli sulla morte di Mara Cagol, ma su ciò che è successo prima, e su chi ha sparato al carabiniere D’Alfonso, sorvola un po’. Ecco perché il processo deve continuare”. 

Berardo Lupacchini



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