Le vite e i destini incrociati di Sergio Cosmai, Filippo Salsone e Nicola Calipari

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COSENZA La memoria torna al 12 marzo di quarant’anni fa, quando per le vie di Cosenza si sparava nel solco di una sanguinosa faida che non risparmiato nessuno: malandrini e uomini innocenti. In quel clima di tensione, odio e proiettili si inserisce il delitto di Sergio Cosmai, direttore del carcere bruzio assassinato nel 1985 mentre andava a prendere a scuola sua figlia.
Questa mattina, nel palazzo di Provincia a Cosenza, il ricordo di un uomo di Stato che ha fatto, a costo della vita, fino in fondo il proprio dovere. Presenti, al tavolo dei relatori, oltre alla presidente Rosaria Succurro, anche il docente Unical Giap Parini, il giornalista Arcangelo Badolati, il procuratore della repubblica Vincenzo Capomolla e Domenico Mammolenti (qui la sua intervista), storico collaboratore di Sergio Cosmai e la direttrice del carcere di Cosenza Maria Luisa Mendicino.



La bambina con il vestito rosa

C’è una immagine che torna costantemente nei numerosi flashback che rimandano al fatto di sangue, quella di una bimba di due anni, Rossella, che attende fuori dall’asilo l’arrivo del papà: Sergio Cosmai. Uomo sempre sorridente, estremamente puntuale e fermo nel contrastare abusi e soprusi mafiosi all’interno dell’istituto penitenziario che dirige. Mancava poco al suo ritorno in Puglia, l’avventura cosentina stava terminando ma Cosmai non poteva immaginare di trovare la morte. Badolati ricorda quanto accaduto. «Telefona alla moglie Tiziana Palazzo che, a casa è in dolce attesa, sale su una vecchia 500 e si dirige verso l’asilo».

Un uomo semplice, amico di Calipari

Sergio Cosmai si muove senza scorta, non ha nulla da temere, fa sempre e solo il suo lavoro. Ha pochi amici, come Nicola Calipari dirigente della Squadra Mobile prima e Vice Capo di Gabinetto poi della Questura di Cosenza. Il funzionario di polizia in servizio al Sismi, specializzato in “missioni impossibili”, morirà da eroe il 4 marzo di 20 anni fa a Baghdad, colpito dal “fuoco amico” americano al termine di una rischiosa operazione per la liberazione di Giuliana Sgrena, la giornalista del “Manifesto” rapita in Iraq.

Il commando

Le lancette dell’orologio scorrono impietose e quella bimba non vede arrivare il papà, è smarrita, ha solo due anni. Una maestra le tiene la manina e riempie l’attesa fino all’arrivo di due poliziotti che annunciano la tragedia: un commando di killer ha ucciso Sergio Cosmai. Un omicidio voluto dal boss Franco Perna, condannato all’ergastolo e mai pentitosi, deciso a dimostrare di essere il capo e di non accettare il rifiuto di Cosmai di piegarsi alla sua volontà.
Tiziana Palazzo, a casa, non sa nulla: saranno dopo alcuni poliziotti ad informarla dell’accaduto. Intanto l’ambulanza con a bordo Sergio Cosmai corre verso Trani, morirà in Puglia dove si celebrerà il processo sulla sua morte. Nicola Calipari dirige le indagini e insieme ai suoi uomini intercetta un testimone: è un ragazzino, ma ha visto tutto e racconta agli investigatori i dettagli dell’accaduto. I quattro assassini saranno arrestati, processati e condannati in primo grado all’ergastolo. Ma poi arriva la beffa. La Corte d’Appello di Bari assolve tutti. Stessa sentenza confermata in Cassazione.
Dieci anni dopo, il 26 novembre del 1996, nel corso del processo “Garden”Mario Pranno confesserà: «Consegnammo settanta milioni ai fratelli Bartolomeo. Servivano a risolvere le loro cose». Un anno dopo, sempre durante il “Garden”, sarà il pentito Franco Garofalo a rendere dichiarazioni in relazione al delitto. «Per aiutare i fratelli Bartolomeo, condannati all’ergastolo in primo grado per l’omicidio Cosmai, fu cacciata una certa somma data a una persona di Bari».

La morte di Salsone

La morte di Cosmai aveva permesso al clan Perna di mostrare i muscoli. L’altro clan, “Pino-Sena“, non poteva rimanere fermo e decise la morte del collaboratore del direttore del carcere, il maresciallo Filippo Salsone. Il 7 febbraio del 1986, dal secondo piano di un palazzo in costruzione, a una trentina di metri da casa Salsone, partono una serie di colpi di arma da fuoco. Il maresciallo 43enne viene colpito a morte. Il commando, in quell’occasione conclude con successo il progetto omicidiario lontano da Cosenza, a Brancaleone dove Salsone si reca insieme al figlio (rimasto ferito nell’agguato) per andare a trovare i genitori. Franco Pino, anni dopo, si autoaccusa di essere il mandante di quell’omicidio, asserendo di aver “armato” alcuni soggetti di Africo. Poi il vuoto e l’attesa di giustizia. (f.benincasa@corrierecal.it)

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