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Gli eurodeputati hanno votato in blocco per l’aumento delle spese di difesa: la maggioranza va dai meloniani ai Verdi europei. Ma FdI si astiene sulla risoluzione per «il sostegno incrollabile all’Ucraina» per non stigmatizzare il voltafaccia degli Usa
A dispetto della ridda di divisioni dentro gruppi, partiti e coalizioni, il dato di fatto è che il piano di riarmo di Ursula von der Leyen ottiene l’appoggio politico dell’Europarlamento. L’appoggio è indiretto, dato che la presidente di Commissione ricorre alle leve emergenziali che le consentono di scavalcare l’aula; tuttavia la «risoluzione sul libro bianco per il futuro della difesa europea» dice di sì all’ampliamento di spese e impegni militari dell’Unione, e lo fa con ampia maggioranza: 419 favorevoli su 669 votanti; 204 i contrari, 46 astensioni.
Per riassumerla a grandi linee, la «maggioranza ReArm» è quel che Manfred Weber – il leader dei Popolari europei che per primo ha normalizzato l’estrema destra meloniana – sognava e rivendicava un po’ provocatoriamente dopo la rielezione di von der Leyen: un arco capace di allargarsi tanto ai Verdi europei quanto ai Conservatori meloniani.
«Investire su difesa e sicurezza è una cosa per noi assolutamente giusta», ha ribadito il capogruppo meloniano di Ecr, Nicola Procaccini, rammaricato che non sia passata la richiesta di Meloni (formulata dai suoi con tanto di emendamento) di operare un rebranding, non ReArm ma Defence, «perché la difesa è di più, non solo armi ma infrastrutture, materie prime, cybersicurezza…».
Il versante sul quale davvero Giorgia Meloni e i suoi avamposti europei hanno tentato di differenziarsi è quello che tocca Donald Trump, al punto che la stra-votata risoluzione «per un incrollabile sostegno all’Ucraina» – che stigmatizza il voltafaccia di Washington – si scontra ora con l’astensione di FdI.
La maggioranza ReArm
La risoluzione sulla difesa non rappresenta un voto sul piano ReArm, ma offre un quadro sulle prospettive strategiche auspicate dall’Europarlamento, in vista del libro bianco sulla difesa che la Commissione europea presenterà la prossima settimana, prima del vertice dei leader europei di giovedì e venerdì. Nel testo approvato si supporta in vari modi lo slancio militarista.
Per citare alcuni passaggi, si «sostiene fermamente l’idea per cui gli stati devono aumentare i finanziamenti per la difesa» citando a esempio chi raggiunge il 5 per cento del Pil (la Polonia); si «ritiene che l’Ue debba agire con urgenza per garantire la propria sicurezza in modo autonomo», si «esorta l’Ue e i suoi stati membri a stare fermamente dalla parte dell’Ucraina», si «esorta la Commissione e gli stati a sfruttare appieno gli insegnamenti tratti dalle avanzate capacità belliche dell’Ucraina, che comprendono droni e guerra elettronica», si «invita la Commissione a proporre un pacchetto Ue sui droni».
Tra le altre cose, si «reputa opportuno modificare i piani di ripresa (Pnrr) per lasciare spazio a nuovi finanziamenti per la difesa». In termini strategici, niente strappi con Nato, Usa e armi Usa: si «ribadisce l’importanza della cooperazione tra Ue e Nato» e si ritiene che «occorra ogni sforzo per mantenere e promuovere la cooperazione transatlantica in ogni ambito del settore militare e della difesa, ricordando al contempo la necessità di promuovere la difesa europea».
Ha votato a favore la stragrande maggioranza di Popolari, socialisti, liberali, conservatori e verdi. Contraria la sinistra europea, i Patrioti (dunque la Lega sul versante opposto di FdI e Forza Italia) e i Sovranisti, un pugno di verdi (tra cui gli italiani). Tra gli astenuti, la gran parte del partito democratico.
Vale la pena notare anche che l’Europarlamento ha votato contro se stesso, ovvero ha rifiutato di difendere il proprio ruolo, bocciando l’emendamento che «deplora» l’uso da parte di von der Leyen di una leva emergenziale (l’articolo 122 TFUE) per scavalcare l’aula segnalando «preoccupazione per l’esclusione del Parlamento dal processo decisionale». Hanno votato contro l’emendamento 77 pure quei gruppi e capigruppo che a parole avevano stigmatizzato la scelta del 122, a cominciare da Weber (Ppe) che poco prima lo ha fatto davanti a von der Leyen. Contrari in blocco i Conservatori, i Popolari, i socialdemocratici capogruppo inclusa (ma ha votato a favore il Pd, tranne Annunziata, Bonaccini e Picierno), quasi tutti i liberali.
Meloni guarda a Trump
Il fatto che i meloniani siano integrati nel mainstream del riarmo non significa che non stiano anche strizzando l’occhio a Trump. Lo si è visto anzitutto dall’astensione nella risoluzione su Kiev (approvata con 442 voti a favore su 662 votanti). Il testo è molto critico verso le mosse del presidente Usa, i suoi voltafaccia verso gli ucraini e i tentativi di marginalizzazione degli europei. «Meloni lavora al riavvicinamento tra le due sponde dell’Atlantico e non ad approfondire le differenze che ci allontanano, dunque non potevamo esimerci dall’astenerci, ed è la prima volta in una risoluzione sull’Ucraina», ha spiegato il capodelegazione di FdI Carlo Fidanza.
Persino più accomodanti verso Trump suonano le risposte di Procaccini sui dazi: nonostante l’Ue si sia svegliata con i dazi Usa contro acciaio e alluminio in vigore, il capogruppo di Ecr dice che «intanto al momento non ci sono dazi, gli unici esistenti sono quelli che applica l’Ue contro gli Usa; ci sono dazi reciproci da tempo ma con squilibrio da parte europea».
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