il distretto contro il caporalato

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Il distretto frutticolo di Saluzzo è uno dei più importanti d’Italia, secondo solo al Trentino Alto Adige per la produzione di mele. Il comparto agricolo locale oggi impiega circa 14 mila stagionali, di cui la maggior parte stranieri. Se fino a qualche tempo fa questi lavoratori vivevano in condizioni precarie e in situazioni di sfruttamento, oggi al contrario, grazie a interventi mirati e collaborazioni tra istituzioni e organizzazioni locali, questa emergenza si è trasformata in un modello virtuoso: se ne parla nel nuovo dossier dell’associazione Terra!

Dalla Redazione

Il distretto frutticolo di Saluzzo oggi impiega 14 mila stagionali, la maggior parte stranieri

Nuove forme di intermediazione illecita, manodopera straniera sempre più ricattabile, prezzi imposti dalle catene della Gdo, la questione abitativa. Sono solo alcuni dei fattori che hanno favorito il dilagare del caporalato in agricoltura anche in settentrione: l’associazione Terra! li prende in esame nel suo ultimo dossier “Gli ingredienti del caporalato – Il caso del Nord Italia”, presentato in anteprima la scorsa settimana a Milano. A finire sotto la lente di ingrandimento sono questa volta quattro regioni: Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia. 

Quello che emerge dal dossier è un quadro allarmante e mutevole, fatto di tecniche talvolta sofisticate e per certi versi “innovative” che le aziende che decidono di muoversi nell’illegalità stanno affinando, per comprimere ancora di più il costo del lavoro senza essere scoperte. Come, ad esempio, il ricorso a cooperative “spurie”, che forniscono servizi agricoli e manodopera ma sono prive di appezzamenti, hanno sedi fittizie e sfruttano i buchi normativi per eludere i controlli. Il dossier di 140 pagine è ricco e dettagliato e prende di mira in particolar i distretti vinicoli. Ma ci sono solo cattive notizie. Nel dossier infatti c’è un capitolo dedicato a Saluzzo, fruit valley piemontese, che da caso emergenziale di sfruttamento e lavoro irregolare oggi, grazie a un percorso virtuoso di collaborazione tra istituzioni, produttori e associazioni di categoria, si è trasformata da epicentro del problema a modello di possibile alternativa.

La fruit valley del Cuneese

 Saluzzo è una cittadina di circa 17 mila abitanti, in provincia di Cuneo, ed è il cuore pulsante del nuovo “Di­stretto del cibo e della frutta”: ci sono 8 or­ganizzazioni di produttori (OP) nella zona, oltre 16 mila ettari di superfici coltivate e oltre 7 mila addetti, a cui si aggiungono quasi 14 mila sta­gionali. La Provincia di Cuneo rappre­senta tra il 70 e l’85% della produzio­ne frutticola di tutto il Piemonte; più del 70% delle mele del Piemonte, il 97% delle nettarine e una parte signi­ficativa di altre colture – tra cui i piccoli frutti e la frutta in guscio – si concentrano qui.

Negli ultimi vent’anni, la frutticoltura saluzzese ha subito importanti trasformazioni. Mentre la superficie coltivata a frutta fresca è diminuita da oltre 18 mila ettari agli attuali 16.800, il melo è diventato la coltura principale, con una produzione di 3,5 milioni di quintali su 7 mila ettari, rendendo il Piemonte la seconda regione produttrice italiana dopo il Trentino-Alto Adige. Per contro è diminuita la superficie destinata a kiwi – altra importante produzione di questo territorio -, per le note problematiche fito­sanitarie che riguardano in particolare quello a polpa verde.

La culla delle mele

La Mela Rossa di Cuneo Igp è una delle eccellenze frutticole del Piemonte. Certificata dal 2013, l’80% della produzione è destinato all’estero grazie al suo colore vivace, apprezzato nei mercati internazionali. Le varietà principali sono Gala (42%), Red Delicious (20%), Fuji (6%) e Braeburn.

Il costo di produzione (+ 10% rispetto al 2023) varia tra 0,44 e 0,57 euro al chilo, si legge nel report di Terra!. Oggi l’impianto di un meleto costa tra 50.820 e 57.600 euro all’ettaro, ammortizzabili in 15-17 anni. Il prezzo all’ingrosso oscilla tra 0,80 e 1,30 euro al chilo, ma i produttori ricevono meno a causa delle trattenute delle Op, sottolinea il report.

Negli ultimi anni è cresciuta la produzione delle mele “club”, che rappresentano il 14% del mercato. Le principali sono Ambrosia, Crimson Snow e Samboa: queste garantiscono prezzi migliori, ma l’eccesso di varietà sul mercato sta riducendo i vantaggi, secondo i produttori intervistati da Terra!. Si sono inoltre diffuse varietà resistenti alla ticchiolatura, come Inored Story, Opal e Regalyou (Candine), più rustiche e con minori esigenze di trattamenti.

Infine, la Regione Piemonte ha lanciato nel 2023 il marchio Piem­la21 (“prendila” in piemontese), per promuovere e valorizzare le mele piemontesi. Il marchio, che oggi coinvolge quattro catene della Gdo (Carrefour, Bennet, Depar e NovaCo­op), mira a sostenere i produttori locali e garantire un prodotto di qualità ai consumatori. Tuttavia, sempre secondo i produttori intervistati, al momento è stata un’occasione persa per organizzare un tavolo con la Gdo e ragionare su un prezzo minimo di vendita.

Saluzzo Mela Rossa di Cuneo Igp

La Mela Rossa di Cuneo Igp

La manodopera straniera nel distretto di Saluzzo

Il settore frutticolo saluzzese si caratterizza per una forte dipendenza dalla manodopera straniera, in gran parte costituita da lavoratori stagionali subsahariani. Fino a pochi anni fa, centinaia di braccianti agricoli erano costretti a vivere in accampamenti di fortuna, in condizioni igienico-sanitarie precarie. La mancanza di soluzioni abitative dignitose ha spesso esposto i lavoratori a situazioni di ricatto e sfruttamento. Il problema non riguardava solo l’alloggio, ma anche il rapporto di lavoro. In passato, una larga fetta della manodopera agricola operava in nero o in condizioni irregolari. Il lavoro a cottimo era diffuso, soprattutto nella raccolta dei mirtilli, e molte aziende non rispettavano i contratti nazionali, pagando i lavoratori meno del minimo previsto.

Uno dei fenomeni più preoccupanti – sottolinea il report di Terra! – era il cosiddetto “conferimento a prezzo aperto”, che penalizzava i piccoli produttori. Gli agricoltori consegnavano la frutta ai magazzini e alle cooperative, ma il prezzo effettivo di vendita veniva stabilito solo mesi dopo, spesso al di sotto dei costi di produzione. Questo sistema ha ridotto i margini di guadagno per le aziende agricole, rendendole più inclini a tagliare i costi della manodopera o ad accettare pratiche irregolari.

Dalla crisi alle soluzioni: l’evoluzione del modello Saluzzo

Negli ultimi anni, tuttavia, un insieme di interventi ha contribuito a cambiare radicalmente il quadro della manodopera stagionale a Saluzzo. La svolta è avvenuta grazie alla collaborazione tra enti pubblici, associazioni di categoria, organizzazioni del terzo settore e aziende agricole.
Uno dei primi passi è stato l’avvio di un sistema strutturato di accoglienza, con maggiori posti letto a disposizione nelle strutture locali dedicate all’accoglienza dei lavoratori stranieri, che pagano una cifra simbolica di 1,50 euro al giorno, mentre le aziende agricole contribuiscono con una quota di 4 euro più Iva al giorno per ogni lavoratore ospitato. Le organizzazioni di categoria forniscono un contributo forfettario per sostenere la gestione del sistema. Questa iniziativa ha permesso di garantire soluzioni abitative dignitose ai lavoratori stagionali, riducendo sensibilmente il fenomeno delle baraccopoli e il rischio di sfruttamento.

Miglioramenti nelle condizioni lavorative e inclusione sociale

L’accesso a un alloggio regolare ha avuto un effetto positivo anche sulla trasparenza nei rapporti di lavoro. Sempre più braccianti sono oggi regolarmente contrattualizzati, con un aumento delle giornate lavorative dichiarate in busta paga. In parallelo, sono stati sviluppati programmi di supporto sociale e formativo. Presso i centri di accoglienza, i lavoratori possono usufruire di servizi di assistenza sanitaria, sportelli di orientamento al lavoro e corsi di lingua italiana. Questo ha facilitato l’integrazione di alcuni migranti nel tessuto locale, consentendo loro di trovare impieghi anche al di fuori del settore agricolo. Un esempio concreto è il progetto Common Ground, che ha permesso a diversi ex braccianti di essere impiegati in supermercati e altre attività locali, favorendo una maggiore stabilità lavorativa e abitativa.

Le sfide ancora aperte

Nonostante i progressi, il sistema di accoglienza di Saluzzo presenta ancora delle criticità. La disponibilità di posti letto resta inferiore alla domanda, e all’inizio della stagione agricola alcuni lavoratori continuano a dormire nei parchi pubblici. Inoltre, una parte della manodopera stagionale è ospitata direttamente dalle aziende, senza un adeguato monitoraggio sulle condizioni di alloggio e lavoro.

Un altro nodo cruciale è il rapporto con la Gdo. Molti produttori denunciano di non avere potere contrattuale e di essere costretti a vendere la frutta a prezzi imposti dalle catene, spesso inferiori ai costi di produzione. Questa dinamica rende difficile per le aziende agricole garantire condizioni salariali adeguate ai lavoratori, nonostante i progressi in termini di legalità.

Anche se non è un modello perfetto, quello di Saluzzo oggi è un esempio concreto di come il caporalato non sia inevitabile. È un’esperienza virtuosa che dimostra che, con interventi mirati e con il coinvolgimento attivo delle istituzioni, si possano migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti agricoli per costruire un’agricoltura più giusta.

Copyright: Fruitbook Magazine





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