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di Rita Cantalino
La crisi climatica e le sue conseguenze come insicurezza alimentare e scarsità d’acqua influenzano fortemente i conflitti armati. Quando non ne sono causa, tendono ad inasprirli. Nel rapporto annuale sulle Minacce Ecologiche Globali del 2024, gli analisti dell’Institute for Economics & Peace individuano una relazione direttamente proporzionale: più i paesi sono sottoposti a rischio ecologico, più è elevata la probabilità che siano teatro di conflitti e di insicurezza sociale. Spesso in concomitanza ci sono ulteriori fattori aggravanti come pressione demografica e cattiva governance.
Dei 207 paesi e territori analizzati dal report, 50 sono esposti a livelli alti o molto alti di minacce ecologica. In questo momento ci vivono poco meno di 1,3 miliardi di persone ma i trend demografici ci dicono che, entro il 2050, saranno quasi due miliardi. Già adesso si tratta di territori sotto forte stress. I prezzi non sono mai tornati ai livelli pre Covid: quelli alimentari restano ancora superiori di quasi il 25%. A partire da oggi e per le prossime settimane analizzeremo il quadro delle principali minacce ecologiche. In questo primo approfondimento ci confronteremo con la situazione globale; il focus della prossima settimana sarà sulla relazione tra clima e conflitti armati nel mondo; il terzo appuntamento sarà invece dedicato nello specifico alla regione più esposta: l’Africa sub sahariana, dove insicurezza alimentare e stress idrico aumenteranno del 70% entro la metà del secolo.
*Foto di Md. Hasanuzzaman Himel su Unsplash, di seguito una tabella con I paesi più esposti a minacce ecologiche
I trend demografici e le loro implicazioni nei conflitti
L’aumento della popolazione e il degrado ambientale sono strettamente correlati nell’insorgere di conflitti: l’aumento demografico genera maggiore urbanizzazione e diffusione delle attività economiche, spesso oltre le possibilità di sopportazione dei territori. La crescita demografica maggiore nei prossimi anni riguarderà proprio gli Stati meno pacifici del mondo. I cinque paesi con tassi di fertilità più alti sono in Africa subsahariana: Niger, Chad, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana. I primi quattro hanno un tasso di più di sei figli per donna.
In Europa, Russia ed Eurasia la crescita demografica sarà prossima allo zero. Solo 14 dei 42 Paesi europei avranno tassi di crescita demografica positivi. Entro il 2050 Bulgaria, Lettonia e Moldavia perderanno il 20% della popolazione. Negative anche le previsioni per l’area Asia-Pacifico, che ospita tre dei cinque paesi con il tasso di fertilità più basso nel 2022: Cina, Singapore e Corea del Sud, che ha il tasso più basso al mondo, meno di un figlio per donna. Gli altri due sono in Europa: Italia e Spagna.
I Paesi con alta natalità vedranno una rapida espansione della popolazione al di sotto dei 25 anni, il cosiddetto youlth bulge. In Africa sub sahariana sono già 750 milioni e diventeranno un miliardo entro il 2050. Il fenomeno ha conseguenze economiche e politiche: crescono le fragilità, diminuisce la resilienza e aumentano le probabilità di conflitti, in particolare di quelli senza componente etnica. L’elemento determinante è la pressione dei giovani sul mercato del lavoro. La maggiore conflittualità è evidente nei regimi autocratici ma si manifesta anche in quelli democratici. La tendenza globale da parte dei governi è la chiusura degli spazi democratici.
Scarsità alimentare e idrica
Il rischio idrico è una delle principali minacce ecologiche globali. In tutto il mondo 2 miliardi di persone non hanno accesso ad acqua potabile sicura; 3,6 miliardi non hanno accesso a servizi igienici sicuri. La disponibilità di acqua in alcuni casi è un elemento determinante nelle relazioni internazionali, come quando ci sono fiumi che attraversano più paesi: le aree a monte hanno maggiore capacità di controllare la risorse. Questa va poi scemando man mano che si scende a valle. Succede ad esempio con il Nilo nel nord-est dell’Africa, o con il Mekong nel sud-est dell’Asia. In entrambi i casi la scarsità idrica ha colpito i mezzi di sussistenza di milioni di persone che abitano nelle aree a valle.
Il rischio idrico non è legato alla disponibilità complessiva di acqua. In Africa subsahariana, per esempio, i problemi di utilizzo della risorsa in agricoltura dipendono dalla mancanza di infrastrutture, che incide soprattutto nella stagione secca. Paesi che hanno istituzioni o infrastrutture forti come gli Emirati Arabi Uniti hanno molti meno problemi di altri dove c’è un’abbondanza di acqua ma istituzioni deboli, come lo Yemen.
Lo stress idrico incide negativamente sullo sviluppo economico e sulla produzione alimentare. L’insicurezza alimentare varia a seconda delle regioni. In Asia meridionale ogni giorno 476 milioni di persone non hanno una quantità sufficiente di cibo; entro il 2050 saranno 600 milioni. In Africa sub sahariana, invece, si passerà dagli attuali 432 a 530 milioni: l’incremento, del 55%, sarà il più alto al mondo.
Quando larga parte della popolazione di un Paese vive questa condizione, ci sono conseguenze negative sullo sviluppo economico e sulla coesione sociale. Gli shock alimentari determinati – anche – dalla scarsità d’acqua possono creare effetti a catena come instabilità politica, violenza, migrazioni forzate e aumento dei conflitti civili.
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